C’è un luogo delizioso, del tutto sconosciuto ai più, quasi nascosto. Si chiama Troina. E’ un piccolo borgo. Si trova, tra boschi e pascoli, a più di 1200 metri di altitudine, sui monti Nebrodi, in Sicilia. Ha  circa 9000 abitanti, un piccolo lago e un accogliente albergo chiamato”Cittadella dell’Oasi”.
E’ un abitato antichissimo, esiste dall’età della pietra, che poi, vissuto dai greci, conobbe il governo di Roma, di Bisanzio e infine quello dei Normanni, da quando Ruggero II da qui partì per la riconquista dell’isola, che era stata invasa dagli islamici. Da allora seguì le sorti della Sicilia che, dopo essersi opposta agli Angioini con i gloriosi Vespri Siciliani, fu aragonese, spagnola, borbonica e, tristemente, savoiarda.
Della sua storia Troina conserva molte chiese, antiche costruzioni e antiche  usanze e specialità culinarie, come la vastedda cu sambuco, pianta  coltivata, da epoche immemorabili, da queste parti. Le numerose feste gastronomiche, insieme a quelle religiose, testimoniano la compattezza della comunità del borgo, che, culturalmente matura, è capace di organizzare eventi culturali di alto livello. Come, recentemente, la mostra “Rubens e la pittura della Controriforma”, prorogata fino al 3 settembre nella Torre Capitania.
Ce ne ha parlato, qui a Napoli, Pasquale Minichino, esperto antiquario e curatore, il quale, insieme ad altri esperti, a professori universitari e al padre Antonino Nestler, Superiore dei Padri Cappuccini di Caltagirone, ha fatto parte del Comitato scientifico della mostra. La quale, ci ha detto Minichino, è stato un efficace attrattore culturale ed ha avuto un pubblico affollato ed entusiasta.
Le opere in mostra sono appena dieci  ma efficacemente illustrano la storia religiosa ed artistica al tempo della Controriforma. La Riforma fu iniziata, come si sa, da Lutero, il frate agostiniano che nel 1517,  con la pubblicazione delle famose tesi, criticava la Chiesa di Roma accusandola del mercimonio che, con la vendita delle indulgenze, faceva dell’aldilà e del suo paradiso.
La Riforma non ostacolò, a tutta prima, il percorso della pittura rinascimentale, a testimonianza del fatto che non preoccupò le Alte Sfere, che la considerarono soprattutto come  una lotta tra i Principi riformisti e l’Imperatore. Tarda, quindi, fu la reazione della Chiesa di Roma,  che finalmente, nel 1545, convocò il Concilio di Trento (1545/ 1563), che procedette lentamente e con qualche interruzione e si interessò, in un primo tempo,  di mettere una censura soltanto alla letteratura. Cosicché vi fu, nel 1559, creato dal papa Paolo IV, l’Index librorum prohibitorum.
Solo più tardi, la chiesa di Roma si interessò delle arti figurative. Mentre la Riforma vi stava determinando un forte cambiamento nelle province riformate. Infatti i riformisti, soprattutto con Calvino e Zwinglio, considerarono Santi e Madonne idoli pagani e le loro immagini furono proibite. Cosicché si incrementò, per esempio nelle Province d’Olanda, come già nell’alta società elisabettiana inglese, il genere del ritratto della borghesia rampante, mentre nascevano le “scene di genere”, cioè le rappresentazioni della vita quotidiana della povera gente.
Ma, a un certo momento, nella lotta tra i riformati e il parti devot, furono determinanti le arti figurative. Soprattutto la pittura, che ebbe un forte impulso dalla Chiesa Romana, e, come già nel Medio Evo, quando veniva considerata la Bibbia degli analfabeti, svolse un compito di propaganda e fascinazione religiosa.
In questo contesto visse  Pieter Paul Rubens  (1577/1640), che nacque in Westfalia da famiglia fiamminga e emigrò a Colonia a causa della religione calvinista del padre. Poi si trasferì ad Anversa, baluardo cattolico dei gesuiti, e si convertì al Cattolicesimo, una conversione che fu un tutt’uno con la conversione dell’artista alla pittura italiana, che poi fu irrobustita dai suoi lunghi soggiorni in Italia. Nella mostra a Troina sono presenti due opere attribuite a Rubens: una deliziosa “Madonna con Bambino” e “Lot e famiglia in fuga da Sodoma” (probabilmente di Scuola).

Qui sopra, San Giovanni Battista di Luca Giordano e, in alto, il grande paesaggio di grande paesaggio Mercurio e il boscaiolo disonesto di Salvator Rosa
Qui sopra, San Giovanni Battista di Luca Giordano e, in alto, il grande paesaggio di Salvator Rosa

Il catalogo della mostra, che si avvale della colta e chiara prefazione del sindaco di Troina, Sebastiano Venezia, è scritto dal curatore, il professore Paolo Giansiracusa, che evidenzia, tra l’altro, il cambiamento subito, nella pittura di quel periodo,  dagli stessi personaggi religiosi che vi sono dipinti. Questo, afferma il professore, è testimoniato chiaramente da Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571/1610), che, ad esempio, nella “Madonna dei Pellegrini”, fa scendere la Madonna dal trono, sul quale era stata generalmente collocata, per chinarsi verso  gli umili.
Ma, diversamente da tanti critici, che considerano questo atteggiamento del Caravaggio una sua personale rivoluzione, il professore Giansiracusa lo immette, giustamente, nella generale tendenza dell’epoca, che così si ravvede della eccessiva “mondanità” in precedenza espressa in questo campo. Anzi, il critico afferma che questa tendenza è dovuta principalmente all’influenza francescana. L’influenza dei francescani cappuccini – scrive– si diffuse capillarmente in Sicilia, dove sorsero, preferibilmente in luoghi appartati, molti loro conventi che, nella semplicità e nella funzionalità delle architetture, espressero le loro premesse ideali. Ugualmente evidenziate nella rappresentazione, in pittura, della sofferente umanità dei personaggi.
E’ anche vero che un’altra forte componente della realtà pittorica controriformistica fu l’influenza  gesuitica, esemplata nella maestosità delle decorazioni di padre Pozzo e del Baciccio nei soffitti delle chiese di sant’Ignazio e del Gesù a Roma. Che esprimono la  maestosità del barocco romano.

 Gerard van Honthorst, San Francesco che riceve le stimmate
Gerard van Honthorst, San Francesco  riceve le stimmate

Ma il barocco rappresenta anche l’aspirazione al cielo e verso la libertà di uno spazio più ampio. E’ un’aspirazione, questa, che già si intravede nelle opere del caetano Scipione Pulzone (1550/1598), presente nella mostra  a Troina, ed è una caratteristica propria di quel barocco napoletano, che, come in tanti altri pittori delle nostre parti, si esprimerà, caldo, vivo, vibrante e luminoso, nella pittura dell’eccelso Luca Giordano (1634/1705), anche lui presente in questa mostra con un San Giovanni Battista proveniente dalla napoletana collezione privata Minichino. Non posso fare a meno di citare, in proposito, la presunzione di alcuni critici poco avvertiti che fanno derivare dalla pittura di Caravaggio la luminosità giordanesca.
Certo Caravaggio ebbe molti adepti, come quel Gerrit van Honthorst (1592/1650), detto Gherardo delle Notti, per la ricerca della  realizzazione della luce in ambienti notturni. Anche questo autore è presente a Troina con un “San Francesco in estasi” della collezione privata Minichino. Della stessa collezione è un’altra opera in mostra: “Paesaggio con Mercurio e il boscaiolo disonesto” di Salvator Rosa (1615/ 1673). Interessantissimo, anzi affascinante, è questo grande artista napoletano. Teneva ad essere un autore colto. E certo lo era. Infatti era anche un letterato che conosceva l’antica letteratura e che poetava“bisogna che i pittor siano eruditi/nelle scienze introdotti,e sappian bene/ le favole, l’historie, i tempi e i riti” ( satira III).
Il Rosa  teneva ad affermarsi quale autore di grandi pitture di historia, le uniche degne d’encomio, secondo l’opinione  accademica del tempo, a cui avrebbe voluto adeguarsi. Ma, cimentatosi in questo campo, Rosa fu autore di pitture molto convenzionali, mentre ebbe un enorme successo, e duraturo, nelle piccole composizioni.
Nelle sue “Battaglie” espresse sinceramente l’ardore e la concitazione che erano in lui e nell’ambiente napoletano seicentesco. E fu grande anche nei suoi paesaggi, che si fondano sull’osservazione della natura. Infatti si racconta che, insieme a Micco Spadaro, a Marco  Masturzo e a altri allievi della frequentatissima bottega napoletana di Aniello Falcone,il Rosa andasse in giro esercitandosi nella ripresa dal vero con colori a olio.
Ma poi, con estro, mutava questi naturalistici paesaggi, che, con alberi contorti,  e castelli cadenti, diventano aspri misteriosi, negromantici, esprimendo così a una società “ragionevole” gli spaventi e il fascino della sua corrucciata solitudine.
Così divenne anticipatore di un modo di vedere il mondo. Gli inglesi se ne innamorarono tanto che Salvator Rosa nella loro lingua divenne un nome comune. Così lo cita, in una lettera a un amico, negli anni Quaranta del secolo diciottesimo, Horace Walpole, descrivendo un paesaggio della Savoia: ”Precipizi, torrenti, montagne, lupi, Salvator Rosa”. E Horace Walpole, conosciuto come statista, è riconosciuto in letteratura come l’iniziatore dei “Tales of Terror”, i “Racconti del Terrore”. E si afferma così la straordinaria creatività anticipatrice dell’arte e della cultura napolitana anche con Salvator Rosa. Che, come pittore della Controriforma, trova giustamente il suo posto in questa mostra a Troina.

 

 

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