Con la pubblicazione del decimo volume, dedicato al quartiere Posillipo, (Oikos editore, 2016) Italo Ferraro aggiunge un nuovo capitolo al suo Atlante della città storica di Napoli, un lavoro di notevole impegno, iniziato nel 2002, che ha il merito di allargare la platea di quanti vogliono conoscere la storia millenaria della città.
L’impegno per quest’ultimo volume è stato notevole considerando l’enorme letteratura esistente sul celebre quartiere napoletano che ha ispirato molti artisti in ogni campo, in particolare nella pittura per la quale la cosiddetta “scuola di Posillipo” costituisce uno dei momenti più felici della produzione artistica napoletana.
Della collina troviamo notizie già negli scritti di Seneca e di altri autori antichi; così come testimonianza del sito si ritrovano negli scritti di Bernanrdo Tasso e Jacopo Sannazaro che, com’è noto, aveva una casa nell’area in parte oggi occupata dalla chiesa di Santa Maria del Parto.
Ma l’elenco di quanti hanno lasciato testimonianza dell’amena collina è lungo considerando, in particolare, gli illustri viaggiatori i quali, a partire deal XVIII secolo visitando la città dimostrarono una particolare attenzione alle bellezze naturali.
Goethe, Melville, Oscar Wilde  e poi Dumas, Dickens, Dostoevskij, Camus e Sartre  sono soltanto alcuni di un lungo elenco di scrittori che hanno passato il testimone ad autori contemporanei come Sándor Márai (il quale ne’ Il sangue di San Gennaro, ha lasciato la testimonianza del suo lungo soggiorno a Posillipo) ed il napoletano Raffaele La Capria il cui romanzo Ferito a morte è diventato per molte generazioni  il viatico per il passaggio alla maturità come Siddhartha, di Hermann Hesse, o Il giovane Holden di Salinger.
Ma la collina di Posillipo ha ricoperto un notevole ruolo soprattutto nella guidistica: dalle note pagine della famosa Guida dell’abate Celano (1692) fino al fondamentale testo di Francesco Alvino (1845) la cui importanza è testimoniata dalle moltissime ristampe. Studi che hanno creato un vero e proprio genere letterario arricchito, in tempi recenti, dagli studi di Renato De Fusco, Cherubino Gambardella, Valentina Gison, Alessandro Castagnaro ed altri
Tutte queste testimonianze di viaggiatori e personaggi illustri che hanno scritto di Posillipo avrebbero potuto scoraggiare uno studioso dall’intraprendere questa avventura ma, per fortuna, non è stato il caso di Italo Ferraro il quale nel suo ponderoso volume (ben 728 pagine di grande formato) ha restituito una lettura originale del promontorio.
L’autore, infatti, abbandonando la più classica direttrice lungo la strada di Posillipo, aperta da Gioacchino Murat nel 1812, fornisce una lettura del territorio secondo gli antichi percorsi i quali, nel corso dei secoli, hanno assicurato agli abitanti degli storici casali, uno stretto rapporto fra le aree agricole della collina e gli innumerevoli approdi sulla costa. Il libro è diviso in tre parti, divisione che pur individuando confini spaziali risponde più ad una comoda lettura che non ad una vera differenza fra le tre aree. La storia del territorio, indagata attraverso le trasformazioni avvenute nel corso dei secoli, è narrata con un linguaggio accessibile, ma non banale, consentendo così un approccio alla storia del luogo non soltanto agli addetti ai lavori.
Il metodo d’indagine, utilizzato dall’autore, si fonda sulla lettura dell’uso del suolo, esaminando i continui passaggi di proprietà, fino ad ottenere le attuali forma urbana e consistenza edilizia.
In questo modo l’autore ricostruisce il passaggio dai grandi possedimenti degli ordini religiosi (di cui, in particolare, tratta il bel saggio di Emilio Ricciardi) ai singoli proprietari così come la localizzazione delle antiche masserie ancora esistenti, (l’autore ne registra ben 38) documenta una importante stagione della storia del luogo e l’importanza di questo come sito agricolo.
Per la storia dei più antichi insediamenti in epoca romana, il volume di Italo Ferraro ha il grande merito di riproporre una attenta lettura di R.T. Gunter, Pausilypon, The imperial Villa near Naples, ancora oggi il più importante testo sull’archeologia posillipina, edito ad Oxford, nel 1913, ma tradotto e pubblicato da Domenico Viggiani solo nel 1993 e, in realtà, noto solo agli studiosi.
Nella lettura dei secolari insediamenti dai casali fino alla moderna edilizia, l’autore legge le trasformazioni del territorio senza manifestare alcun giudizio moralistico anche se non si risparmia il rammarico per la perdita di Villa Martinelli con i suoi “tenaci merletti” ripresa anche da Gaspare Van Wittel in uno dei suoi dipinti.
Con questo criterio di indagine, ossia la documentazione dell’attuale configurazione urbana, è evidente che Posillipo non è soltanto il luogo della speculazione, che pure esiste in particolare a partire dal secondo dopoguerra, ma è il quartiere napoletano nel quale più immediatamente sono state recepite le nuove istanze architettoniche. Così al seicentesco Palazzo Donn’Anna ed alla successiva Villa Doria D’Angri seguirà, a partire dal XIX secolo, una notevole produzione architettonica che coniuga revivals ed eclettismo, senza annullare del tutto la tradizione locale.
In tal senso l’Ospizio Padre Ludovico da Casoria, il Mausoleo Schilizzi, il neomedioevo o le pagode che decorano tante Ville posillipine testimoniano un attento aggiornamento culturale da parte della ricca committenza come avviene con la splendida Villa Pappone, di Gregorio Botta, vero manifesto del Liberty napoletano. Con il XX secolo ed in particolare a partire dagli anni cinquanta, molti architetti troveranno nella borghesia napoletana possibilità di realizzare i loro progetti. Particolare attenzione, nel libro, viene dedicata alle opere di Pacanowsky (non solo Villa Crespi), a Luigi Cosenza (non solo Villa Oro) ed a Franz di Salvo ai quali seguiranno Stefania Filo Speziale, Giorgio De Simone e poi ancora le nuove generazioni come Massimo Nunziata, Massimo Pica Ciamarra e Francesco Forte.
Una particolare attenzione, infine, merita il ricchissimo apparato iconografico. Non soltanto Tavole, grafici e disegni, sia urbanistici che architettonici, ma anche foto molte delle quali documentano un’epoca ormai trascorsa.
L’empatia che l’autore ha stabilito con gli abitanti del quartiere, nel corso della sua capillare indagine, appare evidente soprattutto nelle didascalie le quali, completano il concetto espresso nel testo e che, per certi aspetti, guardano alle passate stagioni di tanta pittura napoletana. Così, Sagome sulla luce del mare o Signora sotto il portico, ad esempio, sembrano titoli recuperati dalla pittura di Domenico Morelli o Filippo Palizzi. I saggi di Renato De Fusco, Giulio Pane, Emilio Ricciardi (di cui abbiamo già detto) e Maria Rosaria Nappi, completano il volume.

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