Il Museo archeologico nazionale napoletano, che è tra i più importanti del mondo, a Napoli è considerato “Il Museo” per antonomasia. Tanto che dà anche nome a un luogo. Se tu dici “sto fermo al Museo: sono in auto e c’è un ingorgo di traffico”, ti trovi verso quell’incrocio di strade (le vie Enrico Pessina, Salvator Rosa, Santa Teresa) sulle quali si affaccia l’Archeologico.
Che però da qualche anno è chiamato con lo “scattante” acronimo Mann, quasi a farci dimenticare che vi è contenuto l’Archè, la radice della storia antica di Napoli e dell’Occidente intero. Che è anche quella storia di quando Napoli viveva insieme a Pompei, Ercolano e le altre residenze vesuviane, le quali, poi, sepolte, ce la hanno conservata e, dissotterrate, ora ce la raccontano.
Certo poi Napoli, vivendo, si è evoluta. Ma la sua origine, la sua Archè, è sempre quella di Partenope, di Cuma e di Neapolis, è quella grecità che ha insegnato arte e umanità ai Romani che poi le hanno diffuse nel mondo.
Se entriamo nel nostro Museo Archeologico, ci accoglie il vasto atrio, lo scalone in fondo, e una schiera di grandi statue di marmo a cui la romanità ha dato la gravitas di quel Potere che anche le poleis della Magna Graecia subirono dacché, dopo secoli di autonomia, furono da Roma assoggettate. Ma sono soprattutto greche quelle forme e quei miti che ci vengono incontro quando tra loro procediamo. Per assistere al “Mann at work”, la presentazione delle Grandi Opere e della Programmazione 2018/2019, a cui la stampa è stata invitata. Credo siano più di cento i giornalisti accorsi.
Conto le sedie occupate ma alcuni intervenuti sono all’impiedi. Per primo parla Paolo Giulierini, il direttore. Parla a lungo. Non è il suo solito. Ma non è prolisso. Il suo linguaggio, anzi, è sintetico come sempre. Ma deve illustrare le numerosissime attività in cui il Museo è impegnato. L’attività di questo ancor giovane signore è frenetica.
Purtroppo, a volte, soprattutto in privato, è stato criticato. Per aver favorito oltre il dovuto altri musei. E per non aver favorito, in realtà, nonostante le buone intenzioni, la comprensione della bellezza e della storia che l’Archeologico conserva,  quando ha realizzato alcune discutibili iniziative, come vocianti gare di subbuteo e cose simili.
Certo merita rispetto questo luogo antico, che non ha bisogno di un certo tipo di modernizzazioni, giacché in se stesso  è attualissimo. Perché quello che l’Antico ha creato e che appare, dal punto d vista della nostra breve vita, tanto lontano nel tempo, è invece vicinissimo a noi, anzi è dentro di noi. Ma se errori ci sono stati, sono dovuti forse a troppo zelo.
Il direttore Giulierini è veramente un gran lavoratore e anche lui merita rispetto. Oltre a essere un brillante uomo di marketing, è stato capace, con le sue doti diplomatiche e di naturale simpatia umana, di coinvolgere nelle varie attività tutti gli elementi validi e preparati, e sono numerosi, dello staff museale. Di motivarli, dando a ciascuno la possibilità di esprimere al meglio le proprie qualità. Così ha cancellato in loro ogni preconcetta diffidenza.
Durante “Mann at work”, ci parla di importanti lavori di ampliamento degli spazi espositivi. Lavori meritori, che permetteranno di mettere in mostra almeno parte di quei numerosissimi oggetti d’arte e di vita quotidiana ora conservati nei depositi del Mann.
  L’ex direttrice, la dottoressa Valeria Sampaolo, raccoglierà nell’atrio del museo, aggiungendole a quelle già esistenti, le statue che ora occupano i luoghi che saranno occupati dai lavori edili.
Ma, già mesi fa, abbiamo avuto modo di visitare il cantiere riguardante l’ampliamento e la ristrutturazione del Laboratorio di Restauro, tra i più importanti in Italia. Lo dirige, con passione, competenza e discernimento, la validissima dottoressa Luigia Melillo. Alla quale soprattutto va il merito se, in occasione della Pasqua 2018, vi sarà, all’Archeologico, la mostra “Le armi dei gladiatori”, il primo episodio di un progetto “Alla scoperta dei tesori del Mann”,  che, quattro volte all’anno, porterà all’attenzione dei visitatori opere di recente restaurate, provenienti dai ricchissimi depositi del museo o di ritorno da mostre internazionali.
L’Archeologico è da sempre, a livello mondiale, il maggiore prestatore di opere archeologiche. “Per ora possiamo dire, ma è una valutazione in aggiornamento continuo, -ci informa Giulierini- che nel 2018 saranno 561 i nostri reperti in giro per il mondo nelle molte mostre all’estero.” Qui ora ne cito qualcuna. Tra le più importanti “The Fallen. Lesser Attalides Dedication” (7 dicembre 2017/11 marzo 2018) nel prestigioso Ermitage di San Pietroburgo.

Poempei| ilmondodisuk.com
Qui sopra e in alto, immagini da “Pompeii. The infinite life”

Questa mostra è costituita da copie romane di statue del “Piccolo Donario” che il re Attalo volle costruire ad Atene. Tra queste, stupefacenti per la loro bellezza, l’Amazzone Morta e il Galata Morente. A proposito di quest’ultima opera mi piace ricordare la mostra, all’Archeologico, di Adrian Tranquilli, valente artista contemporaneo,  che metteva, accanto al Galata, un modernissimo Batman che del Galata aveva le fattezze, testimoniando la duratura attualità della forma umana creata dagli antichi Greci.
Importantissime le mostre in Cina, che daranno pubblicità al nostro Museo Archeologico. Girerà per diverse città cinesi (8 febbraio 2018/20 luglio 2019) la mostra “Pompei. The infinite life”, che sarà inaugurata all’Archaeology Museum di Chengdu. Secondo gli accordi presi dai due Governi, cinese e italiano,  con queste mostre dovranno essere spedite in Cina anche le copie esatte di opere artigianali greco-romane conservate nell’Archeologico. Una richiesta così pretenziosa mi sembra inverosimile.
Dopo la conferenza, mi avvicino a Giulierini, per domandargli se la notizia sia esatta. Non l’ho fatto prima in pubblico, per non metterlo in imbarazzo. Provo per lui stima e simpatia e capisco bene che non sono attribuibili a lui le responsabilità dei Governanti. Mi dice, purtroppo, che la notizia è esatta. «Ma almeno si potranno avere le royalties?» gli chiedo.  «Ma certo» mi risponde sorridendo.
Comunque vedremo girare per il mondo stolide copie, probabilmente in plastica, delle geniali creazioni e delle utili invenzioni dei nostri nonni. Pazienza. Tre mesi soltanto sosteranno i nostri reperti all’Ermitage, mentre si alterneranno le città cinesi che ospiteranno i nostri reperti. Secondo legge, infatti, la durata di un prestito a un altro museo non può eccedere i tre mesi.
Le grandi mostre programmate, invece, nel Mann,  per il 2018 sono tre: “Pompei e gli Etruschi”(19 giugno / 31 ottobre), “Pompei ed Ercolano. Visioni di una scoperta.” (29 giugno/ 30 settembre) e “I Longobardi. Un popolo che cambia la storia.” Quest’ultima, già al Mann dal 20 dicembre scorso, chiuderà il 25 marzo di quest’anno.
E’ una mostra presentata con grande apparato e allestita con molto buon gusto. Ma che, a parere di molti, esalta oltre misura, forse per le contingenti ragioni politiche, l’apporto e la cultura di questo bellicoso popolo barbaro. Ma certo i Longobardi furono uno di quei rozzi popoli barbari che invasero l’Italia dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.), cioè quando l’ultimo imperatore, il giovanissimo Romolo Augustolo, fu esiliato dalle nostre parti, nell’isolotto di Megaride (dove ora si trova Castel dell’Ovo).
All’epoca dei Longobardi, la penisola italiana era già stata riconquistata dall’Impero Romano d’Oriente, con una guerra (535/ 553) contro i precedenti invasori, i Goti. Ma appena quindici anni dopo questa guerra, ecco l’invasione longobarda a portare altra violenza e altri lutti.
I Longobardi erano in numero ridotto. Affermarono il loro potere soltanto nella parte centro-settentrionale dell’Italia, sulla quale dominarono e dove le varie tribù si riunirono, formando un regno con capitale Pavia. Che durò fin quando, il Papa, avendo avuto esperienza della loro montante aggressività, chiamò il franco Carlo, detto poi Magno, che li combatté e li vinse. E, nell’anno 800, conquistò la corona dell’Impero, che si disse Sacro e Romano.
Durò più a lungo il dominio longobardo attuato da cosiddetti “cani sciolti”, cioè da quei drappelli di Longobardi che si insediarono nelle città già romane di Benevento e di Capua e che  poi si spostarono, cercando uno sbocco sul mare, a Salerno, che allora si ampliò e popolò. Spesso i bellicosi Longobardi salernitani cercarono di dominare altre terre.
Tentarono di conquistare anche Napoli. E non ci riuscirono. Ma smisero i loro tentativi soltanto quando, e siamo intorno all’anno Mille, chiamati dal duca del libero ducato di Napoli, vennero i Normanni, che li sgominarono. E così poi finalmente iniziò un’epoca di (relativa) pace e di grande civiltà. Vorrei ancora dire dei diversi interventi meritori della gestione Giulierini. Come l’installazione della caffetteria, che sarà aperta a maggio. «Sarà un luogo accogliente,- annuncia il direttore- dove incontrare amici o sfogliare un libro preso dalla biblioteca museale. I cui introiti- aggiunge- sono superiori a quelli di ogni libreria museale in Italia».

Qui, sopra uno scorcio della mostra dedicata ai longobardi.In alto, Poempei
Qui, sopra uno scorcio della mostra dedicata ai longobardi

Tanti altri sono gli argomenti di questo convegno. Che dura circa tre ore, lasciando frastornati i giornalisti, che poi si affretteranno a riferire quello che hanno ascoltato dai vari relatori presenti. Che sono Andrea Mandara, nella qualità di “consulente programmatico di fruizione del Mann”, il professore Ludovico Solima, con il suo progetto “Il museo accessibile”, la professoressa Daniela Savy, l’architetto Lucio Fiorentino, che illustra i suoi cinque cortometraggi, Rosanna Cappelli dell’Electa e Giovanna Barni, presidente della CoopCulture, la cooperativa che cura, tra l’altro, le biglietterie di molti musei, trattenendo dagli introiti di ciascuno un’alta percentuale.
Tra le molte iniziative programmate, interessante sarà il Festival del Barocco naapoletano, che presenterà, con  l’ Ensemble Barocco Accademia Reale, le musiche dei grandi Maestri napoletani del Seicento e del Settecento ( Scarlatti, Durante, Leo, Paisiello….), che ispirarono anche musicisti stranieri, come W. A. Mozart. Le musiche saranno accompagnate da danze in costumi d’epoca, secondo un ampio concetto di arte polivalente. Il Festival, che inizierà il 12 febbraio, durerà fino a giugno.
Napoli è città della musica, sin dall’antico (tanto che finanche l’imperatore Nerone vi venne a cantare). E’ opportuno ricordarlo. Perché, nonostante le tante testimonianze della magnificenza della nostra antica cultura, oggi si tende a sminuirla, con l’esaltare le civiltà dei popoli con cui Napoli è venuta a contatto e i loro presunti apporti. Per avvalorare l’odierna tesi che questa città sarebbe, secondo certe persone, soltanto un “crogiuolo” (e la parola la pronunciano smorfiando la bocca) di culture e non avrebbe un proprio fondamento culturale. Tra le molte iniziative del Mann, alcune sembrano adeguarsi a questa tesi.
L’Archeologico oggi si va proponendo appunto come un centro culturale  polivalente. Che però, sotto questa veste, potrebbe assumere un carattere  generalista. Qualcuno  ha detto che potrà farlo senza perdere la propria identità. Altri, invece, si domandano se questo sia possibile. E aggiungono questo ragionamento: se tu, per esempio, vai a Londra, sai che ognuno dei suoi musei ha una sua propria particolare identità e sai, ad esempio, che il British Museum è diverso dalla National Gallery e ti dirigi all’uno o all’altro museo secondo i tuoi propri interessi. Un museo onnivoro perde l’identità.
E per l’Archeologico sarebbe un peccato. Proprio perché l’Archeologico ha ora una sua propria, preziosa identità, un suo proprio principio informatore, una sua Arché. In quanto, come ho scritto all’inizio di questo articolo, conserva le antiche testimonianze della storia umana e artistica della nostra civiltà occidentale. E se, dopo averle tolto tanto, la si spoglia anche del suo essere all’origine di questa storia, anche Napoli diventa senza identità, senza dignità e senza futuro.
Per saperne di più
https://www.museoarcheologiconapoli.it/it/

 

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