Una serie di mostre sull’arte a Napoli negli anni Ottanta si stanno inaugurando, in rapida successione, in diversi luoghi della citt  a Castel Sant’Elmo, a Villa Pignatelli, all’Accademia di Belle Arti. A cui si aggiungono l’esposizione permanente di arte contemporanea al museo di Capodimonte e, alla Reggia di Caserta, la collezione di Lucio Amelio “Terrae motus”. Quest’ultima, iniziata nell’ 82, viene a essere una continuazione della mostra, in questi giorni al Madre, che illustra l’opera del grande gallerista fino appunto all’82.

Rewind riavvolgere il nastro di una vecchia cassetta, per risentire una musica, per rivedere delle immagini. Come ricaricare un orologio, andando indietro nel tempo.

La prima a essere inaugurata è stata, venerd scorso, la mostra a Castel Sant’Elmo. C’era tanta, tantissima gente molti gli artisti, noti e non, i critici d’arte, le persone comuni, attente o distratte, e c’erano i giovani e gli anziani che ricercavano anche un po’ della loro gioventù. Una congerie variopinta, una serata di successo. D’altronde il castello è facilmente raggiungibile con le funicolari.

E’ una costruzione tufacea, il castello, che s’innesta tanto bene nella collina del Vomero, da sembrare ne faccia parte da sempre, un luogo tanto antico, da essere senza et .
Ha ampi spazi molto adatti ad accogliere l’arte, anche contemporanea, e le pitture sulle grigie pareti di tufo o sui pannelli di formica bianca acquistano un loro particolare risalto. E, quando tutto manca, è meraviglioso ammirare le possenti strutture del castello, come quella grande cupola di tufo, traforata al centro, sotto la quale la direttrice del museo ha trattenuto gli ospiti.
Lei, Angela Tecce, è l’organizzatrice della mostra, lavorando insieme, ci ha tenuto a dirlo, con uno staff in gamba. L’impresa non è stata cosa da poco conto. Non si è voluto ricorrere ha spiegato Tecce- a un criterio preventivo nella scelta sia delle cento opere sia degli autori. Si è voluto rappresentare, invece, «il respiro caotico degli anni Ottanta, corale, come solo la storia, con il suo scompaginato accadere, può essere, dal quale , però, possiamo riconoscere un temperamento generale che amalgama tutto»ha scritto, nel catalogo, il soprintendente Fabrizio Vona.
Sebbene una esposizione cos ampia esigerebbe una lunga osservazione, possiamo, a tutta prima, riconoscervi che questo “temperamento generale che amalgama tutto” è il disorientamento, la mancanza di una complessiva idea-forza o di una personalit  di molto superiore alle altre. E un’ incertezza si nota a volte negli stessi singoli artisti e una libera, scomposta variet  nelle varie mostre.
Cos ci accorgiamo di un Sergio Fermariello che denuncia di aver risentito i modi dell’arte d’Oltreoceano, prima di rappresentare archetipi e miti a lui più vicini. Eppure c’è un dipinto di Nino Longobardi tragico, bello e dannato, e un altro solo tragico, come sempre. Almeno lui è coerente a s stesso. Scopriamo l’affascinante costruzione curvilinea di un dipinto, accattivante nelle gradazioni del grigio e dell’azzurro “Frutto di mare”(foto in basso) di Sas  Giusto, esposto, nell’85, nella mostra Evacuare Napoli. E notiamo, esposto nella stessa mostra, il rifacimento tra il goffo e il caricaturale del Dejeuner sur l’Herbe di Manet (foto in alto) di Saverio Lucariello, fatto con oli, vernici ma anche escrementi. Ci stupiamo che il gallerista Peppe Morra, amante delle immagini sanguinolente di Herman Nitsch, abbia conservato nella sua Fondazione gli aerei dolci paesaggi celesti di “Scala con i cieli” di Geoffrey Hendricks.

In fondo è un buon esercizio per i visitatori cercare, tra tanti dipinti, l’emozione, individuare l’arte, l’intelligenza dell’arte oppure trovare, delusi, la stucchevole, pretenziosa espressione di un artista che artista non è.

Certo gli anni Ottanta furono anni vivaci, densi di artisti, napoletani, italiani e stranieri e di galleristi intuitivi, coraggiosi, intraprendenti, come lo stesso Peppe Morra, Dina Carola, Lia Rumma, Pasquale Trisorio, l’impareggiabile Lucio Amelio e il giovane, allora, Alfonso Artiaco. E c’era Jean Digne, che offriva ai giovani artisti e al loro pubblico, quando l’arte non aveva ancora nessun luogo istituzionale per esprimersi, l’Institut de Grnoble di Napoli di cui, dal 1982, era direttore.
Ma è anche vero che i galleristi citati, tranne Artiaco, operavano gi  negli anni Settanta. E anche in quegli anni vi era stata a Napoli una produttiva vivacit  culturale. A quel tempo risale, infatti, “Geometria e ricerca” con De Tora, Di Ruggiero, Riccini, Guido Tatafiore, Barisani. E’ del 1973 la “Delicata Scacchiera” di Achille Bonito Oliva. Mentre, nel frattempo, Graziella Lonardi Bontempo, insieme a Bruno Cor , portava a Napoli da Roma i suoi artisti e i suoi salotti. Tanto che, giustamente, “gli anni Ottanta a Napoli incominciano con cinque anni di anticipo” scriveva, nel 2009, un critico onesto e intelligente come Michele Bonuomo. Quindi non è esatta una certa esaltazione            6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
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Una esaltazione che trova le sue ragioni, forse, anche nel fatto che quelli erano gli anni della giovinezza degli attuali critici, che con l’entusiasmo della loro et  partecipavano al mondo artistico di allora.
Questa osservazione traspare dalle parole-confessione di Angela Tecce, nell’intervista concessa al giornalista Bruno Aymone. Un po’ di nostalgia? Certo, accompagnata dalla consapevolezza del contrasto con la deprimente crisi attuale.

Ma c’è anche, negli organizzatori, un desiderio di verifica e di ripensamento di certe entusiaste recensioni critiche dell’epoca,
che hanno fatto la fortuna di alcuni artisti, i quali conservano ancora oggi una fama immeritata, avallata da committenze pubbliche e/o da giudizi di critici importanti che è arduo contraddire.
Ma ci sono dell’arte nella Napoli degli anni Ottanta dei fatti che n questa n altre mostre possono illustrare. Furono le conseguenze irreversibili di quella sera di novembre in cui la gente scappò via dalle case, si riversò verso il mare, e tanti, rassicurati da quella folla, andarono, era l’ora di cena, a “farsi una pizza”, e poi ritornarono a casa, mentre altri dormirono all’aperto e alcuni corsero in macchina coraggiosamente nei luoghi più colpiti dell’Irpinia per salvare e ospitare presso di s amici e parenti.
Altri piansero i propri morti, altri rimasero senza casa e furono ospitati negli alberghi verso la Stazione Centrale di piazza Garibaldi. Poi la gente dei vicoli fu ingabbiata nei tubi Innocenti che furono messi per sostenere- dissero- gli edifici pericolanti. Ma dopo fu ancora peggio tanti di loro furono deportati nei ghetti di Scampia e altrove. E ci fu un patrimonio sociale e culturale che andò perso questa gente che era vissuta al centro della propria citt , tra le pietre storiche e care, venne da questi luoghi allontanata e costretta, emarginata e disperata, a diventare diversa. Fu una perdita irreparabile la societ  napoletana cambiò. Certo, con il terremoto, molto denaro occorse per i restauri. Molto denaro pubblico. Anche perciò, da allora, Napoli, ci i napoletani, sono cambiati. E da allora sono andati perduti altri patrimoni culturali napoletani. Decine di belle chiese si dissero pericolanti e furono chiuse e, depredate dei loro tesori, da allora chiuse sono rimaste.
Rewind. Si possono fare mostre con questo nome ma ricaricare l’orologio, rimettendo il tempo indietro, non si può.

Rewind -arte a Napoli -1980/1990
a cura di Angela Tecce
Fino all’8 febbraio 2015 a Castel Sant’Elmo

Per saperne di più
+39 081 229 4401
www.polomusealenapoli.beniculturali.it

sspsae-na.santelmo@beniculturali.it

Nelle due foto sopra, adestra, Angela Tecce presenta la mostra e un altro momento dell’inaugurazione

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