Credibilmente prima della fine di quest’anno potranno partire i cantieri per la riqualificazione del centro storico di Napoli, dichiarato dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanit  nel 1995.

La più grande se non l’unica occasione di sviluppo urbano, ambientale e socio-culturale di sempre, con 220 milioni di euro assegnati alla Regione Campania nell’ambito del nuovo Programma Operativo FERS 2007/2013.
Il più grande centro storico d’Europa potr  essere rivitalizzato mettendo a sistema una serie di edifici storici ora chiusi o abbandonati all’incuria e la tanto attesa riqualificazione della linea di costa, ricomprendendo la rifunzionalizzazione artistica e museale di Castel dell’Ovo e il Maschio Angioino. Mentre per il centro antico si potr  puntare finalmente sugli spazi urbani come strade e piazze, giardini e aree mercatali, oltre ad una rivisitazione dei livelli infrastrutturali da un lato e di mobilit  urbana dall’altra affinch in un futuro prossimo si possa finalmente puntare a pedonalizzare tutto il centro storico di Napoli, recuperando vivibilit  e benessere psico-fisico.

Ma bisogna sgomberare dal campo alcune trappole che potrebbero insidiare un grande processo urbanistico-edilizio, fino a determinarne il totale fallimento.
Non bisogna pensare in grande e a opere faraoniche ingestibili e non apprezzate o sentite lontane da quella comunit  di donne e di uomini su cui in primo luogo cadranno le scelte. Con questo si vuole intendere che l’ordinario dovr  essere progettato innanzitutto nella “testa” dei napoletani e negli atteggiamenti delle istituzioni volte ad una normalit  quotidiana con interventi minimi ma significativi dal punto di vista dell’accompagnamento al senso civico come pulire le strade, renderle accoglienti, riparare le buche, curare il verde, derattizzare e disinfestare i luoghi pubblici, sensibilizzare alla raccolta differenziata a partire dal sistema cosiddetto “porta a porta”, etc.

In secondo luogo bisogna considerare l’elemento della unicit  degli interventi per non favorire la frammentariet  e la settorializzazione dei medesimi. Questo punto potrebbe essere soddisfatto da un “piano di gestione” che tenga dentro gli interventi sugli edifici pubblici e le iniziative private che pure non mancheranno.
Si deve assolutamente non permettere la deflagrazione della portata dell’evento attraverso la creazione di più centri di responsabilit  che sortirebbero esattamente l’effetto contrario, ovvero una deresponsabilizzazione pubblica. Un utile deterrente potrebbe essere rappresentato dalla creazione di una cabina di regia unica, un solo centro di comando capace di “governare” in modo unitario gare d’appalto, requisiti di qualit  per i partecipanti alla riqualificazione delle opere, assoluta trasparenza nella scelta dei contraenti, controlli mirati sull’intera gestione dei lavori e sul rispetto integrale delle regole.

Da ultimo va creato un “comitato di controllo” formato da chi il centro storico lo vive e non solo da chi intende riprogettarlo, evitando l’errore illuminista che ha visto nascere interi quartieri dormitorio come le vele di Scampia, i casermoni di Ponticelli e il bronx di Pazzigno. Evitare cio la distanza tra chi pensa, progetta e disegna e chi effettivamente vive i luoghi da riqualificare.

Credo fermamente che l’affermazione di tali volont  dipenda innanzitutto dall’intervento pubblico, ma non tutto può e deve gravare su di esso. La partita è troppo grande per essere giocata in una sola “porta”. Privati investitori, Curia arcivescovile, commercianti, volontariato ed associazionismo laico e cattolico, forze sociali e /city users/ in genere debbono essere messi nelle condizioni di poter esprimere idee e suggerire metodi e prassi in un ragionamento condiviso e compartecipato, recuperando quella adesione dal basso che sappia rintracciare livelli di più compiuta “democrazia urbana”.

Non lasciamoci sfuggire l’ultima occasione.

Nella foto, uno scorcio della citt 

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