Era una gelida serata, con vento di tramontana, pioggia sferzante. Eppure la chiesa napoletana di San Ferdinando era gremita.
 San Ferdinando è una chiesa monumentale con meravigliose opere barocche. E’ sorta nel Seicento, quando Napoli, sede del Viceré, era, notizia poco nota, capitale di una delle Spagne. Poi, come succede spesso in questa città che si evolve continuamente ed è sempre la stessa, la chiesa ebbe vari rimaneggiamenti. Fino al ‘700, quando ebbe il suo nome, in onore del re Ferdinando IV di Borbone e diventava una chiesa napoletana tra le più amate. E’ legata alla tradizione, ogni domenica vi si celebra la Messa tridentina, quella di rito antico, quella detta in latino. E spesso vi si ricordano da morti, cioè vi si celebrano le onoranze funebri, gli uomini illustri.
Ma ora, mercoledì scorso, che cosa aveva spinto i napoletani ad affrontare pioggia e gelo per andare a San Ferdinando? Una cerimonia che potrà destare meraviglia. Dopo 124 anni, come da una decina d’anni a questa parte, quella sera si celebrava, nel giorno della sua morte, avvenuta nel 1894, S. M. Francesco II di Borbone, l’ultimo Re delle Due Sicilie.
Era un ragazzo di ventitré anni, quando, nel 1860,  affrontò con coraggio l’aggressione piemontese, l’ostilità di Inghilterra e Francia, le più importanti potenze dell’epoca, e il tradimento dei corrotti nella Corte e nell’esercito napoletano. Fu un soldato valoroso a Capua, sul Volturno, a Gaeta e si arrese soltanto per evitare altre morti tra i giovani difensori della nostra terra, il Regno delle due Sicilie.
Oggi si fa un bel parlare di identità. Questa è prodotta dalla Storia. In cui non contano gli anni ma i secoli. E quello che alle nostre brevi vite sembra lontanissimo e ininfluente, a guardarlo con uno sguardo più ampio, è ancora vivo e attuale. Noi siamo quelli che fummo. Seppure non fummo quelli che siamo. Un tempo, tante giovani vite si immolarono per difendere il nostro territorio, tante madri piansero.  Per tenersi la propria casa. Per essere liberi in casa propria. Un tempo lo si sapeva. Ora tutto questo è stato reso vano.
Mercoledì scorso, nella chiesa di San Ferdinando, lo si ricordava, con commozione profonda e sincera. Si comprendeva il tempo passato e quello presente e si rendeva omaggio a un giovane uomo che seppe amare profondamente i napoletani del suo Regno. E che poi, nel lungo esilio ad Arco di Trento, allora in territorio asburgico, si comportava con modestia e dignità. E, vivendo in incognito e in solitudine, si faceva semplicemente chiamare signor Fabiani.
La cerimonia nella chiesa di San Ferdinando era stata organizzata dal Movimento neoborbonico e dalla Fondazione il Giglio ed era stata sponsorizzata dal Sacro Ordine Costantiniano di San Giorgio, ordine cavalleresco delle Due Sicilie, che veniva rappresentato dai cavalieri con le loro azzurre uniformi e dalla marchesa Federica De Gregorio Cattaneo.
Il presidente del movimento neoborbonico, Gennaro De Crescenzo faceva un breve discorso, in cui chiedeva sostegno per aprire una causa di beatificazione di una persona che cristianamente aveva sopportato tante avversità: re Francesco II. Attraverso di lui si rendeva omaggio a tutti i Re Borbone di Napoli. Una dinastia che seppe differenziarsi dai Borbone di Francia,di Spagna e di Parma, diventando veracemente napoletana.
Qui, a Napoli e nell’ex regno, basta guardarsi intorno con intelligente attenzione per scoprire le testimonianze della loro grandezza, nelle terre calabresi, lucane, pugliesi, siciliane…e a San Leucio, a Carditello, a Ercolano, a Pompei, all’Archeologico, a Capodimonte… Bisogna osservare per comprendere.
E, per capire chi siamo e chi  furono i Borbone napoletani, è anche utile conoscere il proclama che il nostro ultimo Re rivolse ai soldati e a tutti gli abitanti del Regno. E’ stato in parte letto da Gennaro De Crescenzo, mercoledì scorso, nella chiesa di San Ferdinando. Termina con parole di speranza: “…non è mai durata lungamente l’opera della iniquità né sono eterne le usurpazioni.”

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