Da oggi, ogni mese, proponiamo un excursus di Francesca Panico nell’Ottocento e Novecento partenopeo, in collaborazione con l’archivio Mediterranea. Ecco la scuola di Posillipo

Napoli, con il suo impareggiabile connubio di elementi naturali, in armonica fusione o in perfetto contrappunto, tra terra e mare, coste, isole, castelli, antiche rovine, grotte e palazzi monumentali, fu lo scenario che diede ispirazione, nei primi decenni dell”800, ad un gruppo di artisti dediti esclusivamente alla pittura di paesaggio. Erano appellati in un tono dispregiativo dagli accademici del tempo come i pittori della “scuola di Posillipo” poich la maggior parte di questi artisti viveva nel quartiere più frequentato dai turisti.
Fu proprio la bellezza dei paesaggi e la piacevolezza del clima che portava un gran flusso di visitatori italiani e stranieri a Napoli, al tempo florida capitale del Regno, nonch la richiesta di disegni o dipinti che potessero suggellare il ricordo e catturare l’atmosfera magica, le trasparenze e i colori di questa mirabile terra, a far nascere l’esigenza di una pittura di genere.
L’arte paesaggistica a Napoli aveva gi  territorio spianato dalle tele di Micco Spadaro e del tardo Salvator Rosa e si arricchiva di fascinazione d’oltralpe giunte in Capitale insieme ai romantici impegnati nel Gran Tour. Dalla fine del Settecento Napoli era stata infatti meta di famosi paesaggisti quali Kniep, Tischbein, Bonington, Huber, Vervloet, Corot e Turner. La scuola di Posillipo si riun prima intorno alla figura del pittore Anton Sminck van Pitloò e poi intorno a Giacinto Gigante.
A portare alla nascita di una vera corrente pittorica, più che di una scuola, fu Pitloo, giovane vedutista olandese che giunse a Napoli nel 1816, dopo un soggiorno a Parigi a contatto con paesaggisti seguaci di Valenciennes. Pitloo ebbe il gran merito di unire tutte quelle istanze pre-paesaggistiche ed introdurre per primo a Napoli la tecnica della pittura “en plein air”. Il suo atelier divenne luogo di ritrovo e di apprendimento per quei giovani pittori che desideravano introdursi o approfondire le tecniche di realizzazione della pittura di paesaggio.
Nel corso degli anni ’20 furono diversi gli artisti che forgiarono la propria arte a partire dagli insegnamenti dell’olandese da Achille Vianelli a Gabriele Smargiassi, Teodoro Duclère, Vincenzo Franceschini, Beniamino De Francesco, Pasquale Mattej e Silvestr Feodosievič Å čedrin. Accanto agli alunni della scuola si era formato un gran numero di fiancheggiatori, costituiti da interi nuclei familiari i Carelli, con Raffaele, Consalvo, Gabriele e Achille; i Fergola, con Luigi Salvatore, Alessandro e Francesco; i Witting, con Teodoro, incisore, e suo figlio Gustavo e infine i Gigante, con Giacinto, Emilia, Achille ed Ercole. Giacinto Gigante prese per alcuni anni le redini della scuola, diventandone uno degli interpreti di maggior interesse.
Il Gigante un le nuove tecniche acquisite con le sue abilit  personali di cartografo dando vita a capolavori di piccoli formato, soprattutto acquerelli, che restituiscono con taglio quasi fotografico e inusitata freschezza di tratto, le vedute, le suggestioni e le atmosfere scintillanti che si potevano respirare a quei tempi passeggiando per le strade cittadine.
La prima produzione della scuola di Posillipo si rifece al paesaggio di tradizione neoclassica, che si conformava alla "veduta" ampia e con punto di vista rialzato a volo d’uccello di Hackert; ponendo tuttavia l’accento soprattutto sul lirismo intimista e romantico che un bel paesaggio è solito suggerire nello spettatore.
Dal vedutismo settecentesco gli artisti della scuola, soprattutto G. Gigante. presero l’abitudine a trarre dal vero almeno gli abbozzi disegnativi. I pittori della corrente accademica, reduci dalla forte ventata di neoclassicismo che aveva travolto la nostra penisola, catalogarono il gruppo con la definizione restrittiva di “scuola”. Questi, avendo maestria nella elaborazione di soggetti classici su tele di grandi dimensioni, non compresero nell’immediato la portata innovativa della loro pittura intendendo insignificanti, quasi ridicoli, quei piccoli dipinti formati da macchie, imprecisione e linee prospettiche che si scostavano dai canoni della tradizione pittorica aulica, talvolta realizzati sui più disparati supporti come carta, cartone e pezzi di tavola rudimentali. Succede invece che quelle piccole opere che raffigurano le bellezze di Partenope e del circondario campano, accompagnando le incantevoli vedute con scene di vita quotidiana, prendono forza soprattutto presso l’aristocrazia e la Corte.
un successo rapido e grande che in breve scioglier  anche le reticenze dell’Accademia che ha in essa, nei vari periodi, cattedre occupate dagli stessi componenti del gruppo, di quella scuola che Pitloò elevò ad uno dei più alti livelli europei di primo Ottocento e che pur essendo stata dalla critica del 900 tacciata di ripetitivit  negli schemi ed attaccamen            6                 è« «    oè  á«to ad un gusto oleografico ha il merito di aver restituito alla pittura "la supremazia dell’emozione, della fusione tra uomo e natura".

Nelle foto in alto, una veduta del lago d’Averno di Pitloo e un’opera di Giacinto Gigante. In basso, un dipinto di Consalvo Carelli.

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