Partire o restare? Far fuggire il cervello o tenerlo a casa, ancora per un po’ che magari qualcosa si riesce a fare? Forse un progetto di ricerca salta fuori, sottopagato, magari non pagato, magari non proprio con gli strumenti adatti. Però se si riesce ad arrivare alla persona giusta, qualche conoscenza…

Storie di ordinaria scienza in Italia, ancora più ordinaria nel sud dove i talenti appassiscono a furia di lavorare gratis (che si chiama volontariato) e tenersi stretto il proprio posto precario in una sorta di guerra fra poveri. La storia dei cervelli in fuga rimbalza e si aggrava eppure la scoperta è una ricchezza. Enakapata (Ediesse, 10 euro) è il racconto di Vincenzo Moretti, sociologo napoletano, che ha inseguito uno di questi cervelli nella sua fuga in Giappone e ha scoperto cose che noi partenopei non possiamo neanche immaginare. Centri di ricerca efficienti in grado di gestire fondi ingenti per mettere insieme le teste pensanti in un lavoro di squadra in cui c’è spazio per la sana competizione. Il cervello in questione è quello di Piero Carninci che in sintesi estrema (e banalizzante) ha intuito e verificato che l’equazione 1 gene=1 RNA= 1 proteina è sbagliata. Si è scoperto non solo che per ogni gene il numero degli RNA è elevatissimo ma anche che le funzioni di questi sono di coordinamento dei geni e non semplicemente di produzione di proteine.

Una rivoluzione nello studio del DNA partito da un italiano, Carninci, che ha guidato in questo viaggio un’equipe di centonovanta scienziati di cinquanta paesi diversi. Non da un Cnr italiano però, ma dall’istituto Riken di Yokoama. Enakapata è il diario di un mese di permanenza di Moretti in Giappone, a osservare con la lente d’ingrandimento l’istituto Riken e ciò che gira intorno alla ricerca. Diario non serioso scritto a quattro mani con il figlio Luca, ventisei anni che lo ha fiancheggiato in questo stralcio di vita nipponica.

La scienza e il quotidiano, l’incontro di culture differenti con tutte le scoperte e le difficolt  del caso, una finestra sul Giappone ma anche su Napoli, soprattutto su Secondigliano, dove Moretti padre è nato e cresciuto. Incredibile scoprire che la scienza può essere letta sorridendo, triste ricevere l’ennesima conferma che altrove le opportunit  ci sono mentre qui ci restano solo aspirazioni soffocate e illusioni. Rimane ben poco spazio per la serendipity, quella circostanza/capacit  di cogliere l’imprevisto che nella ricerca può voler dire scoperta e che pervade tutto il racconto.

Di seguito, l’intervista

Moretti e l’intuito preparato

Vincenzo Moretti, professore di sociologia dell’organizzazione all’Universit  di Salerno, cosa consiglia ai suoi studenti, restare o andare via?
Come Carninci anche io sostengo che un’esperienza fuori è comunque importante, almeno per capire gli altri come lavorano. Ai ragazzi consiglio di andare all’estero perch qui non ci sono opportunit  per loro. Magari si comincia con una versione “light”, si tasta il terreno, quasi sempre si trovano bene e finiscono per radicarsi, non a caso ricevo tante mail di studenti che mi ringraziano per averli spinti a partire.
E una volta partiti è possibile tornare?
E’ difficile, quando i ragazzi di valore vanno via, trovano talmente tante opportunit  e tanti strumenti che diventa complicato tornare indietro. E’ questo il più grande reato oggi: non si stanno creando opportunit .
Suo figlio, Luca, fa parte della generazione che adesso è schiacciata dall’immobilit  professionale, com’è nata l’idea di portarlo con s in questo viaggio e nel libro?
Era gi  venuto con me nel 2000 in Australia ed è bello stare insieme, io poi da solo non mi raccapezzo. Con l’editore eravamo d’accordo sul fare un libro non serioso che parlasse anche della citt  (Tokio) e della gente, allora gli ho proposto un diario a quattro mani e la cosa ha funzionato.
Lei scrive: “Noi di Secondigliano abbiamo un buon fiuto. Ci basta poco per avvertire gli odori. Siamo bravi a seguirne la scia. Quando sono buoni e quando no.” Questo intuito alimenta la serendipit ?
Potrebbe favorirla ma di per s non basta, Robert K. Merton quando ha concettualizzato la serendipit  ha sottolineato come questa fosse la capacit  di persone preparate di cogliere il dato imprevisto. Non basta l’intuito, ci vuole la preparazione. E’ fuori discussione che le condizioni sociali possono favorire lo studio di un napoletano se è preparato, il problema è che i ricercatori da noi si trovano a lavorare non in squadra ma quasi uno contro l’altro per paura di perdere il posto e allora subentra una selezione naturale di tipo darwiniano che è altra cosa rispetto alla competizione sana. Perch è vero che il Nobel lo prende uno solo, ma se non c’è lavoro di squadra dietro, non lo prende proprio nessuno. Però non è un caso che quelli che vanno fuori emergono. Un esempio è Renato Dulbecco: lui non solo è stato premiato ma ha anche fatto uscire dal suo studio altri cinque Nobel: abbiamo sprecato una fabbrica di genialit .
Le dif            6                  «    oè è á«sptLlibrined dd dpG7e:ferenze saltano all’occhio non solo nella gestione della ricerca ma anche nell’organizzazione, un esempio è la raccolta differenziata che Tokio, con i suoi trentacinque milioni di abitanti riesce a portare avanti. Da sociologo dell’organizzazione, come spiega la nostra incapacit  di realizzare progetti simili?
Purtroppo mi rendo conto che altrove si possono fare cose che in Italia non riescono. Le persone dovrebbero interiorizzare il concetto e allora quando ciascuno lo fa per s indipendentemente dagli altri, 1+1+1… la cosa riesce.

Enakapata è anche un blog:

enakapata.wordpress.com

Nelle foto, l’autore durante l’incontro alla Feltrinelli e la copertina del libro

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