“Fata Morgana” è il titolo del libro di Antonio Filippetti (in foto, la copertina) edito dall’Istituto culturale del Mezzogiorno che si presenta luned 13 aprile alle 17 all’Istituto italiano per gli studi filosofici in via Monte di Dio 14 (Napoli). Con l’autore intervengono Ernesto Paolozzi, Luciano Scateni, Bruno Pezzella, Carlo Di Lieto, Gilberto Marselli e Mauro Giancaspro. Riflessioni di un saggista che invita a resistere, senza perdere la capacit  d’intendere e di volere. Di seguito, pubblichiamo il capitolo intitolato “Ovviet  e giochi di prestigio tra La Palice e Houdini”.

E’ un dato confermato da tutti i sondaggi e da tutte le statistiche quello secondo cui gli italiani chiedono un cambiamento e lo chiedono in primo luogo a coloro che si sono assunti il compito di “guidare il vapore”; di conseguenza la classe politica si vede investita per cos dire di un mandato tutt’altro che secondario ma che potrebbe, oltre che migliorare la condizione complessiva del paese, assicurare a chi se ne facesse davvero carico un merito e forse anche una gloria imperitura. De resto, se si guarda alla storia recente e passata, tutti i governanti che hanno promesso di cambiare l’esistente sono stati baciati dal sostegno, talvolta persino eccessivo, del popolo in attesa. Anche in Italia le promesse politiche non sono certo mancate. Nell’ultimo periodo, tuttavia, proprio quello che stiamo vivendo, assistiamo a qualcosa che ha dello straordinario, forse anche del magico.
Il presidente del consiglio, infatti, non smette di assicurare i suoi connazionali sul desiderio di cambiamento e sulla determinazione a farsi carico di modifiche “epocali” dello stato presente per cui molti gli corrono dietro. La spiegazione più stringente può far capo a due principali ragioni. La prima nasce dalla constatazione che non si può davvero andare più avanti di questo passo, per cui il tanto sospirato cambiamento è imprescindibile, pena una decadenza irrimediabile e senza appello; occorre tra l’altro fare presto perch il tempo a disposizione è davvero poco e dunque bisogna agire. Renzi ha capito queste cose e si è fatto apostolo del tanto auspicato mutamento. Non solo, ma sta impostando tutta la sua politica proprio sulla ovviet  del rinnovamento. Il motivo del suo successo risiede in buona parte in questa caratteristica dei suoi annunci che colpiscono per cos dire situazioni che non possono essere non condivise. Tutte le promesse ci in linea di principio non possono essere contrastate (tenuto conto, come si è detto dello stato dell’arte).
Chi potrebbe negare la necessit  di una riforma che interessi la giustizia o la scuola, e chi potrebbe opporsi a una cura dimagrante dell’apparato pubblico. Qualcuno forse si sognerebbe di dire che parlamentari e altri uomini politiciguadagnano il giusto e fanno realmente gli interessi dei loro rappresentati? Nessuno ama tornare a votare con questa legge elettorale o vedere in giro tante auto blu e tante scorte. Tutti si augurano di pagare meno tasse e soprattutto di esser certi che le tasse le pagano tutti nelle proporzioni dovute. E le pensioni d’oro e la lottizzazione nei carrozzoni pubblici, a partire dalla rai? Si è mai sollevata una voce in difesa di tutto questo? E come sarebbe potuto accadere?
Ecco Renzi dice cose legittime, fa affermazioni sacrosante, tanto sacrosante da sconfinare nella banalit  ridicola dell’ovvio. E qui viene in mente un predecessore illustre, il signore di La Palice, colui ci che “un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita”, e che è passato alla storia proprio per questo, per la banalizzazione dell’ovvio.
L’altra ragione del successo renziano sta nel vuoto assoluto che tutti riscontrano nella classe politica egemone, dopo i fallimenti di altre mezze calzette che hanno venduto solo fumo, magari facendo credere d’essere dei santoni. La conclusione è che non pare ci sia altra soluzione che credere fideisticamente a quanto viene promesso, visto la penuria intellettuale, culturale, civile e politica del momento. E torna alla memoria l’immagine rassegnata dell’italiano medio che pur turandosi il naso non poteva e non può fare altro che accettare quello che passa il convento. Del resto anche Eugenio Scalfari che a più riprese ha criticato e messo in evidenza i limiti di Renzi, ha poi affermato che non c’è niente altro da fare che sostenere il premier; l’alternativa, ormai lo credono tutti, è il precipizio della fine. E’ per cos dire la speranza dei disperati.

Ovviamente per rimanere in sella in una situazione di cos evidente sfascio, occorre pur avere delle attitudini, disporre ci di un appeal personale particolarmente accattivante che marca la distanza dagli altri del gruppo e chesuggestiona il popolo come farebbe un grande seduttore.
Ma forse la caratteristica più pertinente sembra non tanto quella del don Giovanni ammaliatore quanto quella del mago o del prestigiatore di razza; ecco allora che il pensiero corre al più famoso della serie, il celebre Hou            6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
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   è                                                   è î                  îè      è                         dini. Politica e magia si direbbe di un grande illusionista. E il gioco, almeno per un po’ dura perch affascina e anche perch quando ci si trova davanti a un incantatore è giocoforza voler vedere come va a finire. Peccato che qui la posta in palio è qualcosa di più di un incantamento. Perch alla fine di questo si tratta, dare l’impressione che un miracolo possa avverarsi.
Eppure si potrebbe per cos dire volare più basso, nel senso che non sarebbe poi una straordinaria magia trovare un risparmio di venti miliardi. E’ mai possibile se lo chiedono in tanti da anni -che la macchina pubblica che spende ottocento miliardi all’anno per il suo sostentamento non riesca a risparmiare nemmeno il due o il tre per cento dell’ammontare complessivo? Per farlo è proprio necessaria la presenza di un mago? Ma poi si scopre che come nei giochi di prestigio è tutto un trucco e la realt  è ben diversa.
Come sempre avviene in presenza di giochi di prestigio, l’esperienza più coinvolgente, quello che tutti vogliono vedere, è come riesce l’illusionista a far sparire i suoi interlocutori. E qui ci sarebbe davvero da lavorare e da divertirsi. Perch non sono pochi coloro che andrebbero appunto fatti sparire dalla scena pubblica. E’ proprio qui che il “rottamatore”, l'”asfaltatore”, potrebbe far valere le proprie doti.
L’elenco è lunghissimo e per di più condiviso a livello popolare. In pratica non esiste settore della vita pubblica, istituzionale o civile in cui una rottamazione vera non appaia indispensabile. I politici e i politicanti in sella da sempre e troppo spesso collusi con la criminalit  e la malavita, gli imprenditori pronti a chiedere favori senza attuare mai una reale strategia di sviluppo, i manager del capitalismo assistito, i tanti sindacalisti pronti a farsi paladini della correttezza e della legalit  ma sempre propensi a saltare sul carro della politica e delle sue ramificazioni (quanti leader sindacali ci siamo trovati in parlamento o in altre strutture confezionate su misura), i soloni dell’informazione che da anni imperversano con la presunzione di essere in grado di spiegarci come va il mondo senza nemmeno dubitare di essere parte integrante del collasso al quale hanno concorso in maniera preponderante, Qui ci sarebbe davvero da sviluppare un lungo capitolo, tenuto conto che non si riesce davvero a capire se è maggiore l’improntitudine o una ormai congenita incapacit  intellettuale.
Coloro che pontificano sui giornali o nelle televisioni sono un piccolo ma incallito esercito che non ha niente di nuovo da raccontare e l’unico modo per mettersi in evidenza consiste nello spostarsi da una testata a un’ altra, in un gioco anche questo di prestigio che ricorda quello infantile dei quattro cantoni, uno scacchiere laddove le pedine sono sempre le stesse e fanno sempre le medesime giocate.
Per fare un solo esempio un signore come Bruno Vespa incoraggia il premer e i politici a fare le riforme perch “il paese è pronto ad accoglierle”. Le riforme? Lui che da vent’anni fa l’identico programma, un “vespaio” trito e ritrito di mezze tacche bollite. Ma poi ci sono gli economisti e i “sondaggisti” che non ne hanno indovinata una e tuttavia restano incollati ai propri posti insomma un vero e proprio plotone di incapaci chiamati a stare al timone ed allora perch lamentarsi se la barca è andata alla deriva o a fatto naufragio?
Occorre anche dire che questo è un compito impervio poich si sbatte ogni volta il muso contro chi non intende cambiare nulla perch non ha intenzione di cedere nemmeno uno dei tanti privilegi di cui dispone. E’ uno scontro contro una classe conservatrice (che spesso paradossalmente passa per riformatrice) ma che è arroccata sulle proprie posizioni in una difesa oltranzistica di stampo medievale.

Certo non tutto può essere affidato a un uomo solo anche perch il premier non ha le prerogative normative per fare tutto quanto.
Ma allora perch promettere miracoli e prodigi? Perch non parlare chiaro dichiarando e denunciando i propri e gli altrui limiti? E soprattutto perch contornarsi di tante “mezze calzette”? La risposta conclusiva sembra essere a questo punto una solaperch cos è più facile inventare sempre nuovi artifizi e soprattutto fare accettare benevolmente il gioco immarcescibile dell'”eterna illusione”.
Ma l’illusionista, per avere successo, per stupire ci il pubblico, ha bisogno oltre che della destrezza, della capacit  di esecuzione dei suoi numeri. Un Fregoli o un Brachetti che si muovessero lentamente non avrebbero successo. Ecco allora le promesse delle performance a tempo di record decine e decine di iniziative portate a termine in un lampo, salvo poi verificare che non è niente possibile e lasciare tutto nel dimenticatoio, magari nei cassetti di Palazzo Chigi dove una legge può attendere mesi ed anni per i decreti attuativi, vale a dire per essere davvero operativa.
Il mito della velocit  è tuttavia una delle caratteristiche del nostro temp            6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
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bisogna andare sempre più di corsa, con i computer, i tablet, i messaggini, i tweet, tutto deve avvenire rapidamente e in tempo reale. Eppure la saggezza popolare invita ad andare piano, ricordando quello che avvenne alla gatta che voleva partorire di fretta, e anche i latini (Svetonio) suggerivano “festina lente”, un ammonimento a che la rapidit non sia mai disgiunta dalla cautela.

Oltretutto siamo costretti a prendere atto di un sopruso o addirittura di una violenza,
visto che due terzi della popolazione non ha ancora acquisito dimestichezza con la telematica d i computer, non sa cosa sia una firma digitale e non riesce a scaricare un modulo di pagamento dal web. Paradossalmente l’odierna “new wave” impone di fare tutto in fretta, on line; sembra quasi che l'”instant man” abbia soppiantato definitivamente anche l'”homo technologicus” e l’umanit  sia da rintracciare ormai nei “post” della rete, il che fa presagire una societ  di frettolosi e inconcludenti “postnauti” senza passato, privi di futuro.

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