Un plauso all’editore Kairos che nella sua “Serie Oro”, ideazione e coordinamento di Anita Curci, ha pubblicato all’interno della Collana Teatro la “La serva del principe”, ultima, in ordine di tempo, piéce del drammaturgo Manlio Santanelli, vero gioiello teatrale che affascina sin dall’inizio.
Il libro è stato presentato, alla presenza dell’autore, allo spazio “Laterzagorà” del Teatro Bellini, interventi del critico teatrale Luciana Libero e della professoressa Antonia Lezza, ha moderato Giuseppe Giorgio, letture dalla piéce a cura di Renato Carpentieri e di Antonella Stefanucci che hanno dato prova magistrale.
La pièce, che si avvale della esaustiva e interessante prefazione di Antonia Lezza, ha per protagonisti il letterato rinascimentale Niccolò Machiavelli e Berta la sua serva. Una idea già di per sé efficace e stimolante, quella di far interagire l’importante personaggio storico con una donna e per di più di condizione “inferiore”.
Manlio Santanelli, drammaturgo e narratore di razza, costruisce una storia teatrale avvincente ma anche un plot narrativo importante dove, a mio avviso, è lecito parlare di teatro che sconfina nella letteratura e viceversa.
La vicenda si svolge nella casa di Machiavelli, accudito con sollecitudine dalla sua serva, nel momento in cui un “Uomo nero” (insieme a “Vitellozzo”, che spasima per Berta, altri due personaggi della piéce) arriva di notte per commissionare a Machiavelli (pagando in moneta sonante) un trattato che: “Dimostri, esempi nel pugno, come non v’è Stato saldo se non v’è uomo sulla vetta, un uomo che ramazzi via ogni disordine, la qualsiasi beghetta che inquina la nostra società” , vale a dire quel trattato che darà lustro nei secoli a Machiavelli: “Il Principe”.
Nel costruire questa storia, Santanelli mette in campo diversi e attraenti piani di narrazione congegnando, prima di tutto, dialoghi  che sono da subito materia viva ed atti alla rappresentazione in teatro ma, soprattutto, è nell’uso del linguaggio che la piéce rivela la sua grande forza e originalità.
Una sintassi lussureggiante, un vulgare cinquecentesco reinventato con una serie di vocaboli e assonanze di valenza e fantasia linguistica, onomatopeica, vivacità di costruzione delle frasi, ricerca appropriata di proverbi il cui uso ironico, ancorché antico, vivifica a maggior ragione tutta l’impalcatura linguistica. In verità una lingua antica e nuova che si fa leggere con entusiasmo, che è servita, su di un piatto d’argento, per allestimenti teatrali futuri del testo.
I personaggi principali sono descritti in maniera eccellente e mettono in campo così tante “umane” pulsioni che sono molto più vicini a noi di quel che si possa pensare. In particolare Niccolò Machiavelli viene descritto come dotto studioso e insieme come uomo che non rinuncia al mondo come la bevuta con amici nella taverna, al gioco (a questo proposito c’è una scena di inesauribile comicità fra Machiavelli e il rozzo macellaio Vitellozzo che viene a chiedere il permesso di corteggiare Berta: Santanelli enumera una serie infinita di giochi e rompicapi anche questi inventati o tratti da antichi giochi popolari) e all’indulgere con il gentil sesso anche in maniera mercenaria. Ma soprattutto il personaggio Machiavelli è roso da una sorta di rimorso perché lui, esponente repubblicano, è invitato a scrivere un trattato su un tiranno.

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Qui sopra, la copertina del libro e, in alto, Manlio Santanelli

Ecco che Manlio Santanelli si destreggia con grande maestria analizzando l’essenza di quella grande opera che è “Il Principe”, testo ritenuto talvolta ambiguo, per non parlare del “machiavellismo”, termine coniato per significare un progetto subdolo, utilitaristico e chi più ne ha più ne metta.
Ma qui entra in campo Berta, donna di grande personalità e saggezza, che da umile serva si tramuta, grazie alla vicinanza al suo padrone ma anche per propria qualità, in persona dotata di raro intuito letterario, poiché con semplicità disarmante spiega al padrone che si tormenta: “Perchè vi ciliciate in tal maniera? […] son dell’avvertimento che la vostra opera va letta non soltanto a dritta, ma anche a rovescia”.
In tal modo Berta con la sua anima popolare e la profondità femminile, legge all’interno delle parole, nel loro intimo sentire, e intende che se l’opera somma che il suo padrone scrive, servirà al tiranno, potrà, di contro, servire anche al popolo, al quale quelle stesse regole potranno essere un invito ad aprire gli occhi, a ribellarsi ogni volta che può palesarsi una dittatura.  Berta conduce per mano il suo padrone attraverso territori rassicuranti, lo accudirà in silenzio nel momento del maggiore estro creativo e si comporterà come tutte quelle donne che vivono all’ombra dei grandi uomini con presenze necessarie e ispiratrici.
Berta è un personaggio femminile complesso e nello stesso tempo semplice, una “Mirandolina” ante litteram, e di più, una donna piena di luci e ombre, con una grande dialettica e arguzia, anche lei più moderna di quello che si possa credere, devota al suo padrone fino all’innamoramento. Un personaggio accattivante, una bella prova di attrice, per quella a cui sarà dato cimentarsi.
Una pièce finissima, per scrittura, profondità di contenuti e dinamicità, dove campeggia su tutto la somma ironia di Manlio Santanelli, quella ironia salvifica che è la chiave per comprendere gli umani e le cose del mondo.
Un testo che è teatro e letteratura, che si legge, nella sua godibilità, anche attraverso le pieghe delle parole, dei significati visibili e di certo auspicabile che venga rappresentato in teatro.
Una prova importante che aggiunge un nuovo tassello alla produzione di uno dei drammaturghi più  significativi della scena nazionale, le cui piéce sono state tradotte e rappresentate in molti paesi, un drammaturgo e uno scrittore direi fondamentale, dal coté internazionale, che vivifica la nostra cultura.
Manlio Santanelli è stato insignito di molti premi nella sua carriera artistica ma, infine, mi piace ricordare che una delle sue pièce  “Regina Madre”, venne salutata da Ionesco come una delle più belle commedie degli ultimi decenni.

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