«Ed il giovane, che aveva mentito benevolenza, per non sembrare ingrato, pensava “Ma se lo dicevo io, che non c’è verso, di liberarsi da una donna, che si sacrifica, per noi? Chi m’insegna, come far cedobonis di tanta felicit ?»

(V. Imbriani, Dio ne scampi dagli Orsenigo, 1876)

«Pap  gli disse con quella seriet  adolescenziale che colora i grandi momenti mi sono innamorata». Pietro Muro guardò sua figlia senza fiatare. «Mi sono innamorata di Roberto, Roberto Guadagno, il figlio del notaio». La guardò in silenzio. «Ci vogliamo bene. Lui ha intenzioni serie». Il padre continuava a seguire i pensieri. «Cazzo riflett , il figlio di Salvatore Guadagno, l’uomo più ricco di tutta la Pineta Europa». E, da uomo navigato che aveva tanto letto e studiato, Pietro Muro immaginava terre sconfinate, Palazzine costruite e da costruire, lunghe vacanze in lunghe spiagge soleggiate. Poi il pensiero si interruppe.

La figlia lo scrutava per capire. Non era mai successo rifletteva l’uomo che un amore fosse cresciuto con il benestare di un genitore. La letteratura, che egli conosceva benissimo, era piena di esempi di amori contrastati. Si convinse lentamente durante il lungo silenzio che, se voleva agevolare quell’amorazzo adolescenziale, doveva contrastarlo.
Per accendere il fuoco della passione, bisognava fingere di volerlo a tutti i costi spegnere. Pensava e si convinceva sempre di più che quella fosse la soluzione migliore. «Da quando ti ho messo al mondo le disse con i tempi lenti delle frasi solenni questa è la delusione più grossa che tu mi abbia mai dato. Roberto Guadagno non mi piace. Non mi piace proprio e io non approverò mai, mai e poi mai, la vostra relazione».
Adesso Pietro Muro si aspettava le lacrime. E, in effetti, la giovane scoppiò in un pianto, che cercava inutilmente di soffocare tra i singhiozzi. A questo punto non mancava che la protesta. Pietro Muro ipotizzava urla strazianti, minacce di fughe, maliziose frasi spezzate su soluzioni vergognose agli occhi della Comunit . Insomma si aspettava che sua figlia facesse quello che, dai tempi di Adamo ed Eva, i figli dovrebbero fare. Andare contro i genitori. La giovane guardò il padre negli occhi e, ormai calma, sentenziò «Pap , so bene i sacrifici che hai fatto per crescermi ed educarmi. Tu per me sei tutto e io non vorrei mai farti soffrire. E, quindi, ti giuro solennemente che questi occhi non vedranno più colui che tu non vuoi essi vedano». E se ne andò.

Cazzo. Non poteva aver sentito quello che aveva sentito. Quanta mansuetudine, quanta obbedienza. Incredibile.
Era sicuramente colpa di sua moglie, la mamma, che aveva inculcato nella fanciulla le regole ferree del rispetto filiale.
Vedeva sfumate, in un attimo, le immaginate terre sconfinate, le Palazzine costruite e da costruire, le lunghe vacanze in lunghe spiagge soleggiate. Cercò, nei giorni seguenti, di ritornare su quella faccenda, ma la figlioletta si era ormai chiusa in un fiero mutismo. Usciva sempre meno dalla sua camera; evitava compagnie; rifuggiva da qualunque forma di divertimento.
Pietro Muro, che aveva letto molto, pensò a un piano per riportare la situazione sulla direzione che avrebbe dovuto prendere e che, invece, bizzarramente non aveva preso. Fece intendere a Salvatore Guadagno, il notaio, che voleva regolarizzare l’acquisto dalle sorelle di alcune terre della Pineta, le quali erano ormai da tempo immemore sotto la propria gestione. Avrebbe voluto conoscere modalit , tempi e costi di quella regolarizzazione.
Chiese a Salvatore che mandasse suo figlio Roberto a prendere la documentazione l’indomani a mezzogiorno. A questo punto chiamò la figlia. «Cara Lucia esord Pietro so che tra di noi si è creata una distanza da quel giorno in un parlammo di Roberto Guadagno…». E Lucia non profer parola. «Devi anche sapere che io non vorrei mai e poi mai farti soffrire. Resto, però, della mia opinione. Roberto Guadagno non mi piace…».
E il silenzio continuava. «Purtroppo capita a volte che la vita, in modo bizzarro, ci metta di fronte a casi particolari. Io devo regolarizzare la questione delle terre della Pineta in compropriet  con le zie. Domani ho affari importanti da svolgere insieme a tua madre e, purtroppo, proprio domani passer  a prendere gli incartamenti, che sono sul tavolo dello studio, Roberto Guadagno per conto di suo padre».
La fanciulla trasal, evitando ancora di proferire parola. «Non vorrei che tu, nel rivedere quel ragazzo, venissi meno al giuramento che mi hai fatto. Ne resterei davvero deluso. Ho fatto di tutto credimi per evitarti questo supplizio, ma purtroppo a volte si verifica ciò che non vogliamo si verifichi». A questo punto Lucia prese finalmente parole e ribad, laconicamente, che mai e poi mai sarebbe venuta meno a quel giuramento.
Il giorno seguente si presentò, davanti agli occhi di un ignaro Roberto Guadagno, uno spettacolo imprevisto. Ad aprire la porta il giovane trovò la sua Lucia.             6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
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   B B  èî B è èî B  î î B»   B  è  —t  Bt   B î èî B  B   B B  è Quella fanciulla tanto amata portava, però, sugli occhi una benda vistosissima. «Ho promesso a mio padre sentenziò in tono profetico che i miei occhi non ti avrebbero più rivisto».
Roberto rimase sbigottito. E lo sbigottimento aumentò a dismisura, nel momento in cui egli si accorse che, nella mano destra, Lucia teneva un coltello appuntito. «Se io non avessi gli occhi e non potessi guardarti, potremmo vivere il nostro amore senza le costrizioni e i limiti imposti da mio padre. Potremmo amarci senza che io venga meno al solenne giuramento a lui fatto. Se io non avessi gli occhi, Roberto, mi ameresti lo stesso?».
A questa domanda, secca, precisa, rigorosa, Roberto avrebbe voluto rispondere con calma. Avrebbe voluto ribadire che s, certamente, lui avrebbe continuato ad amarla, ma che senza occhi, si sa, senza la vista, l’amore scema; avrebbe voluto dire alla sua Lucia che avere una donna volontariamente orba, alla lunga, avrebbe sicuramente creato qualche spiacevole litigio, qualche fastidioso attrito, il quale nel tempo lungo dell’amore vero avrebbe finito per minare il loro rapporto.
Insomma alla domanda «Se io non avessi gli occhi, Roberto, mi ameresti lo stesso?» egli avrebbe voluto con ragionevolezza rispondere che, forse, ecco forse no, senza occhi non l’avrebbe amata o meglio non l’avrebbe amata come l’amava adesso che aveva gli occhi. Ma non c’era tempo per spiegare tutto questo e, in quella serissima situazione, l’unica cosa che gli sembrò giusto rispondere alla domanda «Se io non avessi gli occhi, Roberto, mi ameresti lo stesso?» fu semplicemente “s”. Un “s” involontario che generò in Lucia una stranissima gioia mistica.
La fanciulla, improvvisamente, cominciò ad assestare col coltello colpi fortissimi agli occhi, fino a ritrovarsi in un mare di sangue.
Quel corpo insanguinato se ce ne fosse ancora bisogno dimostrava a Pietro Muro e non solo a lui che una cosa è la letteratura e un’altra, davvero altra, è la realt .

*L’AUTORE
Vincenzo Caputo svolge attivit  di ricerca presso il dipartimento di Studi Umanistici dell’Universit  di Napoli Federico II. Ha edito saggi e volumi sulla letteratura del Cinquecento, dell’Ottocento e sul teatro di area meridionale. All’attivit  critica affianca da anni l’interesse per la scrittura creativa. Ha pubblicato i racconti “Prima” nella raccolta Storie di ordinaria resistenza (a cura di A. Parisi, Homo scrivens, 2013), “Sulla pelle della Storia” nella raccolta Storie di ragazzi tra legalit  e camorra (a cura di L. Merola, Guida, 2014), “La pillola” nella raccolta La zona grigia. Scrittori per la legalit  (a cura di P. Bianchi, Guida, 2014), “Contra Eduardum” nella raccolta Scrittori per Eduardo (a cura di P. Bianchi, ESI, 2014) e “La coscienza di Steno” nella raccolta Scrittori in viaggio con i classici (a cura di G. Scognamiglio, Napoli, Guida, 2015). Di Vincenzo Caputo ilmondodisuk ha pubblicato i racconti “Una notte, un giorno, una notte” e “L’assemblea di condominio”.

Nella foto, "Gli amanti" di Magritte

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