Favola d’agosto per i lettori del mondodisuk. Buone vacanze! Ci rivediamo dopo la pausa estiva…

All’alba di ogni giorno il signor Salvo Pettirossis volava dritto alla sua tipografia. Sotto un basco francese d’inverno e sopra infradito fiorati d’estate, “planava” dalla collina fin giù al porto, sfiorando di un pelo il mare prima di imboccare le strette viuzze del borgo di Sant’Eligio. La sua bottega storica d’arte grafica lo attendeva come una signora d’alta classe, porgendogli la mano ingioiellata per invitarlo a entrare e sorridendo impercettibilmente se lui le sfiorava le dita con i baffi color avorio.
Sulle porte di vetro scintillante i volti dei grandi inventori e dei maestri della stampa, incisi con perizia certosina si crogiolavano al sole, allungando il collo per acciuffare un raggio in più e assaporare il tepore di un’estate infinita. Stamporius, il severo stampatore rinascimentale di origine tedesca, era stato inciso per primo sulla parte più alta della vetrata, appena sotto la pensilina di mattoni color ruggine, forse per preservarne la salute cagionevole da caldo ed intemperie. Con lo sguardo vigile e solenne metteva tutti in guardia dal fascino delle più strampalate teorie moderne sull’educazione del tipografo. “Niente bagordi, ma solo rigida disciplina!”, sembrava ammonire con il l’indice puntato verso il cielo. Character Mobile, fiero inventore dei caratteri mobili insieme al suo caro amico Gutenberg, mostrava solo il profilo, convinto che fosse la parte migliore di ogni uomo, ma soprattutto che un vero gentleman inglese non si debba mai esporre di più. Il veneziano Aldo Manuzio era il più lagunare di tutti. Estro e colori esplodevano ancora dal viso rubicondo e dal panciotto di velluto penzolava su carta ruvida di Fabriano il testo della prima canzone mai stampata in Italia: “Come è felice Venezia!”, storia di piccioni sbarcati all’ombra del leone di San Marco.
Ogni mattina le enormi chiavi rosse di ferro volteggiavano sette volte nell’incavo profondo della porta e a ogni piroetta l’attesa diventava sempre più palpabile nelle mani del signor Pettirossis e negli occhi trepidanti dei grandi maestri, che a ogni scoccar di mandata sembravano invitare la porta a spalancarsi: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e paff un universo d’inchiostro, carta, rulli, pedali, profumi dolciastri si srotolava come un tappeto da gran cerimonia, nascondendo il pavimento di maiolica blu cobalto, scuro come una quieta tavola di mare nel pieno della notte, rischiarato da candide stelle d’oro e d’argento. Le pareti ondeggiavano come barche sotto il peso degli scaffali di faggio rosso, gelosi custodi di immobili e silenziosi passeggeri. Erano le carte da banco, le etichette degli abiti di manifattura italiana e i caratteri mobili ad essersi imbarcati tanti anni fa, quando il giovane tipografo aveva smesso i panni di apprendista e era diventato il capitano della bottega più prestigiosa e raffinata di Napoli. Tutti conoscevano la tipografia Pettirossis del borgo Sant’Eligio e il signor Salvo, mani e piedi piccolissimi attaccati ad un enorme pancia stretta tra i bottoni di un gilet, era una vera istituzione!
Come gelato sciolto, centinaia di persone “colavano” dal centro, dalla periferia e dalla provincia per aggiudicarsi le ultime creazioni del famoso artista. Dalle macchine in moto perenne saltellavano biglietti d’auguri come pulci alle fiere e nei pomeriggi invernali i bambini facevano capannello intorno alle pedaline e aspettavano che spuntasse una nuova cartolina con una vecchia immagine della loro citt . “Guarda la riviera di Chiaia senza le macchine!” Gridava Ninni asciugandosi il naso con il polsino del grembiule azzurro. “A piazza del Plebiscito c’erano un gigante e una fontana” esclamava Marta, ricucendo nella mente le gigantate di cui tante volte aveva sentito raccontare. “Pulcinella mangia gli spaghetti da un cono di carta!” Diceva Pietro tra una mollica e l’altra del suo panino al prosciutto.
Salvo amava quei piccoli amici. Credeva nel futuro della sua bella e disgraziata citt  e era certo che quel futuro fosse gi  scritto negli occhi increduli di Ninni, Marta e Pietro.
Quell’anno Natale non arrivò n in ritardo, n in anticipo e dalle lancette dell’orologio svizzero della tipografia scoccò l’ora dei biglietti d’auguri.
Da qualche mese circolavano strane voci. Il nuovo sindaco Bassettino era intenzionato a radere al suolo la citt  per costruirne una nuova di zecca, con nuovi cittadini scelti tra parenti e amici e un nuovo centro antico. L’enorme ruspa dai denti gialli e feroci della ditta Croller aveva gi  demolito gran parte dei decumani e dei cardini, portando via millenni di storia.
Pettirossis non si allarmò fin quando non furono i bambini a confermare la notizia.
“Non c’è nulla da fare. Butteranno via tutto, anche la sua tipografia” sussurrò Pietro affranto affondano la mano nelle patatine. Tutti raggelarono. Manuzio, Gutenberg, Stamporius e perfino Character tentarono di balzare fuori dalla finestra per soccorrere il loro amico Salvo che cadde nel delirio di una febbre da             6                  «    oè è á«sptLlibrined dd dpG7e:EèHlèNO» OJe
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:     îî  îè  îèî  w  è  îïn       a>    îï    w   èî  î     èî   ïcavallo. Cosa ne sarebbe stato della sua tipografia? Doveva escogitare qualcosa per metterla al sicuro, ma cosa? Non c’era nulla che gli venisse in mente. Intanto brividi di gelo gli percorrevano la schiena e goccioloni di sudore gli imperlavano la fronte e i baffi color avorio. Marta, anima da crocerossina, restò con lui tutta la notte, asciugandogli il sudore e tenendogli la minuscola mano.
Al mattino, come se una scopa gigantesca avesse spazzato via ogni timore ed anche la febbre, Pettirossis balzò in piedi e annunciò la grande idea. Avvicinò le labbra all’orecchio della piccola infermiera e bisbigliò qualcosa. I grandi occhi color nocciola della bimba si spalancarono come se avessero visto un unicorno nel traffico del Vomero ed eccitata da quella bomba di notizia scappò fuori a avvertire i suoi amici.
Mancavano 24 ore al Natale e la ruspa era più che vicina. Nell’aria insolitamente gelida si sentiva ringhiare la bestia feroce e Salvo sapeva che doveva affrettarsi.
In un lampo si procurò due enormi strisce di carta resistente, forbici, colla e con un saltello da guitto si mise al lavoro davanti alla pedalina più antica. I maestri della stampa guardavano incuriositi l’amico al lavoro e non riuscivano a immaginare cosa stesse creando. Intanto la pedalina filava come un treno e a turno impresse sulle due strisce di carta centinaia di volute appuntite come penne color oro. All’alba il lavoro era concluso. Piano, piano dalla stampatrice scivolarono due grosse ali, ampie come quelle di un condor americano, ma molto più brillanti.
Il signor Pettirossis sapeva di rischiare grosso, ma se avesse avuto successo avrebbe salvato la sua tipografia. Il 25 dicembre di quell’anno il signor Pettirossis usc dalla bottega senza indossare il cappotto con due ali nelle mani.
Con lo sguardo concentrato a non commettere il minimo errore , imbracciò le ali di carta dorata e si legò con una corda molto resistente alla bottega. I primi passi che dovevano avviare la rincorsa furono molto difficili, ma un’ incommensurabile forza di volont  animava Salvo. Nelle orecchie cominciavano ad annidarsi i primi possenti ruggiti della bestia, ma con un sorprendente balzo, il tipografo riusc a sollevare l’edificio di un palmo e poi due, tre, fino a quando magicamente prese il volo. Improvvisamente dal cielo di Napoli si srotolò una coperta di neve cos fitta che sembrava aspettasse di essere aperta da sempre.
Il signor Salvo Pettirossis, tipografo, volava. Volava sul cielo della sua citt  con la tipografia sulle spalle. Sentiva il fresco dei fiocchi di neve sui baffi e le voci esultanti dei maestri stampatori nelle orecchie. Il lamento distruttrice della terribile Croller non era neanche più un ricordo. Era libero di volare nel cielo bianco di Natale.
Ninni, Marta e Pietro si erano dati appuntamento a piazza Mercato, avvolti in caldi piumini. Restarono con il naso all’insù qualche minuto prima di vedere la tipografia rimbalzare sulle nuvole, le ali dorate tagliare il freddo e il loro amico salvo da ogni pericolo.
Il silenzio incantato di quella mattina di festa si ruppe con le parole di Ninni: “Non sembra la stella cometa?” “Hai proprio ragione” annu Pietro.
I tre ragazzini si incamminarono senza dire nulla, seguendo quella striscia di luce e immaginando un mondo dove i sogni e le speranze si avverano.

GIOVANI AUTORI

Federica Arfè , 27 anni, è laureata in storia (Federico II di Napoli) e collabora con il quotidiano Roma. Segno particolare: ama scrivere favole napoletane

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