Seconda parte

La donna si diresse verso il bar. Salvatore ne approfittò per osservarla. Sicuramente era la proprietaria. A giudicare dal locale doveva essere benestante. Con un gesto rapido, si sistemò la cravatta lisa e si ravviò i capelli. La donna tornava. Oltre il succo di ananas portava una bottiglia di brandy e un bicchierino.
“Le farò compagnia” disse sedendoglisi accanto. “Ho l’abitudine di bere sempre qualcosa con l’ultimo cliente”.
Salvatore ringraziò con un cenno del capo. La donna accese una sigaretta.
“Una notte bellissima” disse. “Le piace passeggiare? Io sono una nottambula, ma in questo quartiere la gente va a letto presto e dalle nove di sera in poi c’è il coprifuoco per via di questi drogati”
” un po’ triste” balbettò Salvatore.
“Vivo al piano di sopra del locale” con la mano indicò una porta in fondo alla stanza. “Alle due chiudo le vetrate e me ne vado a dormire”.
Salvatore osò fissarla in volto. La donna soffiava il fumo con eleganza e lo osservava sorridendo. La situazione gli parve eccitante. Avrebbe volentieri pagato la consumazione per poter uscire di corsa, fermare il primo passante e raccontargli quella meravigliosa storia di una donna che in piena notte gli faceva avances inquietanti. Ma la donna era gi  in piedi.
“Avrebbe una moneta da un euro? Cos metto su un po’ di musica”.
Salvatore allungò premurosamente la moneta.
La donna mise l’ultima canzone di Mina che duetta con Celentano e tornò. Salvatore guardò verso la strada: non si vedeva un’anima. Questo dettaglio lo confortò, e preso da un improvviso ardimento la invitò a ballare.
“Volentieri” disse la donna, lasciando la sigaretta sul bordo del tavolino. Si tolse un maglioncino di lanettina scoprendo le spalle flaccide picchiettate di efelidi e liberando parte del seno che scoppiava da una camicetta trasparente.
Solo quando l’ebbe afferrata per la vita, rigida nel duro tessuto del busto, sotto la sua mano inesperta, Salvatore ebbe la convinzione di stare realizzando uno dei suoi vecchi sogni: avere un’avventura con una donna. Se era anziana o grassa, non importava. La sua immaginazione l’avrebbe scremata di ogni difetto. Guardando le mensole con le bottiglie girargli intorno, Salvatore si riconciliava con la vita e, sdoppiandosi, si burlava di quell’altro Salvatore, ormai distante e accantonato, che tremava di piacere per una settimana solo perch uno sconosciuto gli si avvicinava per chiedergli l’ora.
Quando fin il ballo, tornarono al tavolo e chiacchierarono per un po’. La donna gli offr un bicchierino di brandy. Salvatore accettò perfino una sigaretta. “Non fumo mai”, disse, “ma ora ne ho voglia, chiss  perch!”
La sua frase gli parve banale. La donna era scoppiata a ridere. Salvatore propose un altro ballo.
“Prima abbasso le veneziane” disse la donna avviandosi verso la vetrata.
Ballarono ancora. Salvatore notò che l’orologio alla parete segnava l’una. Eppure la donna non si decideva a ritirarsi. Gli parve di buon auspicio e fu lui ora a offrirle un brandy. Cominciò a sentirsi un po’ ringalluzzito. Fece domande indiscrete per creare un clima di intimit . Seppe cos che viveva da sola e che era separata dal marito. Intanto le aveva afferrato la mano.
“Bene” disse la padrona alzandosi. ” ora di chiudere il bar”.
Reprimendo uno sbadiglio, si diresse verso la porta.
“Resto con lei” disse Salvatore, con un tono imperioso che lo sorprese.
A met  percorso, la donna si voltò:
“Va bene. D’accordo” e continuò a camminare.
Salvatore tirò fuori i polsini della camicia e li rificcò dentro perch erano sfilacciati, si versò un altro bicchierino, accese una sigaretta, la spense e poi la riaccese. Dal tavolino osservava la donna e la lentezza dei suoi movimenti lo spazientiva. La vide prendere un bicchiere e portarlo al bancone, poi fare lo stesso con un portacenere, con una tazza. Quando tutti i tavolini furono vuoti, provò un grosso sollievo. La donna si diresse verso la porta e invece di chiudere restò immobile sulla soglia, guardando in strada.
“Che c’è?” chiese Salvatore.
“Bisogna metter dentro i tavolini della pedana”.
Salvatore si alzò, imprecando tra i denti. Per darsi un tono avanzò verso la porta dicendo:
” un lavoro da uomini”.
Quando arrivò alla pedana gli prese un colpo: c’erano una ventina di tavolini con le rispettive sedie e portacenere. Fece un rapido calcolo e constatò che l’operazione richiedeva un buon quarto d’ora.
“Se li lasciamo fuori se li rubano” aggiunse la donna.
Salvatore cominciò il lavoro. Prima raccattò tutti i posacenere. Poi cominciò con le sedie.
“Ma non in disordine!” protestò la donna. “Vanno messe una sull’altra perch il ragazzo domani deve spazzare”.
Salvatore ubbid. A met  lavoro era tutto sudato. Portava dentro i tavolini che erano di ferro battuto e pesavano come i libroni del suo archivio. La donna, sempre sulla soglia, lo guardava lavorare,            6                  «    oè è á«sptLlibrined dd dpG7e:EèHlèNO» OJe
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  è    èî  è èî   î î »     è  —t  t    î èî  con un’espressione amorevole. Ogni tanto, quando le passava col fiato grosso accanto, allungava la mano e gli carezzava i capelli. Questo gesto ebbe l’effetto di rianimare Salvatore, dandogli l’illusione di essere il marito che adempiva ai doveri coniugali per poter poi esercitare i suoi diritti.
“Non ce la faccio più” si lamentò, vedendo che la pedana era ancora piena di tavoli come se si moltiplicassero per incanto.
“Credevo che fossi più resistente” rispose la donna con ironia.
Salvatore la fissò negli occhi.
“Coraggio, che manca poco” aggiunse ammiccandogli.
In capo a mezz’ora, Salvatore aveva svuotato la pedana. Tirò fuori il fazzoletto per asciugarsi il sudore. Si chiese se quel tremendo sforzo non avesse compro-messo la sua virilit . Meno male che aveva l’intero bar a sua disposizione e che poteva tirarsi su con qualcosa di forte. Stava per entrare nel locale, ma la donna lo trattenne:
“La mia pianta, me la lasci fuori?”.
Mancava solo la pianta. Salvatore riconobbe il gigantesco vaso all’entrata della pedana come un volgare ficus spennacchiato. Armandosi di coraggio si avvicinò e lo sollevò da terra. Curvo per lo sforzo avanzò verso la porta e quando alzò la testa si avvide che la donna l’aveva appena chiusa. Da dietro i vetri lo guardava sempre con quell’espressione sorridente.
“Apra” bisbigliò Salvatore.
La padrona fece un grazioso segno di diniego col dito.
“Apra, non vede che mi spezzo le reni?”
La donna ripet il gesto.
“Per favore, apra, non mi vanno gli scherzi”.
La donna mise il lucchetto, fece una compita riverenza e gli voltò le spalle. Senza poggiare in terra il vaso Salvatore la vide allontanarsi stancamente, spegnere le luci, raccogliere i bicchieri e sparire dalla porta di fondo. Quando fu tutto buio e silenzioso, l’uomo alzò sulla testa il vaso e lo scaraventò al suolo. Il rumore della terracotta che si spaccava lo fece tornare in s: in ogni coccio vide un brandello della sua illusione.

FINE

L’AUTORE
Gildo De Stefano è saggista e studioso dell’universo musicale. All’attivit  di critico musicale e giornalista free-lance’ per quotidiani e riviste italiane e straniere, alterna quella di comunicatore politico.Tra i suoi libri r: Il Canto Nero (Gammalibri, Milano), Trecento anni di jazz (SugarCo, Milano), antropologia musicale dei neri d’America, Jazz moderno (Kaos, Milano), Vesuwiev Jazz (E.S.I., Napoli), Il popolo del samba (RAI-ERI, Roma), prefato da Chico Buarque de Hollanda e introdotto da Gianni Min , Ragtime, Jazz & dintorni, (SugarCo, Milano), prefato da Amiri Baraka/Leroi Jones. Per i Saggi Marsilio’ ha pubblicato l’unica Storia del ragtime (Venezia) edita in Europa, prefata da Ezio Zefferi. Ha scritto monografie su Frank Sinatra (Marsilio, Venezia) prefata da Guido Gerosa, Vinicio Capossela (Lombardi, Milano), Francesco Guccini (Lombardi, Milano) illustrata da Sergio Stano, Louis Armstrong (E.S.I., Napoli)

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