A Palazzo Zevallos Stigliano in via Toledo a Napoli visita alla Pinacoteca con pitture di Caravaggio e del ‘600 di artisti
napoletani.
Nel XVII sec. si esalta opulenza, ricchezza dei mercanti e della nuova borghesia, la gioia di vivere per
contrastare la violenta rigidit  dei dettami dell’Inquisizione. Tra i ritratti di nobili, scene di caccia, allegorie mitologiche,
nudi di donne muliebri eleganti nei loro abiti ampiamente scollati, entra la moda di tavole imbandite e di dispense o
tavolacci da cucina con la spesa del giorno ricca di frutta, ortaggi, carni e pesci tanto particolareggiate nei colori e nelle loro fatture da sembrare a primi accenni della fotografia che entrer  tra le arti dopo due secoli.
Dopo la visita delle pitture
tra cui molte “nature morte” illustrate con dovizia di particolari da Chiara Buonomo, laureata in storia dell’arte, lo chef Pietro
Parisi (foto), nell’antico atrio ora coperto da una vetrata liberty, presenta agli ospiti nei “boccaccielli”, che lo hanno reso
famoso, le sue succulenti invenzioni tra i fornelli
parmigiana di melanzane, polpetta al sugo, pizza di scarola e altre
delicate prelibatezze con vino delle terre del Vesuvio dai cui orti provengono le “nature vive” che usa per elaborare i
suoi menù.
Pietro è un artista con giacca linda bianca. Alla tavolozza sostituisce i tegami, ai pennelli posate e mestoli e
cucchiai di legno, ai tubetti i prodotti della terra.
Le sue fantasie ugualmente colorate non sono su tela ma calde,
tiepide, fredde, collocate con raffinata eleganza dentro piatti di ceramica. La sua arte fa gola per il profumo e il sapore.
Prima di soddisfare le papille gustative incanta lo sguardo per come ogni cibo è architettonicamente composto.
Lui si definisce un cuoco contadino non chef. Ha salde radici nelle terre vesuviane. Ha contatti con i contadini della zona
per procurarsi i prodotti che andr  ad elaborare in cucina. Ragazzo è andato all’estero per imparare l’arte del cuoco.

Ha imparato con Alain Ducasse, Gualtiero Marchesi, nell’hotel più noto al mondo a Burji al Arab di Dukai. E’ tornato nel
suo paese, Palma Campania, alle pendici del Vesuvio, faro della baita e simbolo come la torre Eiffel della citt . In una
Napoli, nota per la variet  di cibi e per la loro delicata prelibatezza, ha cambiato stile ripercorrendo le vie della
memoria, il mangiare della sua infanzia, le ricette antiche assimilate gi  da sua nonna Nannina, dei parenti, dei paesani.
La sua arte è una rivisitazione della tradizione come fu per Giotto e per gli artisti del nostro Rinascimento.
I suoi menù
non sono solo un legame con il passato ma è “dare sostegno a un territorio che non ce la fa più” come si legge nel
libro “Impresa difficile” di Corrado Formigli.
Il suo impegno è a difesa dell’ agricoltura, delle famiglie di contadini. I suoi
piatti sono a chilometro zero. Ogni piatto è con i prodotti di stagione. Ortaggi raccolti in primavera o d’estate vengono
conservati cotti a vapore. Altri piatti baccal  con carciofi e polenta, spaghetti alla chitarra con fave guanciale e pecorino,
agnello in tre versioni, cianfotta di verdure e pane cafone in zuppa di fagioli di Acerra, maiale gratinato con friarielli,
pizza al lievito fujuto lievitata col siero della mozzarella di bufala, paccheri alla genovese di terra e di mare ed altro.

“Zuppa di ramasuglia”, antico cibo della tradizione contadina, è preferita da Pietro.
Con la pasta c’è il “cucuzziello”
secco(zucchine essiccate d’estate), tarantiello di maiale(pancia conservata sotto sale), prezzemolo e alloro.

Il suo fare arte in cucina è filosofia di vita in cui va posta attenzione a ciò che mangiamo scartando prodotti nocivi.

L’alimentazione si evolve ma anche la tradizione in cucina va memorizzata supportandola con le nuove tecnologie. Con lui parliamo del suo percorso tra i fornelli .
«Per alcuni anni spiega- ho cercato di rendere quanto più professionali le mie conoscenze, con la voglia di apprendere nuove realt  e culture differenti. La mia ambizione era sempre quella di riuscire a far parte di brigate di una certa importanza e per questo scelsi di fare stage da Marchesi e da Ducasse a Parigi dove mi sono formato tecnicamente, per poi poter accarezzare in un modo differente i prodotti della mia terra».
La sua prima maestra, l’ha scoperta in famiglia. «La formazione del palato, importante per riconoscere i veri gusti dei prodotti, me l’ha donata mia nonna Nannina. Di quei prodotti che realmente rendono grande la nostra Italia. Per esempio, lei mi portava nei campi a irrigare i pomodori san Marzano e le melanzane violette».

Il suo lavoro, una mission. «Credo che il buon cibo debba essere per tutti e, quindi, qualche volta bisogna anche investire sui i propri clienti, soprattutto sui giovani. Con una nostra impresa ristorativa abbiamo cercato di avvicinarli ai prodotti del territorio facendo pagare 8 euro per menu con primo e secondo realizzati grazie a prodotti km zero».
Un lavoro, il suo             6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
BtnBBche non prescinde dall’impegno sociale.
«Il sociale dovrebbe essere il nostro pane quotidiano. Cos rendiamo un po’ tutto meraviglioso perch diamo la possibilit  agli altri di essere parte integrante dei nostri mondi».

E ha anche un altro obiettivo preciso
«Quello di diffondere i volti della gente che da anni crede in questo territorio ma quasi sempre non viene messa in risalto per le proprie doti. Si parla troppo spesso di questo territorio per cose non eccezionali. Vi assicuro che ci sono persone con rughe e calli tra le mani che lavoranosodo. Nel futuro vorrei diventare grande con la mia terra, orgoglioso di esserci tornato e di aver fatto crescere mia figlia tra questa magnifica gente che ha come chiave del successo la semplicit ».

I SUOI RISTORANTI

Era ora
via Trieste 147- Palma Campania

Le cose buone di Nannina
via ferrovia 2 – S. Gennaro Vesuviano

Per saperne di più
www.pietroparisi.it

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