Chris chrin phrei, la carit  porta carit , cos Sofocle nell’Edipo a Colono. Nella lingua dei classici greci, la chris ha molteplici significati e conosce diversi usi in contesti anche molto differenti. Tra i tanti significati, qui e ora interessa prendere in considerazione quello che nella nostra lingua può essere tradotto con affabilit , benevolenza e amore per gli altri, come piacere di donare agli altri senza pretendere n aspettarsi qualcosa in contraccambio. Si tratta, in sostanza, di quel sentimento di apertura e di attenzione agli altri che permette di regolare le relazioni umane non in base ai rapporti di forza tra privati o a norme convenute e imposte con la minaccia della punizione del trasgressore da parte della collettivit , ma in virtù di una simpatia, che ci fa sentire tutti e ciascuno come parte integrante di una stessa comunit , come cellule di un unico organismo vivente. La carit , assunta in questo significato, è composita e varia. Può coprire zone d’interesse privato e pubblico diverse.
SENTIMENTO DI SOLIDARIETA’
Può essere carit  corporale, riferirsi, ci, ai bisogni materiali e qualificarsi come apertura agli indigenti, come sentimento di solidariet  verso i meno fortunati, ed esprimersi con elargizioni ispirate alla pratica evangelica di dare da bere agli assetati e da mangiare agli affamati.
Può riferirsi ai bisogni spirituali in modo da trasformarsi da carit -per-i-corpi in carit -per-le-menti, in carit  intellettuale, incentrata fondamentalmente nei saperi e nella loro trasmissione alle generazioni future per renderne l’esistenza più agiata e soddisfacente. Questo tipo di carit  si configura come un aspetto di quella universale, avente per scopo l’attenzione al proprio tempo avvertito come momento della storia dell’umanit , nella consapevolezza che il presente non può ignorare le proprie radici n trascurare il proprio futuro.
Può, però, riferirsi anche alla dimensione civile e politica e investire i rapporti giuridici tra gli uomini, caratterizzandosi come carit  sociale, capace di far valere nei rapporti interumani, oltre le regole e le norme, oltre i concetti di giusto e ingiusto, di ragione e torto, un afflato emotivo, uno slancio emozionale, un senso di attenzione all’altro per quello che è e non per quello che ha fatto.
DIALOGO POSSIBILE
L’intelligenza della carit , perciò, può e deve riguardare tutto l’uomo, l’uomo integrale. Ed è veramente una delle forme della comprensione intersoggettiva per la quale gli uomini debbono essere e sentirsi reciprocamente grati. Proprio l’intelligenza della carit  permette che tra di essi non corra soltanto l’abitudine dovuta all’istinto, ma corra qualcosa di più, veicolato dalla parola ricca di intelligenza e di emozione, corra ci il dia-logos. Dialogo inteso come relazione interumana che, nel rischiarare e rendere comprensibile la propria posizione, si fa carico di comprendere la posizione dell’altro e di sentirne le ragioni profonde. Dialogo possibile, perciò, solo a partire da una disponibilit  affettiva per l’altro, appunto dalla carit .
Senza la carit  può esserci un agglomerato di uomini, ma non può esistere una vera comunit  civile, costituita da soggetti collaboranti e proiettati verso la realizzazione di un fine unitario, di un bene comune. Torna utile ed efficace ricordare, a tale proposito, san Paolo, che ammoniva “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carit , sarei come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede cos da trasportare le montagne, ma non avessi la carit , non sarei nulla”. Senza un’apertura benevola e sincera verso gli altri, tutte le qualit  perdono di potenza e di senso.
COME IL PERDONO
Un caso a parte è la carit  sociale. Essa è come il perdono. Rende possibile superare anche odi profondi, perdonare anche il non perdonabile e il non prescrittibile. Più che una sorta di composizione tra punti di vista opposti, tra posizioni differenti, la carit  sociale si qualifica come dono gratuito, come offerta disinteressata di conciliazione con l’altro e di comprensione caritatevole della sua posizione. Per essere dono gratuito, la carit  non deve mai servire per imporre forme di dominio, di sottomissione psicologica dell’altro. N deve porre come condizione per “vivere-insieme” che l’altro si assimili a noi, dimostri di essere caritatevole come sentiamo di esserlo noi. La carit  non pone condizioni n chiede contraccambi. capace da sola, motu proprio, di superare le diversit  e di tradurre la rigidit  e il rigore dei rapporti regolati dal diritto nella forza soverchiante di apertura alle ragioni altrui.
Se è vero che nell’uomo è attiva una radicale inclinazione al male è vero anche che vi alberga una originaria disposizione al bene. La carit , nello slegare l’altro dalla sua diversit  e/o il reo dalla sua colpa attraverso la comprensione delle sue ragioni, svolge la funzione di reintegrarlo nella sua originaria disposizione alla collaborazione e al bene comune, mostrando in tal modo la vera natura del male, non connaturato strutturalmente all’essere umano, ma prodotto dalle condizioni e dalle occasioni della storia.
MAI SENZA GIUSTIZIA
Dei rapporti tra carit  e giustizia ha ragionato anche il Papa Benedetto XVI nei paragrafi 26-29 dell’Enciclica Deus caritas est. Ma gi  a partire dal Medioevo i giuristi e i canonisti stabilivano una stretta relazione tra carit  e giustizia. Stretta relazione significa che l’una non può stare senza l’altra. “La carit  non sar  mai vera carit  senza giustizia”. La carit , in quanto capacit  di slegare il reo dal suo atto, se non è accompagnata dall’esercizio giurisdizionale del diritto, da sola non basta e non realizza lo scopo. Ma anche la giustizia non sar  mai vera giustizia senza carit . Privata della radice della carit , la giustizia non recupera il reo, non lo reintegra nella sua originaria disposizione al bene. Anzi lo conferma nella radicale inclinazione al male.
MOTORE DELLA SOCIETA’
“Summum ius summa iniuria”, il diritto applicato con sommo rigore si traduce in una somma ingiuria ovvero nella negazione della giustizia. La giustizia ha senso soltanto se non ha funzione vendicativa, soltanto se serve a recuperare il reo e a reintegrarlo nella societ  umana, soltanto se si rende strumento di mediazione tra l’offensore e la societ  offesa nella sua interezza, pur attraverso la singola persona. Ed ha efficacia solo se, sollecitata dalla carit , si trasforma da giustizia istintiva in giustizia civile.In questa ottica si può tranquillamente affermare che la carit  è il vero motore della societ , anche nell’esercizio della giustizia. Sganciata dalla carit , la giustizia perde il suo significato profondo per limitarsi a gestire freddamente e impersonalmente una serie di norme giuridiche. Scade nel giuridicismo. Lacera i rapporti umani. Spezza i legami di emozioni e di sentimenti che sono il tessuto connettivo di una societ . Fa scadere il “vivere-insieme” a un semplice “stare-insieme”, gli uni accanto agli altri come cose in un magazzino; uno “stare-insieme” regolato da leggi fredde e fisse, incapaci di attivare tensioni e passioni di simpatia e di reciproca comprensione.La più grande virtù della carit , perciò, è la purificazione che riesce a compiere sulla mente umana. Kant voleva una ragione pura, puramente intellettualistica, scevra da passioni, abitudini, legami al particolare. La ragione purificata dalla carit , invece, è mente depurata dall’egoismo e dalla volont  di trattare l’altro come nemico da cui difendersi anche con la forza o, all’occorrenza, da offendere senza pagare pegno.

In foto, un busto di Sofocle

*storico della filosofia Universit  di Salerno

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