L’arte è imprescindibilmente legata alla societ , ne è la sua espressione. Talvolta accade che il mercato, in una visione triadica che vede operare insieme i tre fattori “arte societ  e mercato”, rompe gli equilibri e sposta l’attenzione su aspetti molto distanti dall’impegno civile.
Non è quest’arte “dominata dal mercato”, o che piega il capo ad essa, quella che propone Salvatore Manzi a Castel Volturno (CE), nella propriet  sequestrata al boss Zaza, (morto negli anni novanta) al contrario è un’arte che guarda alla societ , sposa l’impegno civico distaccandosi dalle perverse tattiche del mercato.
Un’esposizione che riflette sulla libert  di scelta guardando con particolare attenzione a coloro che, a causa di difficolt  economiche o gap culturali, non hanno possibilit  di scelta tra il bene e il male, che assecondano le logiche del potere, non conoscendo mezzi attraverso cui evaderle. Questa situazione, come spiega Stefano Taccone, curatore della mostra, interessa non solamente gli strati sociali immersi nelle difficolt , ma interessa tutti noi, chi più chi meno siamo attenti a non disturbare le persone più potenti di noi, a cui prima o poi vorremo arrivare, godere del loro potere e del loro favore.
Un grande affresco quello dipinto dal curatore in cui si vedono rappresentati due grandi gruppi di persone, gli sfruttati e gli sfruttatori, per semplificare, anche se potremmo elencare una lunghissima serie di sfumature, i quali gruppi sono molto distanti eppure tratteggiano tra di loro rapporti inconsci, inconsapevoli. Lo stesso meccanismo che permette il funzionamento di un telefono cordless, senza fili legato alla sua base, senza la quale non potrebbe esistere e svolgere le sue funzioni.
“Il denaro come fine, cui si intreccia in maniera perversa la smania del successo, in una dinamica in cui il possedere e l’apparire, alimentandosi l’un l’altro (possedere per apparire; apparire per possedere) erodono progressivamente l’essere, sembra costituire oggi più che mai l’ossessione dell’uomo. Esso diviene cos uno strumento di coercizione morbida. Di dominio tanto più efficace in quanto perseguito “con le buone” e dunque a stento percepibile, eppure, in quanto tale, non meno (anzi meglio) capace di tenere in scacco i suoi sudditi”. Questa è la forte denuncia che ispira la mostra, nel contesto del “Festival dell’Impegno Civile – Le Terre di Don Peppe Diana”, che si terr  oggi. Manzi propone una “decolonizzazione dell’immaginario”, un sovvertimento dei valori attualmente vincenti.
L’arte è l’elemento dirompente per eccellenza, apre e chiude cicli di storia, segna un’epoca attraverso un’immagine: avr  la forza, se non di cambiare, almeno di smuovere alcuni tasselli del nostro immaginario?

In alto, la locandina dell’evento. Sotto, opera in mostra

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