L’aneddotica sul Duce è vastissima. Si narra ad esempio che una volta, andando a fare visita a un ospedale dove tutti si erano dati da fare per addobbare l’ingresso in attesa della importantissima visita, volle entrare da una porta secondaria. Patacche e sudiciume vennero fuori impietosamente. Cambiamo location ed epoca. La homepage del sito Poste.it pubblica una dichiarazione del Presidente del Consiglio resa a margine della sua visita al polo tecnologico di Poste Italiane. Egli “loda l’azienda, esempio per l’ammodernamento di tutto il Paese e il lavoro del management che ha trasformato un pachiderma burocratico in un’azienda all’avanguardia”. Sarebbe scioccante, per l’ignaro ma non sprovveduto Presidente del Consiglio, entrare in alcuni avamposti primari dell’azienda, raggiungibili tuttavia solo da porte secondarie. Non quelli destinati all’implementazione dei pagamenti on-line o alla raccolta attraverso Postepay e i conti correnti postali. Parliamo di quei luoghi dove è necessario il contatto tra utente e impiegato. Una relazione fatale, alla quale sono del tutto estranei i colori festosi dell’azienda rappresentati attraverso la piattaforma virtuale, con la frasistica ottimisticamente orientata, i sorrisi e le divise impeccabili degli impiegati fotoscioppati ritratti nelle varie sezioni del sito, le dichiarazioni trionfali relative al bilancio e alle iniziative umanitarie.
Cambiate realt , entrate da una porta secondaria. Andate ad esempio all’ufficio inesitate di via Monteoliveto a Napoli, a ridosso della sede centrale di piazza Matteotti, l’edificio postale più noto di Napoli, e vi sentirete precipitati dal paradiso del miracolo avanguardistico all’inferno delle macerie, quelle umane comprese, abbandonate a se stesse. Con la differenza che mentre il paradiso era virtuale, l’inferno è reale. Eppure questa gente, e i clienti che con essa combattono, sono quelli che hanno tenuto su le Poste sinora. Ma sono come quei parenti che ci si vergogna di esibire.
La fila davanti all’ufficio inesitate è gi  consistente e piuttosto elettrica di mattina presto. La gente viene qua per ritirare una qualche raccomandata e sa che ci trascorrer  la prima met  della giornata di sabato. Quelli con più esperienza sanno che la circostanza è ad altissimo rischio di scontro. Dentro hanno messo qualche sedia riciclata e meno sgangherata, ma continuano e resistere in giro quelle a stile misto recuperate alla meno peggio chiss  da dove. Una in particolare è pericolosamente traballante. Pensare che possa sedervisi una persona anziana o una donna incinta fa venire i brividi. Il personale non indossa certo i colori dell’azienda qui tutto è perdita e rassegnazione. Il nitore garantito dai fotografi professionisti chiamati a rappresentare il miracolo avangardistico è qualcosa di remoto, l’impresa di pulizia sembra aver dimenticato questa tappa da anni, gli impiegati resistono finch possono e al momento del crollo portano fuori, assieme agli utenti esasperati, il peggio di s. Tuttavia un’occhiata alle condizioni organizzative, alle suppellettili, al sudiciume e al totale abbandono semiologico rende difficile condannarli. Appena un metro più in l , sullo stesso marciapiedi, risplende di inutile vanto un sontuoso punto di vendita di prodotti filatelici nei giorni di Natale vi era stato aggiunto un albero elegante e sfarzoso, i pavimenti luccicano, le impiegate sfoggiano divise impeccabili e pulite, e appare sempre vuoto.
Poco più su, nel braccio sinistro dell’edificio centrale, gente di ogni et  sta in fila in condizioni da terzo mondo per spedire una raccomandata o fare qualche altra ordinaria operazione. Impossibile avere una ricevuta di ritorno da compilare l’impiegato dice che si deve fare la fila anche per quello, e poi rifarla per spedirla. Cosa da denuncia, e perdipiù è quasi un ragazzino. Almeno due ore in piedi, senza un appoggio, in un micro-contesto che definire brutale è poco. Gli utenti inaspriti da una sorta di inspiegabile follia ambientale litigano in modo talvolta volgare con gli impiegati, che rispondono di par loro.
Nel frattempo il sito brilla e rifulge, mentre all’ufficio inesitate la gente e gli impiegati continuano a combattere la loro indecente e indesiderata battaglia, abbandonati e, forse, persino sgraditi. Certo, questi luoghi tetri e questi impiegati con la barba a volte incolta, questi clienti che sovente si esprimono in dialetto, queste sedie pericolose, queste imprecazioni, queste urla, queste code, questo schifo andrebbe visitato. Entrando da una porta secondaria, di soppiatto. Solo allora le esclamazioni di lode, quale che ne sia la fonte, potrebbero avere una loro maggiore completezza e credibilit . Senza scomodare certi condottieri del passato per far capire in quali condizioni siamo oggi, qua.

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