Ha fatto centro con il suo Don Giovanni  napoletano, edito da Guida (pagg. 174, euro 14).  E non solo nel cuore dei lettori, ma anche nella mente  di chi compone la giuria del Premio Capri – San Michele. Anna Maria Siena Chianese, infatti, riceverà sabato 30 settembre il Premio Anacapri, durante la cerimonia di consegna dei riconoscimenti  che si svolgerà sull’isola azzurra, all’auditorium comunale di Anacapri,  dalle 18.
Il suo dramma giocoso in due atti, realizzato anche grazie alla  collaborazione della nipote, la giovane artista Maria Regina De Luca, che ha scelto Madrid come residenza e che ha lavorato con lei alla stesura di queste pagine in qualità di esperta di teatro, di cinema e di sceneggiatura,  non è solo una novità letteraria ma anche spunto per parlare della canzone  napoletana, alzando il sipario su un mondo sconosciuto a molti che  si soffermano, invece, solo sui suoi aspetti stereotipati.
Una lezione di stile nonché di verve teatrale, un modo intelligente per diffondere conoscenza,  senza annoiare. Per ridare nuovo vigore a una figura mitica.

don giovanni| ilmondodisuk.com
Qui sopra, la copertina del libro. In alto, Villa San Michele, ad Anacapri. E, in basso, Anna Maria Siena Chianese nell’amata isola azzurra

«Don Giovanni – spiega l’autrice, che ha un bagaglio di tante pubblicazioni, anni di docenza e  fitte collaborazioni giornalistiche con varie testate – è un personaggio la cui fama si diffuse rapidamente nella cultura europea fin dal suo “debutto”. Emblema dell’uomo che vorrebbe possedere ogni donna e che ogni donna vorrebbe possedere, anche per una volta, anche al buio, anche nel segreto del cuore, tiene tuttora la scena,  non diversamente da Carmen o da Amleto, simboli o, meglio, sinonimi, di modi di essere dell’essere umano, del mondo e della vita e quindi eterni, di là dal tempo e dallo spazio perché ogni spazio e ogni tempo lo vivono e ne sono vissuti».
La stesura del testo è stato un lavoro appassionante per lei e Maria Regina, che è stata altrettanto contagiata dal virus musicale diffuso in famiglia dove  suonare il piano da provetti musicisti o da “privatisti domestici” era abitudine sacra e irrinunciabile.
 Il padre, tra l’altro coltivò per tutta la vita, l’amore per  le canzoni di E. A.Mario conosciute al fronte trasmettendo ai familiari quel suo modo di sentirle e studiarle. «Quel virus – ironizza – si spandeva resistente a ogni forma di disinfestazione perché l’altra musica, eventualmente riparatrice del contagio che girava per casa, era la musica classica dei diplomati che, a suo modo, ha lasciato altrettanto il suo segno».
Ma torniamo al libro. E’ un’idea divertente che nasce da uno “sfizio”, parola  napoletana intraducibile, perché nessuna in italiano riesce a coglierne davvero il significato. E questo sfizio «si trova a sprofondare in un mare di possibilità scoprendo via via che la ‘vestibilità’ delle canzoni sul testo dell’opera aveva quasi del miracoloso. Da Leporello recalcitrante verso il suo mestiere al cinismo concettuale di Don Giovanni sull’amore, le canzoni napoletane nelle quali lasciar fluire la trama erano là, belle e pronte, come appena confezionate da uno di quei sarti che riuscivano a far indossare lo stesso abito a diversi tipi di donne solo per merito di una creatività ad ampio raggio e di un altissimo mestiere (che, guarda caso, appartenne alla grande ai sarti napoletani di un  tempo). A chi, meglio che a Don Giovanni, offrire l’opportunità di aggiornare la sua ars amatoria con parole e musiche dalla ancor vivida fioritura?».
La canzone napoletana è unica e non ha  bisogno di difese perché si tutela da sola, nella sua purezza.  Né va imbalsamata in un  museo di cui si parla da oltre  vent’anni (oltre la sezione Lucchesi Palli che  le è dedicata alla Biblioteca nazionale). Piuttosto Anna Maria mette a fuoco un’altra carenza: «Quel che urge è una scuola, una sala, un teatro dedicati alla canzone napoletana che si rifaccia alla grande tradizione secolare c fino al secondo dopoguerra, e da lì via via va esaurendosi in qualcosa d’altro, salvo qualche sporadico e isolato germoglio degno delle antiche fioriture. Ci sono centinaia di giovani artisti, compositori, autori, cantanti che si esibiscono in luoghi impropri o addirittura per strada, ma sugli schermi tv e nei teatri istituzionali continuano a imperversare manipolatori di canzoni antiche modulate su  melodie nuove, con l’incoerenza logistica e concettuale che ne deriva».
La canzone napoletana somiglia a una gouache, ha colori delicati, preziosa, non tollera mistificazioni, né elaborazioni di sintesi chimiche. E tra una considerazione e l’altra,  arriva un suggerimento per dare una  svolta alla nostra economia:  «Rimettere in circolazione la canzone napoletana, nella sua accezione appropriata, significherebbe  risanare i bilanci comunali provinciali e regionali, dando lavoro anche a migliaia di persone. Ma chiese abbandonate, teatri antichi  chiusi, aree pubbliche destinate a faccende del tutto improprie che potrebbero esserne le sedi, restano là, nei lunghi sonni delle bellezze di Napoli addormentate dall’incantesimo della negligenza, dell’ignoranza e dell’incuria senza che nessun principe azzurro possa mai venire a risvegliare».
Un patrimonio immenso, ignorato dalle nuove generazioni in una realtà che legittima  tutti a svuotare di dignità il sapere. «Ho scritto il mio Don Giovanni- conclude la scrittrice- sperando che l’eternità del personaggio e la sua eterna vitalità possano comunicarsi a una delle cose belle che l’uomo ha creato, siano o non siano patrimonio dell’umanità per decreto, ma che sono certamente patrimonio dell’uomo per diritto di suolo, di sangue e d’appartenenza: la nostra eterna, fragile e sognante, appassionata e dolente, vivida e eternamente giovane canzone di Napoli».

 

 

Anacapri| ilmondodisuk.com

Ecco  tutti i vincitori del Capri-San Michele
 “L’Italia dei sentieri Frassati” di Antonello Sica e Dante Colli, Club Alpino Italiano, opera vincitrice della XXXIV Edizione del Premio Capri – S. Michele
Premio speciale a “Liberiamo il tempo”, EMI, e “Chiamate in attesa”, Vita e Pensiero, di Josè Tolentino Mendonça.
Premio Grotta Azzurra a “Servitore di Dio e dell’umanità. La biografia di Benedetto XVI” di Elio Guerriero, Mondadori, ed a “Joseph Ratzinger – Benedetto XVI. Immagini d’una vita” di Maria Giuseppina Buonanno e Luca Caruso, San Paolo
Per le altre sezioni. Attualità:La fine dell’Europa. Nuove moschee e chiese abbandonate” di Giulio Meotti, Cantagalli; economia: “Economia della pace” di Raul Caruso, Il Mulino; giovani: “Tecnologie di comunità” di Pier Cesare Rivoltella, La Scuola; politica: “I migliori al potere. La qualità nella rappresentazione politica” di Antonio Campati, Rubbettino.
Premio Riviste a “Dialoghi”, Ave; il Premio Giornalistico Italo de Feo a Massimo Enrico Milone per “La Chiesa di Papa Francesco, i cattolici, la società”, Guida; premio Laura Rolandi a Maurizio Cotrufo per “La sanità malata”, Editoriale Scientifica; premio Anacapri a Anna Maria Siena Chianese per “Don Giovanni napoletano”, Guida.
 Riconoscimenti di varia umanità a: Marco Milano, giornalista pubblicista, docente; Tiberio Brunetti, consulente di comunicazione, scrittore; Lucia Ciavolino fondatrice e redattrice di “Frammenti di luce”
La giuria è presieduta da Lorenzo Ornaghi. Componenti: Grazia Bottiglieri Rizzo, Ermanno Corsi, Marta Murzi Saraceno, Raffaele Vacca. Presidente onorario, Francesco Paolo Casavola, membro onorario Vincenzo De Gregorio.

 


 

 

 

 

 

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