Spagna e Italia, e gli storici si divertono a giocare tra aggettivi e sostantivi: Italia spagnola o Spagna italiana? Storici spagnoli e italiani ben noti e attivi nel mondo della ricerca tengono tuttora viva la querelle sull’argomento delle influenze reciproche tra le due culture e le due civiltà.
Per Italia s’intende naturalmente Napoli che, già metropoli ai tempi del vicereame, nello scambio culturale con i dominatori ebbe modo di crescere nella sua vocazione di capitale europea della cultura. Come la Spagna importò positivamente gli influssi dell’arte e dell’umanesimo che ebbe a Napoli la sua fonte e da Napoli la sua diffusione, così Napoli  assorbì e adottò usi e linguaggi dei dominatori. Anche l’influsso reciproco delle arti figurative contribuì ad arricchire le due culture.
I rapporti tra potere  e popolo, in due secoli di vicereame, non mancano di episodi che hanno fatto storia, dei quali la rivolta del 1547 contro il tribunale dell’inquisizione spagnola e quella di Masaniello  contro l’ingiustizia vicereale sono emblemi plurisecolari di quella dignità antropologica napoletana che considerò il servaggio “male di popolo, più colpa dei servi che dei padroni” e che evitò a Napoli, unica città dell’impero di Carlo, di divenire sede del Tribunale dell’Inquisizione. Forse fu proprio per merito dei privilegi imperiali alla città quale capitale che il viceregno  durò più di qualsiasi altra dominazione su Napoli.
Basti citare emblematicamente  quella teatralizzazione della vita, innata sia nel popolo che nei governanti e che contribuiva a dar lavoro a artigiani, artisti, operai, musicisti e architetti non solo nel continuo abbellimento della città, ma anche nella edificazione dell’Effimero, che festeggiava popolo e governanti alla pari, nello stesso tripudio estetico nel quale il cibo, sovrabbondante per una  notte, rientrava nei piaceri della vita allo steso modo del teatro, un’altra delle cifre identitarie di Napoli e della Spagna.
I viceré svolsero anche un’intensa attività da mecenati  e investirono ingenti capitali nelle opere pubbliche- e nell’acquisto di dipinti degli artisti italiani che avrebbero aumentato il prestigio della corona. Molte e splendide costruzioni di Napoli parlano spagnolo, da port’Alba a Palazzo donn’Anna a tutta l’insula di San Giacomo alla celebre via Toledo.
Possono considerarsi elementi di contatto antropologico- social-culturale la venerazione e il rispetto per la sacralità  e per il trascendente che  si esprimevano, in Spagna come a  Napoli, con quella teatralizzazione  del sacro che non aveva niente a che fare con la finzione, ma era un ritorno alle origini, a una sincerità e un’innocenza che i nuovi strumenti espressivi del pensiero e del linguaggio andavano rinnegando via via che se ne sfrondavano gli aspetti ritenuti superflui o, addirittura, inutile zavorra.
Prendendo ad esempio le processioni sacre, che in Spagna si ripetono secondo il calendario in tutta la loro magnificenza e accorrenza di pubblico, nonché di migliaia di turisti richiamati dall’evento, a Napoli resta, sempre più mortificata, quella di San Gennaro a Santa Chiara il primo sabato d Maggio e, se si raffronta appena a quella di qualche decennio fa, si può serenamente decidere di eliminarla di botto, evitandone la lenta agonia che già sta patendo da troppo tempo.
E a proposito del mecenatismo culturale dei viceré, che ebbe in Carlo convinto promotore, pensiamo al Largo Carolino, splendido emiciclo vanvitelliano coronato dalle 26 virtù di Carlo, divenuto ora zona pedonale per merito di un’architetta che non conosceva la storia, e forse nemmeno l’architettura, e di un committente che sapeva solo contare, ma né leggere né scrivere. Le  ali laterali sono state debitamente spianate per il passaggio dei veicoli.
Molto hanno abbellito la città le dominazioni straniere, delle quali quella spagnola fu la più lunga e significativa. A Port’Alba, il viceré duca d’Alba fece erigere al posto del foro abusivo aperto nel muro di cinta della città per entrare più rapidamente in comunicazione con la parte dei borghi; ancora, il Palazzo dei misteri e dell’incompiuto battezzato  col nome della viceregina Donn’Anna Carafa, scambiata poi dalla leggenda popolare con Giovanna d’Angiò; Palazzo reale, sede di sovrani spagnoli, italiani e poi uffici pubblici; il teatro San Carlo, che dovrebbe far arrossire la vicina stazione di piazza municipio e tutti quanti vi hanno attinto in trent’anni di inutile spreco. Comunque, i confronti tra epoche non giovano mai a quella più recente, a meno che non si parli di epoche barbare, e non sempre.
Chi è venuto a Napoli, in visita o quale occupante, vi ha lasciato sempre qualcosa da conservare, da mettere a frutto, da mostrare, da usare come bene della città perché, insieme alla ricaduta culturale, se ne avesse quella economica. Il turista o lo studioso che peregrina per il mondo in cerca di arte e di bellezza  trova qui tesori  solo perché voluti, pagati, commissionati da  estranei e trova, oltre la Napoli sveva, angioina, aragonese e via dicendo, una Napoli “italiana” , per non parlare del resto.

In alto, il palazzo reale di Madrid fotografato da Regina De Luca. Qui sopra, uno scatto partenopeo di Pasqualina Tramontano
In alto, il palazzo reale di Madrid fotografato da Regina De Luca. Qui sopra, uno scatto partenopeo di Pasqualina Tramontano

Le infinite fonti di reddito che la natura e la storia ci ha donato, da Bagnoli a tutta la zona flegrea, sono lasciate a giacere in attesa del deterioramento definitivo. Quanto ai beni  architettonici, è ridotto a letamaio l’ex Circolo della Stampa, lasciato per spirito provvidenziale alla mercé di animali  randagi, la Galleria  cade a pezzi,  il centro antico chi lo conosce lo evita e Castel Capuano, reggia e Tribunale sotto il ‘dominatore’, è ora circondato dagli unici negozi rimasti aperti nella zona, pochi decenni fa ancora ricca di attività commerciali:  quelli delle pompe funebri, e qualche eroico gestore di bar o piccole trattorie.
Con amarezza e dolore dobbiamo dire che il confronto tra Napoli e la Spagna, della quale emblematicamente scegliamo Madrid, non regge più, nemmeno lontanamente. Quel che reggeva tra un popolo straccione e vicerè e sovrani costituendone elemento di scambio, di contatto, talvolta d’intesa, e nonostante la monarchia assoluta al potere, oggi sarebbe addirittura inconcepibile sia per mancanza di materiale di scambio che per la profonda indifferenza, la impenetrabile barriera che è stata eretta negli ultimi decenni tra potere e popolo in quelle che chiamano democrazie. Diciamo solo che a Madrid la vita è ancora degna di esser chiamata col proprio nome, e senz’aggettivi specificativi  aggiunti.
Far confronti tra paesi ci ha portati lontani, o meglio, ci ha ricondotti nella nostra atmosfera di ordinaria follia. Dimenticavamo la Duchesca, sede di regge e  conventi dove sono risuonati i madrigali cinquecenteschi e i canti e le danze spontanei e affascinanti del popolo. Ma fermiamoci qua, e invitiamo gli uomini di buona volontà  a organizzare una di quelle associazioni  onlus di beneficenza e assistenza ai malati e andare in giro per la nostra città malata, che sopravvive con dolore e solo per merito della sua insuperabile arte del vivere appresa nei millenni.

 

 

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