Continua il nostro viaggio al World press Photo in mostra a Napoli, fino al 4 gennaio (Palazzo Roccella- via dei Mille). Sarah Elliot, giovane fotografa californiana, affronta una tematica molto dura da digerire per l’universo femminile, ma in particolar modo per le donne keniote
l’aborto.
Attraverso questo toccante reportage, Sarah ci espone il suo lavoro in modo molto toccante con gli occhi di una donna che è dalla parte delle donne!
Nel periodo in cui è stata sul posto per studiare da dentro il fenomeno, in Kenya si stava vivendo un momento molto sentito per un tema scottante il referendum costituzionale.
“L’aborto si pratica -spiega Sarah- anche se è vietato dalla legge. La pena è di 7 anni di galera per le donne che decidono di sottoporsi all’intervento e 14 anni per il medico che ha operato.
Sono stata in un centro per i diritti umani per ottenere più informazioni possibili su questa tematica, ma nessuno sembrava volesse aiutarmi.
Un po’ da sola, un po’ con l’aiuto di gente sul posto ho iniziato, dopo svariate ricerche, a trovare laboratori dove si pratica l’aborto.
Apparentemente -continua Sarah- le strutture assomigliano a delle farmacie dove sul retro si attua l’operazione su un lettino mal ridotto in un ambiente dalle scarsissime condizioni igieniche”.
Per non avere difficolt  nello scattare fotografie, tramite la sua interprete, decise di far capire che il suo reportage non voleva essere di denuncia, ma un racconto di storie su una violenza che molte donne subiscono ed il disagio che queste devono affrontare.
Per quanto riguarda quella fetta (enorme) della popolazione povera, la legge è restrittiva.
Nonostante il divieto, nel centro della citt  esistono delle strutture ospedaliere organizzate per effettuare l’aborto.
Nonostante l’attenzione delle cliniche private per gli attrezzi sterilizzati, la maggior parte del paese non vive in condizioni d’igiene ottimali per coloro che hanno rapporti sessuali, i preservativi vengono usati e poi lavati pronti per essere riutilizzati molte altre volte ancora.
La paura dell’aborto è fortissima per due ragioni
-la condanna ad anni di carcere
-la morte.
Molte sono le donne che subiscono l’intervento e che non sopravvivono dopo l’operazione.
Nelle strutture ospedaliere situate al centro della citt , gli ambienti sono sterili, le attrezzature sono presenti ed i dottori preparati ma questo trattamento è riservato solo a coloro che possono permettersi una spesa del genere, pagando caramente il servizio.
Ciò che succede sul retro delle presunte farmacie, è esattamente l’opposto condizioni di scarsissima igiene, attrezzature non sterilizzate e medici improvvisati senza alcuna competenza.
Tutto ciò ovviamente comporta, per chi subisce l’operazione, una morte quasi sicura.
Per cui le donne povere sono costrette a scegliere tra due opzioni
-scegliere di non scegliere
-scegliere la morte.
Racconta Sarah “Ho conosciuto una donna che ha subito tre aborti, incredibilmente ancora viva, ma che oggi ha un fibroma. Il pericolo quindi non è solo l’alto rischio di morte, ma anche quello di vivere la propria esistenza convivendo con danni all’organismo di altissimo livello.
Per non parlare poi
dei “dottori” che dopo aver operato nel retro bottega, pagano qualcuno per disfarsi del feto come fosse spazzatura e la discarica di feti che ho fotografato, è stato davvero qualcosa di ripugnante”.
Chirurgicamente esistono due modi per eseguire l’operazione
-l’aspirazione
-l’iniezione.
Quasi tutte le donne, non sono a conoscenza (per una mancanza di cultura e d’informazione dilagante), che l’iniezione fatta al quinto, sesto o addirittura settimo mese, è un vero e proprio omicidio dato che il feto è quasi del tutto sviluppato, insomma gi  essere umano.
La maggior parte delle volte le donne in gravidanza aspettano cos tanto per accumulare il denaro e pagare l’operazione.

“Nella prima clinica che ho visitato -ci spiega Sarah- sono stati effettuati sei aborti in un giorno. Capirete quindi che queste operazioni sono per i medici specializzati, un vero e proprio buisness. L’argomento aborto è un taboo anche tra madre e figlia.
Conclude Sarah- “Tra i dottori che ho conosciuto, uno di loro è stato denunciato ed arrestato in possesso dei documenti che attestavano gli aborti da lui stesso effettuati, ma è stato rilasciato”.

(4. continua)

In foto, Immagini dal lavoro "Poor Choices" mostrate da Sarah Elliot

Per saperne di più
www.worldpressphoto.it

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