«Il quotidiano è prevedibile. Qui dentro niente dev’esserlo»: Maurizio Baruffaldi ambienta il suo nuovo romanzo, “Igloo”  (Rue de-La-Fontaine edizioni, pagine 182, euro 19)  all’interno di un’automobile ricoperta dalla neve caduta a Milano, una città che corre e che non dorme mai ma che viene improvvisamente fermata da una nevicata inattesa. 
Agata viene sorpresa dal maltempo mentre si sta recando a lavoro con la sua macchina, che poi si impantana; Andrea si ferma a darle soccorso e, alla fine, tra un battibecco e l’altro perché la donna non si fida della sua gentilezza, la convince a salire sulla sua auto per accompagnarla sul luogo di lavoro. La neve però è troppa e costringe i due sconosciuti a restare chiusi nell’abitacolo, mentre la macchina si trasforma lentamente in un igloo.
Tutto rallenta al di fuori, come se il tempo avesse deciso di trattenere il respiro; all’interno dell’automobile, invece, iniziano a scorrere fiumi di parole, articolate da due persone che si sentono come se fossero le uniche sulla Terra, strette in quel microcosmo dove hanno a disposizione calore, cibo – perché, guidato da una forza misteriosa, Andrea aveva appena fatto la spesa nonostante non fosse uscito con quell’intenzione – e anche una bottiglia di vodka che allenta le tensioni, e che li spinge a essere sinceri l’una con l’altro.
L’autore esplora la fragilità e la meraviglia del contatto umano in un mondo che troppo spesso teme la vicinanza e la connessione autentica; i due protagonisti si studiano, si provocano e si raccontano – all’inizio con la cautela di chi teme di esporsi, poi con la confidenza di due anime che si riconoscono, senza saperne il perché. Tra loro si crea un dialogo serrato e vibrante, fatto di confessioni, di silenzi eloquenti e anche di approcci erotici, che però non si concretizzano mai come se entrambi percepissero la pericolosa bellezza di ciò che sta accadendo.
Maurizio Baruffaldi mette in scena una condizione perfetta: quella di due esseri umani che, per una manciata di ore, smettono di difendersi e si concedono la possibilità di essere sé stessi. 
Nell’intimità di quella macchina ormai sepolta, Andrea e Agata vivono un piccolo miracolo: un tempo senza orologi, in cui la realtà sembra svanire e tutto si riduce all’essenziale; due corpi, due voci, e un silenzio condiviso.
 Cosa resta, però, quando la neve si scioglie? «Fuori non saremmo gli stessi», afferma Andrea, e allora ci si chiede amaramente se sia ormai impossibile vivere una vita autentica, in una società sempre più propensa a farci indossare maschere e a spingerci a nascondere le nostre verità. (Davide Lotti)
            
		






