Radici edizioni/ “Appaesati. Storie di ordinaria ruralità”: una riflessione sulla scelta di vivere lontano dai centri urbani

0
138

«Un paese significa non essere soli, vuol dire relazioni, funzioni, comunità. […] L’Italia è, fondamentalmente, un Paese di paesi», scrive Rossano Pazzagli in “Appaesati. Storie di ordinaria ruralità”, volume curato insieme con Luca Di Lello e Pierluigi Reveglia per Radici edizioni da pochi giorni in libreria.
Un libro nato da un podcast, a testimonianza dell’inossidabile valore della scrittura come strumento di riflessione e diffusione delle idee mai in conflitto con forme di comunicazione di ultima generazione, per ragionare e  raccontare di aree interne sfrondate da ogni orpello oleografico o ideologico.
Una raccolta di testimonianze in cui la restanza, quel decidere di non andar via definito con pregnanza da Vito Teti, assume significati diversi dalla passività degli sconfitti o l’eroismo degli irriducibili per lasciare spazio alle motivazioni che spingono oltre tredici milioni di italiani a scegliere di vivere lontano dai centri urbani.
Restare non significa, per forza, accettare un ineluttabile destino di declino e deprivazione socioeconomica e culturale, il non andar via può essere la scelta consapevole di chi ambisce a una qualità della vita in cui ci sia spazio per un tempo non frenetico, per una scansione quotidiana in cui la lunghezza degli spostamenti non strabordi risucchiando energie e ci si possa dedicare a coltivare interessi, passioni e affetti.
La possibilità di lavoro da remoto, vissuta come cogente durante la pandemia, ha reso evidente l’emersione di un bisogno latente: scegliere di lavorare per vivere – e non viceversa – in luoghi dove ci si sente bene e quanto più prossimi alla serenità.
Decidere di vivere in un paese lontano da un centro urbano non è sintomo di masochismo o depressione, al contrario, è desiderio di spazio, contatto con la natura e ripristino di relazioni di comunità nella piena consapevolezza che si è lontani da alcuni servizi.  
Come scrive Pierluigi Reveglia: «Il primo [cliché] è quello di una narrazione romantica, che disegna i paesi delle aree interne con i colori di un modello abusato di turismo, che definisce i suoi abitanti quasi come eroi di una resistenza anti-modernista; il secondo invece riguarda l’ambito delle tradizioni che ci racconta gli abitanti come una sorta di custodi degli ideali di un tempo».
Due estremi tra cui oscilla la visione di tanti, di quei molti che individuano nell’assalto turistico la soluzione alla “crescita” che contrasta lo spopolamento perché crea lavoro. Il dopo pandemia ha portato con sé l’idea che l’aumento smisurato dell’incoming turistico rappresenti, per ogni landa d’Italia, la panacea a tutti i mali.
Gli spunti di Reveglia sono numerosi e riguardano la definizione di chi resta: «Ma è altrettanto importante lavorare sulla percezione sociale, valorizzando chi rimane come un agente di cambiamento, un pioniere del futuro delle aree interne […] È necessario superare la retorica dell’abbandono e mettere in evidenza le storie di successo, le buone pratiche e le potenzialità di questi territori. Raccontare le aree interne come luoghi di opportunità, di bellezza e di innovazione può contribuire a cambiare la percezione collettiva e a generare un nuovo immaginario positivo».
I diversi contributi che compongono il volume affrontano aspetti diversi dell’argomento mostrando risvolti molteplici di un fenomeno che nasce da lontano. Nel 2000 lavoravo al fianco delle imprese agricole per sfruttare tutte le opportunità offerte dalla Pac, la Politica agricola comunitaria, che avrebbero consentito la sopravvivenza di piccole attività con un grande valore per la gestione del rischio idrogeologico del territorio riconoscendo l’importanza delle imprese agricole in aree montane come presidi in grado di contrastare l’erosione del suolo e i danni causati da frane e alluvioni.
Dopo la stagione degli strumenti di programmazione di sviluppo locale viviamo, oggi, un tempo in cui l’esperienza passata viene obliata, cassata. Il dialogo tra Luca Di Lello, Pierluigi Reveglia e Giulia Urso è interessante e ricco di spunti, è il caso del riferimento alla multilocalità, il fenomeno con cui si descrive la scelta di vivere parte della settimana in un luogo e parte in un’altra, una possibilità agevolata da una modalità di lavoro che non richiedendo la presenza supera la stanzialità.
Altrettanto interessante è il contributo di Sabrina Ciancone sulle pari opportunità: «Tra i tanti falsi miti, le leggende rurali, c’è quella che intende i luoghi fuori dal caos cittadino come assoluta lentezza, rarefazione, silenzio, paesaggi bucolici e armonie, e poco altro».
La perimetrazione delle aree interne riguarda circa quattromila comuni, ricadenti in ogni territorio regionale, che ospitano il 23% della popolazione distribuita su quasi il 60% del territorio nazionale, popolazione che vive lontana dai centri dove sono presenti servizi essenziali come la sanità, l’istruzione e la mobilità.
Recentemente la mia orticaria ha dato segni di impazienza nel cogliere accenni sparsi alle aree interne in ragione dell’intento di intercettare finanziamenti pubblici o citare argomenti che conferiscono attrattività e attualità alle proprie argomentazioni anche in assenza di una conoscenza delle caratteristiche di queste, come accade per la citazione di resilienza e intelligenza artificiale usate alla stessa stregua del pistacchio che, è cosa nota, va bene ovunque perché di moda. Di aree interne se ne aggiungono superficiali spruzzi e manciatine per mostrare di essere sul pezzo. Appaesati è un lenimento per chi, come me, soffre di questo tipo di orticaria e per tale motivo ne consiglio, vivamente, la lettura.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO
A cura di Rossano Pazzagli, Luca Di Lello, Pierluigi Reveglia,
Appaesati
Storie di ordinaria ruralità
Radici edizioni
Pagine 136
euro 15

RISPONDI

This site is protected by reCAPTCHA and the Google Privacy Policy and Terms of Service apply.