Lettera di Natale 2025/ Cara maestra, sono figlio di 2 silenzi e di un amore mai diventato vecchio. Almeno in sogno, vorrei incontrare mamma e papà

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Cara maestra,


ti scrivo piano, come si parla quando qualcuno dorme accanto.
Sono Meo, e questo è il nostro ultimo Natale insieme.
Per questo voglio raccontarti la mia storia con la voce bassa, quella che si usa per non far scappare i sogni.
La nonna dice che il giorno in cui sono nato la pioggia cadeva lieve, come dita che bussano alla finestra.
Mia madre aveva scritto il mio nome su un foglietto: Romeo.
Ma la pioggia, scivolando sulla carta, lo ha sciolto piano piano, come una parola che si addormenta.
È rimasto solo un suono piccolo, morbido, rotondo: Meo.
Così sono diventato un nome nato dall’acqua e dal caso, come certe melodie che nascono da una nota sbagliata.
Mia madre si chiamava Giulia.
Lavorava in un locale insieme a un ragazzo venuto da lontano, mio padre.
Si volevano bene con quella luce che hanno gli amori giovani, quelli che fanno sorridere chi li guarda. Tutti li chiamavano Giulietta e Romeo, come se fossero una storia già scritta.
Poi arrivò una notizia che fece tremare l’aria: un incidente, un viaggio improvviso, una promessa lasciata sospesa.
Mio padre partì, e il suo ritorno rimase un’ombra che non trovò più la strada.
Mia madre lo aspettò ogni giorno, come si aspetta un treno che passa solo nei sogni.
Quando scoprì di portarmi nel cuore, il medico le disse che il suo era troppo debole per reggere il mio.
Le disse di rinunciare.
Ma lei rispose che quel battito era il mio, ma anche il loro: tre cuori che suonavano insieme, come una piccola orchestra.
Mi diede la vita e poi si spense, come una candela che ha fatto tutto il suo dovere.
Il proprietario del locale disse alla nonna che anche mio padre era morto, lungo il viaggio verso casa.
Così io nacqui figlio di due silenzi, ma anche di un amore che non ha avuto il tempo di diventare vecchio.
La nonna mi ha cresciuto con mani stanche e cuore grande.
Eppure, nelle lettere di Natale, ti ho sempre parlato di tavole piene di voci e profumi.
Non erano le nostre: erano quelle dei vicini, che guardavo con un binocolo che mio padre aveva comprato.
Guardavo quella luce come si guarda una finestra accesa nella notte, sperando che un po’ di calore arrivi anche a te.
Tu ogni anno ci chiedi quali regali desideriamo.
Io scrivo quelli che vedo negli altri bambini, ma il mio vero desiderio non l’ho mai detto:
vorrei incontrare, almeno in sogno, la mia mamma e il mio papà.
Vorrei chiamarli forte, almeno una volta: mamma… papà.
Ogni Natale, Valchiria — la bambola di pezza di mia madre, dono del mio papà — sembra guardarmi con i suoi occhi cuciti e chiedermi:
“Li hai trovati?”.
E io mi dico che forse non era ancora il momento.
Che certi miracoli hanno bisogno di un altro inverno.
Ma questo è il nostro ultimo Natale insieme, e allora ti chiedo di darmi la mano.
Perché ho letto che:
«Se ci diamo la mano i miracoli si fanno e il giorno di Natale durerà tutto l’anno.»
(Gianni Rodari)
E mentre te lo scrivo, maestra, sembra quasi che una musica lenta salga dal foglio,
come una ninna nanna che non ho mai avuto,
ma che forse, quest’anno, potrei finalmente ascoltare.
©Riproduzione riservata

In copertina, disegno di Francesco Alessio

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