«I giovani, a quella età, sono estremamente insicuri, fragili; sono una materia ancora non definita. Potremmo dire che sono sospesi nel vuoto…non hanno più l’ingenuità dell’infanzia ma non hanno ancora una sicurezza che possa orientare i loro comportamenti…molti provano un vero e proprio disagio se non paura. Hanno bisogno di certezze misurandosi con gli altri… cercano nella vittima la conferma della loro forza, della loro stessa esistenza. Io esisto perché riesco a dominarti; la tua debolezza è il riflesso della mia forza. Io ho potere su di te e, quindi, anche su tutto quelli che vorranno ostacolarmi…i giovani, la maggior parte almeno, anche se non hanno così chiaro questo processo, misurano la propria affermazione sull’incapacità degli altri ad opporsi al loro volere. Si sentono affermati solo quando provocano una vittima; è la prova del loro carattere; loro stabiliscono le regole e gli altri debbono adeguarsi. Non c’è alcuna autorità che possa contrastare le loro azioni».
L’avvocato rilegge i suoi appunti: la tesi che, qualche giorno prima, aveva pronunciato lo psicologo chiamato dagli avvocati degli imputati: 16 giovani, tutti allievi della stessa classe, accusati di aver spinto, con le loro continue ingiurie, i loro soprusi, le palesi offese e con azioni spesso anche violente un loro compagno al suicidio.
Il tentativo di far passare la morte del ragazzo come un incidente, un fatto accidentale basato sull’ipotesi che, salito sulla finestra per dimostrare il suo coraggio, il ragazzo avesse perso l’equilibrio era fallito miseramente con il ritrovamento del suo diario nel quale accusava chiaramente i suoi compagni ed anche qualche professore che non aveva ascoltato la sua richiesta d’aiuto ma che, anzi, lo aveva incitato a reagire mostrando i suoi muscoli; così si cresce, gli aveva detto. Tesi più volte ripetuta anche dal preside alla madre del ragazzo la quale aveva chiesto di intervenire. Insomma un caso, purtroppo frequente, di bullismo che si era risolto nella maniera più dolorosa possibile; una conseguenza estrema, certamente non voluta perché, come si era espresso il collegio di avvocati difensori, nella maggior parte dei casi, tutto si risolve con la reazione della vittima che, vessata, trova la forza di ribellarsi e, aveva aggiunto lo psicologo, di crescere.
All’avvocato del povero ragazzo la tesi era sembrata descrivere una vera selezione naturale: vince il più forte consentendo al genere umano di aumentare le proprie difese; questa in sintesi la conclusione. Le espressioni utilizzate, argomento rigorosamente scientifico, non lo avevano convinto.
Nell’aula del tribunale la sproporzione fra la difesa degli indagati e il povero avvocato che affiancava la mamma del ragazzo nel chiedere giustizia per suo figlio, era palese, direi quasi irritante. Anche la Corte, nel corso del dibattito, aveva più volte invitato gli avvocati difensori a usare un linguaggio meno aggressivo verso la vittima che, a loro dire, in fondo era un perdente e, pertanto, destinato a non migliorare la nostra specie umana. Smontata la tesi della disgrazia accidentale ora la difesa stava puntando tutto sulla debolezza caratteriale, sulla fragilità del ragazzo che non aveva retto allo stress di comuni e abituali, così avevano detto, scherzi che di solito avvengono a quella età.
La competizione fra i giovani, così avevano detto, è sempre avvenuta. Così si cresce imparando a difendersi e a formare il proprio carattere vincendo le difficoltà incontrate nell’età adolescenziale.
A queste parole lo sconcerto dell’avvocato e il crescente clamore del pubblico avevano consigliato il giudice a sospendere la seduta. Il giovane avvocato, dopo alcune udienze non facili è riuscito a dimostrare che i frequenti scherzi, come li avevano definiti i ragazzi accusati, riguardavano solo la povera vittima. E qualcuno aveva ammesso, che le ingiurie, manco a dirlo, riguardavano l’aspetto del ragazzo e il suo orientamento sessuale. Un continuo dileggio al quale non si erano sottratte nemmeno le allieve della classe.
Interrogati, gli accusati avevano usato parole, sempre identiche; un’evidente regia suggerita dagli avvocati i quali, allo sconcerto dello stesso giudice per i termini usati da tutti gli imputati, avevano tentato di porre rimedio sottolineando lo stress della situazione perché, avevano aggiunto, gli allievi, in realtà, erano profondamenti dispiaciuti. Parole che non avevano convinto nessuno. Non certo la mamma del ragazzo e nemmeno gran parte del pubblico che aveva dimostrato, rumoreggiando, il proprio dissenso; anzi il prolungato mormorio era stato eloquente e aveva richiesto, più volte, l’intervento del giudice.
L’argomento, purtroppo, è di grave attualità. I fatti di cronaca sono troppi perché si possa ancora tacere. Ogni tentativo di nuovi espedienti pedagogici, non aveva sortito alcun effetto nonostante tanti studi hanno affermato un concetto di convivenza che rispetti la “diversità” in tutte le sue forme.
Anche per questo motivo il processo che si sta svolgendo ha suscitato l’interesse della stampa nonché di esperti che, in televisione, dibattono il delicato argomento. Quando riprendono i lavori nell’aula del tribunale molte reti nazionali hanno montato i loro set televisivi.
In un’aula gremita e in un silenzio carico di tensione, tutti guardano l’avvocato aspettando la sua arringa di difesa. Il nervosismo ed il disagio non risparmiano nemmeno lui; è il giorno finale del processo, quello in cui tutto sarà deciso.  
-Avvocato, a lei la parola…
L’avvocato, distratto, segue i suoi pensieri costringendo il giudice a richiamarlo.
-Avvocato, prego, può riprendere la sua difesa.
Il giovane avvocato si alza lentamente con il pensiero ancora alle sue carte che ha davanti. Il suo aspetto denunzia una evidente stanchezza; nessuno sa che ha trascorso buona parte della notte per preparare l’arringa. Sente il peso della sua responsabilità.
Alla fine di una non facile riflessione ha deciso la sua linea di difesa; la vittima, purtroppo, non potrà mai essere risarcita del danno subito. Incolpare gli allievi, suoi compagni, sarebbe la via logica, il ragionamento da seguire, certo quello che molti si aspettano, ma lui non è convinto. Risolvere tutto come l’ennesimo caso di bullismo semmai considerando la giovane età degli imputati e la loro dichiarata buonafede, è un ragionamento che, giuridicamente sta in piedi ma che lascia troppi interrogativi ai quali, pure, è difficile dare una risposta.
Continua a chiedersi, ad esempio, come mai, nonostante la continua condanna dei consulenti scolastici e dell’opinione pubblica, nelle nostre scuole, ancora avvengono tanti casi fino all’estreme conseguenze. In che modo le parole degli esperti possono aiutarci a capire ed a porre rimedio? Come mai ancora nessuno, in particolare nel mondo politico, sembra voler affrontare il problema. E che senso ha un processo se non riesce ad orientare l’opinione pubblica? Come può inserirsi in un dibattito che vede molti altri protagonisti? Ci ha pensato molto e ogni volta, non convinto, ha cambiato la sua difesa; mai si è trovato di fronte ad un caso così complesso; ora, però, occorre agire.
Tutto quello che ha letto e ascoltato sulla triste vicenda, lo ha lasciato indeciso; capisce che il doloroso episodio significa qualche cosa di diverso, qualcosa di non detto, qualcosa che appartiene a tutti noi, come di un comportamento, implicitamente accettato, regole mai messe in discussione. Bisogna che il silenzio della nostra società venga denunciato, pensa.
-Signor giudice, signori giurati, illustri colleghi, imputati e soprattutto genitori ai quali, in particolare, intendo rivolgermi. La sua voce risuona chiara e convinta.
-Io, questa mattina, sono qui, in quest’aula, per difendere la vittima. Qui, davanti a noi, ci sono i sedici allievi e c’è la signora, la madre del povero Bruno la quale ha il diritto di sapere perché.L’emozione che tutti viviamo in questi giorni è palese e, di questo sono sicuro, riguarda tutti. Lungi da me l’idea di voler trovare un colpevole ad ogni costo; ma abbiamo il dovere di comprendere meglio come si sono svolti i fatti, che cosa spinge ragazzi, certamente in buona fede, ad agire senza preoccuparsi delle possibili conseguenze delle loro azioni. 
Pertanto chiedo l’autorizzazione di ascoltare ancora una volta gli imputati; nessuno meglio di loro può fornirci la chiave giusta per capire, per valutare e per cercare di ricavare da questi fatti, se possibile, un insegnamento, una logica che possa aiutarci. Non voglio, sia ben chiaro, diminuire o, addirittura, capovolgere le responsabilità che sono evidenti a tutti. Certamente alla mamma del povero Bruno ed anche, ai ragazzi qui presenti in veste di imputati. A loro, in particolare, vorrei chiedere se, in questa triste storia, c’è una logica, una spiegazione possibile. Vorrei riascoltare le parole degli allievi; nessuno meglio di loro può dirci veramente come si sono svolti i fatti, quali sentimenti attraversano l’animo di questi giovani nel momento di un comportamento così deleterio.
Un brusio, un evidente sconcerto passa fra i giurati, gli avvocati difensori, il pubblico, i genitori e, a maggior ragione, fra i giovani imputati.
-Bene avvocato, interviene il giudice, ma se, come lei stesso dice, i fatti sono chiari non capisco la necessità di ricominciare con un interrogatorio che si è già svolto a meno che non siano intervenuti particolari nuovi, nuove testimonianze che possano cambiare l’ipotesi che la giuria si è fatta.
-Signor giudice, signori giurati, colleghi e dottori vi prego di concedermi ancora un momento di attenzione. Certo, è vero, i ragazzi sono già stati ascoltati ma io credo che anche per loro questi giorni non siano trascorsi invano; è possibile che, ora, non soltanto le mie parole, ma anche quelle degli avvocati e degli esperti, qui convocarti, potrebbero aver suscitato, nei loro pensieri, riflessioni, dubbi o nuove convinzioni che è opportuno riascoltare.
-Va bene avvocato, continui pure.
-Signor giudice, componenti della giuria, consideriamo possibile che i giovani allievi possano aver maturato, in questi giorni di dibattito, una loro più convinta riflessione e potrebbero fornire, direi soprattutto a noi adulti, la possibilità di comprendere meglio che cosa accade nella mente di questi giovani quando sono posti di fronte alle loro responsabilità. È interesse di tutti capire meglio questo mondo giovanile verso il quale molte volte annaspiamo incapaci di entrare in sintonia con il malessere che spesso accompagna la loro crescita. Dalle loro parole io credo che potrà emergere una situazione più chiara, tanto da farci capire come siano avvenuti i fatti.
Dopo giorni durante i quali l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica è cresciuta enormemente l’atmosfera che si respira rende la posizione della difesa ardua, se non impossibile. Un lieve sudore svela l’emozione dell’avvocato; sa che tutti attendono le sue parole; la difesa del povero ragazzo, e quindi l’esito del processo dipende da lui. Dopo una lunga e sofferta valutazione ora è pronto a esporre la sua linea che vuole essere soprattutto una riflessione su un tema che da troppo tempo si è imposto all’attenzione delle famiglie e degli educatori: il bullismo nelle scuole.
Si alza ordinando i fogli che ha davanti. Respira a fatica; lo stress di questi giorni non giova a una tranquillità d’animo e a una serenità con la quale lui intende riascoltare i giovani. Sui suoi appunti, già nel primo interrogatorio, a fianco di ogni nome ha segnato alcune note cercando di individuare, il ruolo che ognuno di essi può aver ricoperto in questa triste storia. Ha un’idea di come vuole procedere anche se ancora non sa immaginare il risultato. Lui spera di far emergere l’animo, il disagio degli imputati, convinto com’è che anche loro sono vittime, vittime di uno schema comportamentale dal quale i giovani, non soltanto gli imputati, fanno fatica ed uscire.
La prima allieva chiamata è una ragazza elegantemente vestita. Sui suoi appunti l’avvocato legge che è figlia di un avvocato e appartiene a una nota famiglia cittadina. Certo anche il padre le avrà suggerito come comportarsi; ora guarda l’avvocato mostrando una sicurezza che, forse, non ha.
-Perché?
Un’unica parola risuona come un colpo sordo nell’aula.
La ragazza resta interdetta; guarda verso il pubblico forse cercando il padre.
-Non capisco? Cosa vuol dire?
-Perché lo avete fatto?
-Non capisco a che cosa si vuole riferire e comunque io non c’entro; in tutta questa vicenda sono estranea.
-Cosa intende per vicenda?
Il silenzio è carico di tensione
-Signorina, risponda; ha capito la domanda?
Ora la ragazza sembra aver perso la sua sicurezza ma è solo un momento.
-Sì, voglio dire la morte di Bruno.
-Grazie, può accomodarsi.
L’interrogatorio va avanti con altri allievi ai quali l’avvocato pone sempre e solo la stessa domanda: PERCHÉ, una parola in apparenza semplice ma che sottintende una profonda riflessione, una responsabilità alla quale ora sono chiamati gli allievi; la risposta che ottiene è sempre la stessa; tutti si dichiarano estranei. Ancora una volta non ci vuole molto a capire che gli imputati sono stati preparati dagli avvocati. Tutti usano lo stesso termine: vicenda. Nessuno dimostra un minimo di pentimento, nessuna empatia verso la vittima, nessuno utilizza una parola che possa far pensare ad una riflessione sul loro comportamento che ha provocato la morte del loro compagno.
-Quella che voi, tutti, chiamate vicenda è una terribile disgrazia che è costata la vita a un vostro compagno; nel rispondere alla mia domanda nessuno che abbia detto, appunto, disgrazia, morte, suicidio o devo dire omicidio?
La domanda è stata rivolta a uno degli ultimi indagati; un ragazzo che anche nell’aspetto, piuttosto dimesso, dimostra tutta la sua fragilità.
-Io non ho fatto niente; gli avevo detto di smettere.
Troppo tardi il ragazzo si accorge di aver usato parole in più; ora visibilmente scosso, scoppia in un pianto che, in maniera immediata, gli avvocati difensori cercano di sfruttare.
-Avvocato lei non può intimidire il teste e fargli dire quello che lei vuole.
Ma la manovra è palesemente infondata costringendo anche il giudice a intervenire.
Volutamente ignora l’intervento dei difensori rivolgendosi al ragazzo.
-Senta, aspetti un attimo, vuole un bicchiere d’acqua? Vuole riposare un momento?
-Sì, solo un momento e sì, per favore un bicchiere d’acqua.
Nell’aula il disagio e l’emozione sono evidenti; dai loro banchi tutti gli avvocati guardano il ragazzo che ora sembra smarrito.
-Possiamo riprendere? Ecco; avvocato, prego, prosegua pure.
-Lei, dunque, diceva di smetterla ma a chi si rivolgeva e che cosa non doveva fare?  
-Io l’ho difeso, a Bruno, ma quello, no, cioè tutti mi ridevano dietro. Allora ho avuto paura.
-Paura di che cosa? Chiede l’avvocato.
-Che poi se la prendesse pure con me.
Il passaggio dal plurale al singolare, in una confusione di ruoli, svela quello che l’avvocato difensore sospetta da tempo: e che cioè in tutta la triste storia vi sia soprattutto l’azione di uno degli imputati che tiene in scacco tutta la classe; quello che di solito viene chiamato “capo branco”; l’avvocato aveva già individuato uno degli allievi e lo aveva lasciato per ultimo per evitare che, con le sue parole, continuasse a terrorizzare i compagni. Ora volutamente ignora il plurale che il ragazzo qualche volta ha utilizzato nelle sue parole; vuole sapere se il suo sospetto è giusto. Lascia passare qualche minuto prima di riprendere la sua arringa.
-Lei però non ha risposto alla mia domanda; ripeto che cosa questa persona, che lei ancora non ha chiamato per nome, doveva smettere di fare?
-Di prenderlo in giro; a volte Bruno piangeva e allora tutti ridevano e lui gli tirava giù i…pantaloni e lo chiamava… femminuccia.
Ormai il ragazzo, in preda ad una forte emozione, non riesce a restare nel ruolo che gli avvocati difensori gli avevano suggerito. Un pianto appena soffocato distrae il pubblico; in un angolo la mamma del povero Bruno non riesce a frenare il suo dolore.
-Signora, interviene il giudice, se lei vuole possiamo sospendere. Prego gli avvocati di avvicinarsi al banco.
-Considerate la possibilità di continuare a porte chiuse.
-Ma signor giudice l’avvocato fa domande…
-Faccio domande utili a capire se c’è un responsabile. Colleghi non dimenticate che in questo processo dobbiamo accertare la causa della morte del povero ragazzo visto che l’ipotesi del possibile suicidio è naufragata miseramente.
-Bene tornate pure ai vostri posti.
-Per questa mattina la seduta è sospesa. Si riprenderà lunedì. Avvocati, per cortesia, seguitemi nel mio ufficio.
Il confronto fra gli avvocati ha toni duri e, in alcuni momenti al limite della rissa. Il compito del giudice si rivela più arduo di quanto lui stesso avesse immaginato.
-Signori, vi ricordo che stiamo giudicando un gruppo di allievi ai quali l’accusa imputa la morte di un loro compagno; imputati i quali, fino alla sentenza finale, vanno considerati innocenti. Il dibattito non può, da parte vostra, ledere la serenità di questi giovani per i quali questa esperienza comunque segnerà una pagina difficile da dimenticare. Capisco, e mi rivolgo in particolare all’avvocato della madre del ragazzo, la sua strategia. Lei cerca di far emergere delle responsabilità in modo che questo dibattito possa costituire materiale di approfondimento per i giovani, le loro famiglie e per gli educatori. In altri termini lei crede che la sentenza potrebbe agire da deterrente per il comportamento fra i giovani. Non escludo la sua buona intenzione anche se, per esperienza, purtroppo, credo che sarà difficile che tutto questo avvenga. Comunque la invito a non insistere nel suo interrogatorio che potrebbe, questo sì, creare traumi nei ragazzi più fragili. Cercare la verità non deve, assolutamente, passare per un eventuale danno psicologico.  A voi avvocati della difesa, però, dico che insistere sulla fragilità della vittima e sulla inevitabilità di simili comportamenti intesi come unica possibilità di crescita è fuorviante. Nessuno ha il diritto di infierire su un suo simile solo perché ritenuto più fragile; semmai è il contrario; in una comunità di sani principi tutti hanno diritto ad un loro spazio e nessuno, dico nessuno, può permettersi di voler sindacare le sue scelte personali. Pertanto vi invito ad aver presente che tutti meritano rispetto, nessuno escluso. Purtroppo il povero ragazzo ha compiuto una sua scelta estrema cerchiamo però di far capire, almeno, e condannare la solitudine in cui lo hanno lasciato tutti, i suoi compagni ma anche i docenti che, per la verità, vorrei vedere maggiormente coinvolti in questo dibattito. Ora, vi prego, rassereniamo gli animi; abbiamo qualche giorno per riflettere; e lo dico a tutti anche a me che, vi assicuro, sono molto provato. Lunedì riprendiamo i lavori.
Immaginare che cosa nelle ore seguenti hanno pensato tutti coloro che sono a vario titolo implicati, è difficile. Possiamo però credere che l’avvocato del povero ragazzo è sempre più convinto di una sua possibile linea di difesa.
Il lunedì, è ormai trascorsa qualche ora quando, ultimo a essere chiamato sul banco è l’allievo ritenuto, dall’avvocato della parte lesa, il bullo della classe, quello le cui azioni, con molta probabilità, hanno scatenato la reazione emotiva della vittima.
Siede ostentando una sicurezza che potrebbe anche non essere sincera; ed è quanto intende verificare l’avvocato; ossia se nasconde una sua apprensione per il ruolo ricoperto fra tutti gli allievi della classe questo è il momento della verità.
-Il suo compagno, esordisce l’avvocato, ci ha raccontato di continui insulti che avevano come bersaglio il povero ragazzo; lei potrebbe dirci qualcosa in proposito?
-Io non so a che cosa si riferisse l’altro ragazzo. Io, comunque, non so niente.
– Gli episodi narrati sono piuttosto inquietanti e certo avranno provocato un certo scompiglio, non crede? Impossibile non ricordare. Per la verità il suo compagno non ha accusato nessuno, non ha fatto nessun nome, ma, se lei crede, possiamo richiamarlo; sono sicuro che potrà fornirci maggiori dettagli.
-Io non mi ricordo di nulla; e poi non c’ero.
-Come può essere così sicuro di essere stato assente tutte le volte in cui Bruno, sì, ricordatelo, il vostro compagno si chiamava Bruno, è stato sottoposto a continui gesti, umilianti che offendevano la sua dignità? Perché almeno su questo sarà d’accordo: non si è trattato di un solo episodio.
-Ma era solo uno scherzo e poi…tutti ridevano.
-Non tutti per la verità, non certo il povero ragazzo che piangendo le chiedeva di smettere cosa che mi risulta altri suoi compagni le chiedevano ma lei non li ha ascoltati mai.
Ma io credevo, sì, lo fanno tutti, in ogni classe, c’è chi…pensavo che poi…
Ormai le difese del ragazzo sono venute meno tanto da provocare pena nello stesso avvocato che ora lo guarda con tristezza.
Lei ha ragione. Questo che lei ha chiamato scherzo avviene in ogni classe e più spesso di quanto pensiamo lascia strascichi dolorosi, ferite che non si rimarginano. Per fortuna non sempre il finale è così drammatico come è successo al vostro compagno ma il dolore, le incertezze, i dubbi che questi avvenimenti lasciano nell’animo della vittima sono incalcolabili. Spesso feriscono, in maniera perenne, la loro identità. Nonostante le reticenze di molti dei ragazzi, suoi compagni di classe e le dotte disquisizioni degli psicologi e degli avvocati i fatti sono chiari nel loro triste svolgimento: c’è una vittima e ci sono sedici imputati. Il mio compito, a ben vedere, si riduce a ricordare ai giurati come si sono svolti i fatti. Eppure io vi dico che, in realtà, il mio compito è ben più complesso; lei si può accomodare; non ho più niente da chiederle.
Ascoltatemi, per favore, io, oggi, sono qui per difendere non solo Bruno ma anche voi, i suoi compagni. Sì, avete capito bene; qui, in quest’aula non c’è una sola vittima ma ce ne sono altre sedici tanti quanti siete voi allievi dell’intera classe. Perché la vittima non è soltanto chi ha subito il feroce scherzo, come insistete a definirlo, vittima siete anche voi che avete assistito alla distruzione della dignità del compagno e non siete intervenuti compromettendo così anche la vostra personalità.
Sì, voi che pur non approvando l’atteggiamento del vostro compagno, per paura non parlavate; in questo processo nessuno si salva, non certo il vostro compagno, l’autore materiale che ha bisogno di dimostrare il suo ruolo di leader perché è un insicuro e non sa su quali doti fondare il suo carattere. Tutto questo è molto triste. La complicità del silenzio, con il quale molti ragazzi si sono difesi, è soprattutto frutto della paura, ossia il timore di essere paragonato alla vittima: se lo difendi allora sei come lui. Certo stare dalla parte del più forte è più facile, comporta meno rischi; la maggioranza, nella quale ti rintani, ti fa sentire sicuro; meglio essere amico del capo, dell’allievo che si è intestato questo ruolo e lo difende in tutti i modi. Ma colpevoli sono anche i vostri docenti, quelli che sapendo, non hanno fatto nulla per evitare questa tragedia e, soprattutto, quelli che hanno fatto proprio questa cultura della continua sopraffazione, la forza come unico modello comportamentale.
Voi, si rivolge ancora ai ragazzi, continuerete la vostra strada ma vi prego di non dimenticare mai il povero Bruno. Fate in modo che dalla sua morte si possa trarre un insegnamento; tutto dipende da voi. Pensateci. Ora vi prego soltanto di prestarmi ancora un attimo di attenzione.
Al comando dell’avvocato un tecnico abbassa uno schermo sul quale, avendo spento le luci, proietta un’immagine. Sul bianco telo appare, allora, il ritratto di alcuni personaggi che l’avvocato elenca indicandoli con un’asta. Anche se con voce pacata nelle sue parole è evidente tutta l’emozione e certo anche il rammarico, se non la rabbia, accumulata in questi giorni.
-Signor giudice, signori della giuria, avvocati, esperti, pubblico qui presente. Vi presento, anche se sono sicuro che certo li avrete riconosciuti, alcuni personaggi della storia della civiltà che hanno agito in tempi e campi diversi della cultura: Giulio Cesare, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Tchaikowscky, Marcel Proust, Oscar Wilde, Virginia Woolf, Margherita Yourcenar, Oliver Sacks, Walt Whitman. Se la società è progredita lo dobbiamo anche alle opere che queste persone– e potrei aggiungere tanti altri nomi- ci hanno lasciato e non già alle passioni che hanno caratterizzato la loro vita privata, così come se oggi possiamo usufruire di nuovi strumenti, come il computer ed i calcolatori, lo dobbiamo a questo scienziato inglese, conclude mostrando l’immagine di Alan Turing. Ricordatelo.         
Alla riaccensione delle luci, l’avvocato riprende.
La pretesa di giudicare l’apporto che ognuno di noi darà alla civiltà e prevedere lo sviluppo culturale ed emozionale esaminando il nostro comportamento in giovane età, è una pretesa stupida ed arrogante. E qui mi appello alla scienza psicologica che, in questi anni, ha fatto enormi progressi nello studio dell’età evolutiva ma che, in quest’aula, sembra che molti hanno voluto dimenticare. Valutare un frutto dal suo germoglio è un errore; e questi giovani, nella loro incoscienza, hanno commesso un crimine la cui gravità non potrà essere mai valutata. Ma il danno lo hanno commesso anche a loro ed a questo loro danno io chiedo, a loro stessi, di porre rimedio.   
Crescete accettando modelli già stabiliti; cercate la forza espellendo quelli che, secondo i vostri valori, non rientrano in questi modelli. Non ammettete l’esistenza della diversità, tutti allineati e eguali; ogni possibile messa in discussione viene rifiutata; la paura di non essere accettati nel branco vi atterrisce. Come è facile emarginare le minoranze il cui modo di essere ci pone interrogativi ai quali non sappiamo rispondere.
Ma i colpevoli siamo anche noi adulti, sì anche noi; in questi giorni spesso mi sono chiesto dove eravamo mentre Bruno soffriva il suo indicibile dolore, dove gli adulti che, a vario titolo, hanno la responsabilità della vostra educazione. In questo processo ci sono solo vittime, nessuno ha vinto in questo appassionato dibattito, non certo le vostre famiglie che vi hanno difesi chiamando illustri colleghi e psicologici pronti a dimostrare che senza un perdente non c’è vincitore.
Per quanto possa sembrare assurdo io per voi non chiedo nessuna pena perché niente potrà risarcire il trauma che, sia pure involontariamente, avete inferto al vostro animo. Non posso certo chiedervi di risarcire la mamma del povero ragazzo; e come potreste? Il suo dolore le farà compagnia per il resto della sua vita. Ma io posso solo dirle di non vergognarsi di suo figlio. Bruno era un ragazzo sensibile, intelligente mi dicono anche uno dei migliori allievi della classe. Ma evidentemente questo, ai vostri occhi, non è bastato. Che cosa aveva Bruno che vi infastidiva, che cosa toglieva alle vostre libertà; lo avete accusato di amare un ragazzo; è possibile, sì, è possibile; Bruno amava. Ma voi, voi che lo avete umiliato, che avete deriso le sue emozioni, voi, siete sicuri voi di sapere amare? 
Nell’aula un silenzio irreale segue le ultime parole dell’avvocato che, visibilmente emozionato, ora si siede asciugandosi il sudore. Poi avviene qualcosa di inaspettato: un brusio crescente e un applauso fragoroso, continuo che non smette nonostante i richiami del giudice. Adesso anche lui si arrende mentre qualche membro della giuria si unisce agli applausi.
Qualcuno nel pubblico piange; le famiglie e gli avvocati difensori restano attoniti; forse hanno capito che la loro battaglia, se non sul piano giuridico ma su quello morale, è persa. Nonostante tutto, in questa triste storia, Bruno ha dimostrato di essere il migliore.
Una donna minuta, piccola, chiusa nel suo immenso dolore, si avvicina all’avvocato e lo abbraccia, muta; non una parola, non una lacrima. Poi si allontana seguita dalle telecamere che la riprendono senza che alcun commento accompagni la sua figura. Questo è uno di quei momenti in cui il silenzio è molto più eloquente di tante, inutili parole. Fuori un sole caldo accoglie il pubblico che piano sta lasciando l’aula.
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L’AUTORE
Già professore ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II, autore di saggi, racconti e pubblicazioni collettive, Francesco Divenuto riflette sulla realtà e ci regala un nuovo racconto “il processo” ispirato da un recente e terribile fatto di cronaca. Un ex studente di 21 anni ha aperto il fuoco nella scuola superiore di Borg Dreierschützengasse in Austria, uccidendo 10 persone – tra studenti e personale – prima di suicidarsi nel bagno della scuola. Il ragazzo, vittima di bullismo, non era mai riuscito a diplomarsi.
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