SECONDA PARTE
Riprendiamo il filo del nostro  discorso con l’intervista rilasciata da  Loredana Berté al giornalista Maurizio Becker. A proposito della  morte della sorella e del referto, l’artista risponde, riferendosi sempre al padre: “Che ne so, magari Mimì si è fatta uno spinello, e lui è entrato e l’ha massacrata. Perché è sempre stato così: un padre padrone. A mia madre la prendeva a calci in c.., le dava il veleno”.
Questa risposta ci fa inorridire, ci sconvolge, è troppo brutale, ci lascia increduli, ma Loredana incalza. “È vero. Voglio vedere cosa mi fa. Cosa mi fa? Ma lo sai cos’ha fatto al funerale di Mimì? Renato (Zero, ndr) mi ha lasciata sola con lui, nella camera mortuaria. Io non lo vedevo da quando avevo 5 anni, e la prima cosa che gli ho detto è stata: “Che le hai fatto? L’hai ammazzata!”. E lui mi ha preso per i capelli. Renato mi ha dovuto portare a Roma, per 6 mesi ho fatto delle siringhe, perché in testa avevo dei buchi grandi così, dove mi mancavano i capelli che gli erano rimasti in mano. Dai cazzotti che mi ha dato io sono cascata nella bara di Mimì, che era aperta“.
Macabre, orribili, dolorose parole. Il ricorda continua. Mimì aveva un sesto senso, aveva capito che quando in casa si sentiva Beethoven a tutto spiano, stavano per arrivare le botte. Allora scappava e mi portava via, mi portava davanti al mare. Alla sorella più grande, Leda, un giorno l’ha fatta volare dalla finestra solo perché aveva preso 6 in latino, e lui che era professore di latino e greco non poteva sopportarlo. Mimì allora, una volta che prese 4 in inglese, non ci pensò due volte e scappò di casa: porella, la ritrovarono tutta graffiata, in mezzo ai rovi di non so quale prato vicino Roma. L’unica ad averla scampata sono io. Mica ero scema. Ero piccola, ma le cose le vedevo: ad esempio che lui gonfiava di botte la mamma ogni volta che rimaneva incinta…”. Le verità di Loredana si susseguono, incredibili, sono le “sue” verità, dettate forse dal dolore e la disperazione della perdita della sorella.

Qui sopra, Mia e Loredana sul palco di sanremo nel 1993. In alto, con Gragnaniello e Murolo
Qui sopra, Mia e Loredana sul palco di Sanremo nel 1993. In alto, con Gragnaniello e Murolo

Ma torniamo alla carriera di Mimì. Dopo “Padre davvero”-RCA-\V,  il 45 giri con retro di un brano scritto da un giovane Claudio Baglioni, che collabora nella incisione del primo 33 giri, uno dei più belli, dal titolo “Oltre la collina”, un album interessante, dove lei canta struggenti canzoni che parlano di “suicidi” di “disperazione”, insomma un prodotto su tematiche sociali.
Arriva “Piccolo uomo” dove la nostra viene consacrata nel mondo della musica. E, sempre con Crocetta, parte per Milano, incide per l’etichetta Ricordi: grande successo, si impone al pubblico nazionale vincendo il Festivalbar, non solo per la sua interpretazione, ma anche per il testo- scritto da Bruno Lauzi-.
Segue l’album “Il Mondo”, riceve il Premio della critica e che si avvale di figure come Vinicuys De Morales. I favolosi anni 70 per Mia Martini sono il riscatto dei suoi sacrifici, ecco il capolavoro firmato da Franco Califano e Dario Baldan Bembo, “Minuetto” , ancora vince il festivalbar, ( a pari merito con Marcella Bella). I suoi brani vengono tradotti in varie lingue, viene paragonata a Edith Piaf, è il periodo d’oro per la nostra “zingaresca” cantante, amata dal pubblico e dalla critica europea. Disco d’oro, uno special dedicato a lei dalla Rai, piu volte cantante dell’anno, spopola nelle classifiche con il brano “Donna con te” – una cover.
Rompe il contratto con la Ricordi- pagando una forte penale, addirittura con sequestri di beni.Esce in seguito con l’album “Che vuoi che sia… se t’ho aspettato tanto”.  Autori: Pino Mango e Amedeo Minghi, ma la nostra Mimì ha sempre fatto intelligenti scelte avvalendosi della collaborazione di grandi autori, da Biagio Antonacci a Riccardo Cocciante e Antonello Venditti, tanto per citarne qualche nome.
Parolieri e musicisti la stimano e sono onorati di collaborare con lei, E all’Olympia di Parigi sarà con  Charles Aznavour. Intanto, l’incontro sia sentimentale che professionale con Ivano Fossati è tomentato. Nasce “Ritratto di donna” che vince il premio della critica al World Popular Song Festival Yamaha di Tokyo.
Mimì rappresenta l’Italia all’Eurofestival. Registra  brani come “Vola”, “Canto alla luna” “Vola”. Negli anni ’80 viene operata alle corde vocali, il suo timbro di voce si ritrova amabilmente modificato. Con l’album “Mimì” diventa cantautrice proponendo brani autobiografici in collaborazione dall’ex Blood Sweet and Tears, Dick Halligan, che ne cura gli arrangiamenti.
Nel 1982 per la prima volta sale sul palco dell’Ariston di Sanremo, con una canzone straordinaria, firmata da  Fossati: “E non finisce mica il cielo”. Segue, nello stesso anno,l’incisione del brano “Quante volte”, ancora grande successo.
Nel 1983 Mimì si ritira dalle scene, per proteggersi dalle malignità, incredibile come la cattiveria umana abbia potuto indurre un’artista che poteva interpretare tutto a fare un passo indietro. Per ben sei anni Mimì scompare.
Adriano Aragozzini, direttore artistico del Festival di Sanremo, convinto da Renato Zero, la chiama a partecipare alla kermesse nazionale. E lei proprone “Almeno tu nell’universo”:  brano diventa una icona gay, vincendo ancora una volta il premio della critica.
A questo grande ritorno, segue l’album “Martini Mia” con un altro meraviglioso brano “Donna” di Gragnaniello, Festivalbar, disco d’oro. Mentre con “La nevicata del 56” vince  il premio della critica, sul palco dell’Ariston, emoziona il pubblico con la sua voce magnetica con la canzone “Gli uomini non cambiano”, poi arriva il suo ultimo disco d’oro con “Lacrime”. Partecipa alle’Eurofestival in Svezia nel 1993 con il brano “Stiamo come stiamo”, cantato in coppia con Loredana sul palco sanremese, ma non travolge.
Ha ancora tanti progetti in mente quando esce “La musica che mi  gira intorno”, raccolta di cover. Avrebbe voluto anche interpetare Tom Waits, Mina e altri autori… ma tutto finisce.
La sua voce dolce, emozionante, raffinata, scura si spegne definitivamente il 14 maggio 1995. Muore a soli 47 anni: vene trovata priva di vita nella sua abitazione, due giorni dopo il decesso.  Il manager Nando Sepe bussa al citofono,  ma nulla. Eppure la Citroën verde di Mimì è parcheggiata lì fuori. È sola, in testa ha le cuffie del walkman. Quando riescono a entrare, capiscono subito che non c’è piu niente da fare.
 “Era serena”, scriveranno. Nel 1996, nell’ambito del festival di Sanremo si darà vita al Premio Mia Martini. Ma Mimì è indimenticabile, ancora oggi tanti sono i gruppi di Fans Club. E il il popolo di Facebook la ricorda costantemente. Tanti i giovanissimi e i nostalgici, convinti che  difficilmente possa nascere una nuova Mia Martini. Che diceva: “Che strana la vita. La immagino come un quaderno dalle pagine bianche, dove, stranamente una penna inizierà a scrivere le prime righe che le riempiranno raccontando una storia che avrà un inizio e una fine”.
(2.fine)

 

Mia Martini, quell’Aretha Franklin che cantava napoletano

PRIMA PARTE
“Ah comme se fà a dà turmiento a ll’anema ca vo vula’ si tu nun scinne ‘nfunno nun ‘o può sapé”
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Emblematiche le parole del testo “Cu’ mme”. Che riportiamo tradotte in italiano: Ah, come si fa a dare tormento all’anima che vuole volare se tu non tocchi il fondo non puoi saperlo. Lei conosceva bene cosa significasse toccare il fondo, perché la nostra indimenticabile spesso lo ha toccato.  Per colpa della cattiveria umana. Dimenticata, poi riproposta, saliva nelle classifiche, ancora abbandonata, per poi riessere ripescata.
Tutto questo le faceva male all’anima, l’anima di una donna fragile, una donna che voleva l’amore in tutte le sue sfaccettature. Mia Martini aveva grande voglia di comunicare, di vivere. Quando saliva sul palco e cantava, era indiscutibilmente brava… Questo non le veniva perdonato,  nessun paragone con le altre artiste del momento, lei era un’altra cosa.
Tornando al  brano “Cu ‘mme” scritto da Enzo Gragnaniello, tanti cantanti si sono cimentati nell’interpretazione.  Nomi famosi come Mario Merola, Loretta Goggi, Loredana Bertè, Gigi D’Alessio (e altri) ma la voce che ha dato forti emozioni nel cantarla è sempre stata la sua.
Resta nella storia quando la propose insieme all’autore e  a un altro grande della musica napoletana… Roberto Murolo.  La nostra Mimì è stata una delle poche interpreti non napoletane a dare una interpretazione fedele della nostra musica. Forse, per il suo sangue calabrese, molto vicino alla visceralità napoletana. Quando lei  dava voce a  capolavori come “Reginella” oppure “O marenariello” “Tammuriata nera” ci offriva sensazioni forti e magiche.
Non tutti sanno che il 4 luglio 2014 , a Napoli, fu intitolata ufficialmente, alla memoria di Mia Martini, una sala convegni del Centro Asterix, in via Domenico Atripaldi, nella sesta Municipalità, a Barra. La decisione era stata già presa a febbraio con una delibera della Giunta presieduta dal sindaco Luigi de Magistris.
Domenica Rita Adriana Berté, in arte Mia Martini, nasce a Bagnara Calabra, in provincia di Reggio Calabria, il 20 settembre 1947, suo padre Giuseppe Radames Berté, stimato professore di latino e greco a Bagnara Calabra, la mamma, Maria Salvina Dato. Quest’anno Mimì avrebbe compiuto 70 anni, ma purtroppo il  12 maggio del 1995 ci lascia drammaticamente.
Una delle piu belle voci del panorama musica italiana, una  voce, intensa e struggente colorata di mille sfumature, possiamo definirla una nostra Aretha Franklin (cantante americana che spaziava  dalla musica gospel al blues, dalla musica pop alla musica psichedelica arrivando persinoal rock and roll).
Sin da bambina Mia Martini  l’ amava e si ispirava a questo personaggio, ma anche a  Etta James. Mia inizia la sua carriera a Milano dopo aver costretto la madre a portarla nella città della “Madunnina”. Conosce Carlo Alberto Rossi, il produttore, che, dopo averla inserita come “ragazza ye-ye”, corista per brani twist e rock del periodo,  le fa incidere il suo primo 45 giri.
Con il brano “Il magone” vince il Festival di Bellaria, la stampa si interessa a Mimì Bertè”, suo primo nome d’arte. Poi il silenzio, cosi insieme alle sorelle e a sua madre si trasferiscono a Roma, da qua parte l’avventura.
Ecco le tre teste “folli” degli anni settanta, ribelli, innovativi, spregiudicati (per quei tempi) Renato Zero, Loredana Bertè e Mia Martini: si davano da fare per sfondare nel mondo della musica, intanto facevano mille mestieri, poi un brutto episodio. L’arresto per possesso di droghe leggere e i conseguenti quattro mesi di carcere a Tempio Pausania, era il 1969.
Arriva il 1970 l’incontro con  Alberigo Crocetta, fondatore dello storico locale “Piper”(Roma) grazie a lui viene proiettata nel mondo della musica con il nome di Mia Martini, propone un look tutto suo, un 45 giri (che venne censurato) un argomento forte “Padre davvero” un padre padrone, violento despota.
Sarà vero, sarà autobiografico? Non lo sappiamo, ma da una dolorosa intervista rilasciata da Loredana Bertè al giornalista Maurizio Becker, scopriamo ombre buie e terrorizzanti.
Loredana parla del padre come se fosse un estraneo. “Ho saputo che Mimì era andata due giorni dal padre (a Cardano al campo), che non vedeva da 40 anni. Lui le ha dato un appartamento del c…, dove non c’era niente. C’era un materasso steso per terra e basta. Mimì si lamentava, diceva che quel posto faceva schifo e che non ci sarebbe rimasta. C’è stata in tutto tre giorni: uno da viva e due da morta, ma in quell’appartamento ce l’ha messa il padre, poteva tenersela lui… poi quando l’ho vista dentro la bara, era massacrata, piena di lividi”.
Becker fa notare che la morte di Mia Martini è stata notificata con un referto che parlava chiaro la diagnosi “arresto cardiaco per overdose di stupefacenti” ) ma è anche vero che Mimì soffriva di un fibroma all’utero, e per questa patologia doveva assumere farmaci anticoagulanti…

                                                                                      (1.continua)

 

 

 

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