Ho sempre pensato, guardando i lavori di Leo de Berardinis, che la sua principale attenzione fosse essenzialmente rivolta verso una sorta di poetica del molteplice in grado di realizzarsi sempre in unicit . Una scelta di una dialettica tanto puntuale quanto eversiva capace di plasmare in un unico transito gli opposti ed i contrasti. Una poetica densa di estremi, d’incantesimi e tensioni sperimentali e, al contempo, una dimensione sicuramente “combinatoria” da intendersi anche come lucida consapevolezza di un preciso gusto popolare.
Un’idea (e una pratica) di molteplici combinazioni come visionaria caparbiet  senza vestire mai gli abiti della provocazione fine a se stessa, bens sempre animata da un fondante bisogno di aprire uno squarcio reale dentro la scena teatrale. Una poetica del molteplice, quindi, come varco e come necessit .
A partire dal 1967 (dopo l’intensit  degli “inizi” con Carlo Quartucci) Leo de Berardinis immediatamente al suo nascere d’attore e regista indica subito i suoi punti di forza dove convive perfettamente la grande Commedia dell’arte e la sceneggiata napoletana in amalgama perfetto con una modellizzazione sperimentale sempre nuova e scardinante.
La dimensione molteplice di Leo de Berardinis predilige una visionariet  potente e avanguardista, che comprende al proprio interno diverse dimensioni espressive e culturali dove “l’attore lirico vagheggiato e sia pure a tratti – incarnato da Leo è in gran parte il risultato di una originale commistione tra il modello dell’attore borghese e quello dell’attore comico un nuovo attore comico (…) che si ricostruisce una propria autotradizione culturale, linguistica ed espressiva, attraverso un bricolage spesso violento e beffardo su frammenti alti’ e bassi’, dialettali e in lingua, farseschi e tragici, tradizionali e d’avanguardia Totò e Ginsberg, Artaud e Petrolini, Viviani e Majakovskij, Eduardo e Baudelaire, Keaton e Rimbaud, si pensi, in particolare, a due spettacoli programmatici, sotto questo aspetto, come Leo de Berardinis re-incarna I e II, del 1981” (Marco De Marinis).
Insomma, una poetica del molteplice dove i conflitti della ricerca estetica perfettamente coincidono con le magmatiche prospettive di un divenire post-moderno, in chiave lucidamente estremista. Una scelta verso l’estremo che ha ulteriore trionfo espressivo a partire dai primi anni Settanta quando nel lasciare Roma, Leo de Berardinis e Perla Peragalo (gi  insieme con la firma scenica Leo e Perla) troveranno il loro spazio espressivo alle falde del Vesuvio con il Teatro di Marigliano. Esperienza totalizzante, profonda, lacerante, tra “arte e vita” e molto di più se fosse possibile. Con il “teatro dell’ignoranza” un estremo dialogo avviene dentro e fuori la scena tra attori, attori non professionisti, pubblico.
Violenza e dadaismo, politica ed espressioni del non-finito, voci e luci… questo e tanto altro ancora erano alla base di O zappatore (1972), King lacreme Lear napulitane (1973), Sudd (1974), Rusp Spers (1976). Anche in questo periodo di produzione scenica ritroviamo la dimensione del molteplice realizzata sempre nella modellizzazione dell’unit  espressiva. Seguendo “precise linee formalizzatrici (…) volendo analizzare i sette lavori di de Berardinis dal 1967 al 1976 come un solo lavoro ci accorgiamo facilmente quanto sia unitaria l’opera teatrale che ne risulta e come essa si sviluppi su alcuni piani tra loro simmetrici e strettamente organizzati” (Rino Mele).
Quando il sodalizio con Perla sar  concluso Leo fonder  la Cooperativa Nuova Scena e poi il Teatro di Leo che sancisce con la citt  di Bologna un nuovo laboratorio per la sua ricerca e successivamente (il 4 maggio del 2001) la facolt  di lettere dell’Universit  di Bologna, in occasione delle celebrazioni del Trentennale del Dams lo laurea honoris causa in lettere.
Da ricordare che tra il 1995 e il 1996 è anche consulente artistico del teatro “Giuseppe Verdi” di Salerno dove, nel 1996, presenta uno spettacolo firmato a tre King Lear, nato nell’ambito di un’importante attivit  laboratoriale realizzata in collaborazione con Ruggero Cappuccio e Alfonso Santagata. Sempre in Leo de Berardinis esplode una limpida tecnica recitativa dal vigoroso impianto attoriale assolutamente privo di retorica. Una recitazione dove traspare un armonico sentire che si lascia (dolcemente e/o violentemente, poco importa) tracimare da sonorit  “sporche”, “voraci”, “dissonanti”, “grezze”, “dialettali”, “polimorfiche”.
Insomma un brioso “consumare” il recitato scenico da tutte le pratiche più viscerali del linguaggio. A tutto questo va aggiunto il suo “essere meridionale” che al di l  del trionfo di luoghi comuni è sicuramente uno dei punti di forza di quest’attore-autore che spesso reinventa il recitato in funzione dei magmi dialettali. E lo stesso succede con i corpi, le maschere, le sembianze, i volti.
E cos Amleto diventa Totò (e viceversa), King Lear (il “mondo Lear”, come più volte dir  Leo) viene scardinato dal canto di napoletana tradizione d’emigrante emblema, Pirandello è un riferimento in grado d’assorbire tutte le possibili linee di fuga del teatro contemporaneo, Beckett e il suo vuoto trovano eco sul set di un Testaccio pasoliniano… Disegnando sempre come prioritarie caratteristiche degli spettacoli di de Berardinis “afasia ed aggressivit  che si intersecano in una koinè sciatta, deposito di idiomi e di maniere disparate, contrappunto di citazioni colte e gergalit  escrementizie, di umorismo e di musiche sublimi (da Beethoven a Verdi, da Cajkovskij a Schonberg), di tritum verbale come frasi fatte, giochi di parole demenziali, ripetizioni snervanti di fonemi gutturali, jazz e canzonacce” (Paolo Puppa).

Riferimenti bibliografici

Alfonso AMENDOLA, Per una poetica del molteplice. Dialogo con Leo de Berardinis, Plectica, Salerno, 2007.
Alfonso AMENDOLA, “Leo e Perla”, in Id., Frammenti d’immagine. Scene, schermi, video per una sociologia della sperimentazione, Liguori, Napoli, 2006.
Alfonso AMENDOLA, “Dell’eterno ritorno. Totò nell’avanguardia scenica tra Leo de Berardinis e Carmelo Bene”, in Daniela ARONICA Gino FREZZA Raffaele PINTO (a cura di), Totò. Linguaggi e maschere del comico, a cura di, Carocci, Roma, 2003.

Leo DE BERARDINIS – Perla PERAGALLO, “Attorno all’eliminazione del teatro” in Franco QUADRI (a cura di), L’Avanguardia teatrale in Italia (materiali 1960-1976), Einaudi, Torino, 1977.

Marco DE MARINIS, “La consacrazione del nuovo teatro” in Id, Il Nuovo Teatro. 1947-1970, Bompiani, Milano, 1987

Marco DE MARINIS, “L’attore comico nel teatro italiano del Novecento”, in Id., Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, La Casa Usher, Firenze, 1988

Gianni MANZELLA, La bellezza amara. Il teatro di Leo de Berardinis, Pratiche Editrice, Parma, 1993

Claudio MELDOLESI, “L’apice di Leo, artista del riso oscuro” in Eva MARINAI Sara POETA- Igor VAZZAZ (a cura di), Comicit  degli anni Settanta. Percorsi eccentrici di una metamorfosi fra teatro e media, Edizioni ETS, Pisa, 2005

Rino MELE, “La messa fuori scena di de Berardinis” in Id., La casa dello specchio. Modelli di sperimentazione nel teatro italiano degli anni Settanta, Ripostes, Salerno-Roma, 1984

Paolo PUPPA, “La tentazione dialettale”, in Id., Teatro e spettacolo nel secondo Novecento, Laterza, Roma-Bari, 1990

In foto, Leo De Berardinis

*insegna Sociologia dei processi culturali all’Universit  di Salerno. Si occupa di culture di massa e culture d’avanguardia.

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