“La fantasia di Francesca”, edito da Guida (pp. 116, euro 11), è un libro altamente poetico che denota la particolare sensibilit  dell’autrice, la scrittrice, napoletana di adozione, Mariacarla Rubinacci. Vi si narra la storia immateriale di uno spirito, quello di Roberto, affermato principe del Foro. Questo viaggio fantastico che ripercorre le tappe di un’intera esistenza potrebbe essere comparato, per diverse assonanze, all’iter mentis in Deo agostiniano.
Vi si trovano inoltre, diversi spunti assimilabili a “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera, che vedeva riuniti nel presente, dialetticamente fuse, le diverse fasi dell’esistenza all’interno della coscienza, luogo in cui passato e presente perdono il senso comune per coesistere nella contemporaneit , in una dimensione del tempo orizzontale e non più stratificata.
La stessa condizione finale degli stadi evolutivi propri della crescita, che dopo un certo percorso, interrompono il senso direzionale ascendente e progressivo per passare ad un assestamento generale dello sviluppo, come gi  aveva efficacemente descritto e posto in evidenza il Piaget.

La fase terminale dell’esistenza, altro non è, che proprio l’ultimo stadio di questa evoluzione, certamente ormai, non più in senso organico ma intesa quale “massima realizzazione del pensiero” come amava ripetere il filosofo esistenzialista dell’alienazione, il francese Jean-Paul Sartre.

Questo entrare ed uscire da se stesso di Roberto da sfogo a tutta l’ansia

della sua affannosa ricerca della verit , del senso ultimo delle cose, insomma, del famoso “sugo” manzoniano. Egli tramite l’alienazione si protende per afferrare le tante possibili risposte ai suoi innumerevoli interrogativi. Il protagonista vuole perciò vivere i suoi ultimi giorni al di fuori del suo contesto abituale e consueto, in piena libert  spazio-temporale, al di l  di ogni condizionamento contingente e per farlo si inabissa nei meandri più misteriosi e reconditi del suo cuore tuffandosi proprio nel centro della fonte dei suoi tanti ricordi, per scoprire finalmente da dove sgorga la sorgente della vera luce. E la conoscenza per Mariacarla è fatta di pure immagini, senza spazio n tempo, in una eterna terra di limoni poeticamente profumata dell’odore del mare, splendente di colori e di luci smaglianti «Il suo sonno stava scrivendo una pagina di ombre. Percep che le gocce di quel sonno gli inumidivano la fronte come carezze leggere. Forse gli stavano cadendo sull’anima che si lasciava trascinare in un vortice dolce e sublime. Intorno a lui intanto il vento gli portava odori lontani, sollevati da terre bianche di sabbia sottile e di pietre corrose dal mare, colori diversi intrisi di verde abbarbicato e coltivato dalla mano di un saggio che aveva chiesto alla natura l’aiuto per vivere». O ancora, di suoni evocativi «Nella mente gli risuonò una manciata di note che gli intonarono il canto di un ritornello antico. I pensieri ripresero il loro andirivieni sommesso come fossero libri stampati nelle storie. Erano come il canto che inizia in sordina e poi sale crescendo allargandosi in un tuono che scuote la valle avvolta nella nebbia. I desideri più remoti d’improvviso balzarono alla luce e gli mostrarono le speranze che forse non aveva avuto il tempo di vivere, gli indicarono i sogni impastati della gloria di cui anelava vestirsi, la stessa che si era trasformata nel lamento quando si era reso conto di aver vissuto tutto troppo intensamente».

Questa biografia spirituale di Roberto, raccontata da Francesca, la madre dei suoi figli, messa poi in disparte per un nuovo amore, ma non senza un certo pentimento, ha dei tratti espressivi disomogenei.

E’ un melange linguistico che l’autrice utilizza sapientemente, modificandolo di continuo, durante il corso della scrittura, intrecciando in modo armonioso, vari registri della comunicazione, alternandoli.

Si va dal linguaggio aulico che eleva in una sfera più alta oggetti ed azioni, anche comuni, promuovendoli al rango di elementi unici e speciali descritti spesso in modo dannunzianamente evocativo, passando per la visione delle immagini quali esse sono nella loro concretezza empirica, fino a giungere, in alcuni casi, ad utilizzare attraverso figure di semplici pescatori e contadini del luogo, un gustoso gergo dialettale.

Vi è un gusto eccezionale nel testo per la descrizione ed il discorso diviene cos, costruzione scultorea finemente cesellata.

L’autrice, inoltre fa uso, spesso e volentieri del correlativo oggettivo, tanto caro a Eugenio Montale, e infatti, nelle sue intense pagine, si ritrovano scene e parole tipiche della quotidianit , che però intendono riferirsi a valori e caldi sentimenti intimamente sentiti con forza e passione dal protagonista del libro. Un pantalone, una poltrona, un comò, un fiore non sono altro che un pretesto per ricordare, ma con il cuore, e ripercorrere tutta un’esistenza che lui stesso ha vissuto, di cui ha gioito e sofferto.

Questa stessa memoria appartiene però anche a Francesca che ne ha condiviso una gran parte, forse l            6                  «    oè è á«sptLlibrined dd dpG7eEèHa migliore. Francesca ha potuto svelare ciò che ha scoperto celato nell’animo di Roberto e forse sconosciuto a lui stesso, attraverso le misteriose strade dell’amore, perch l’amore è conoscenza.

La Rubinacci ci ha voluto inviare con il suo libro, un messaggio di gioia e ottimismo. Roberto ritrover  l’asso nascosto sotto le tre carte, ritrover  ci, il senso di tutta la sua esistenza che è proprio l’amore che illumina e riscalda l’essenza dell’essere. L’autrice ci esorta cos a ritrovare la fiducia nel futuro, basta soltanto sapersi porre in ascolto, fare silenzio nel proprio cuore per poi tuffarsi nelle emozioni sempre vive e presenti, custodite nella memoria di ciascuno di noi, perch non è possibile altrimenti costruire alcun futuro senza avere la consapevolezza del nostro passato.

Nella foto, la copertina del libro

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