Per la prima volta il World Press Photo approda a Napoli, al Pan (in mostra fino al 14 ottobre). Vincitore assoluto, Pietro Masturzo, giovane fotoreporter che nasce a Napoli nel 1980.
Per la sua foto, donne sui tetti di Teheran, il presidente della giuria, Ayperi Karabuda Ecer, dichiara: “Questa fotografia mostra l’inizio di qualcosa. Aggiunge prospettiva alla notizia”.

E lui aggiunge: “Ho scelto la fotografia. Mi piace fare questo, voglio fare questo, faccio questo, provo a fare questo”. Fondatore della Kairos Factory nel 2009, un collettivo di fotografia documentaria di stampo indipendente. Timido, appassionato viaggiatore e narratore di grandi storie, di un’umilt  sconcertante per un mondo in cui domina l’apparenza. Con le idee ben chiare. Racconta, davanti al suo ormai famoso reportage sui tetti di Teheran, cosa c’è dietro i suoi scatti.

Pietro, come è cambiata la tua vita dal World Press Photo fino a oggi?
“Tanta attenzione su di me, ma soprattutto sul mio lavoro, sulla mia fotografia. Ho lavorato pochissimo purtroppo, più come assistente che da fotografo, ma non posso lamentarmi. La mostra di World Press Photo ha girato più di 100 citt  in tutto il mondo e quest’anno è arrivata per la prima volta a Napoli. Quindi, è una grande soddisfazione. Gireremo ancora fino a febbraio/marzo dell’anno prossimo; sar  vista ancora da tantissime persone”.

Ti senti un po’ il porta bandiera degli artisti napoletani che ancora oggi hanno difficolt  a emergere?
“Magari…più che degli artisti napoletani mi piacerebbe essere un portabandiera per tutti i giovani fotografi italiani. Sono felice di essere napoletano e di essere l’orgoglio di qualcuno qui a Napoli. Però, la condizione dei fotografi adesso è drammatica in tutta Italia. Sono contento di rappresentare un incoraggiamento per tutti”.

Come hai iniziato la professione del fotografo? Tu lavori come freelance: cosa si nasconde dietro le immagini di questo tuo reportage…
“Mi muovo sempre, sono sempre stato freelance. Ho lavorato anche con diverse agenzie e ho fatto cronaca qui a Napoli. Quando parto, mi organizzo un po’ di tempo prima. Mi preparo, per quanto possibile, a tutte le difficolt  che dovrò affrontare, cerco di trovare quanti più contatti possibili tra la gente, di entrare nelle case delle famiglie in diverse realt . Gli iraniani sono persone squisite, bella gente. Sono stati molto ospitali con me, mi hanno dato tantissimo. Naturalmente, quando hanno saputo che facevo il fotografo, soprattutto nel periodo in cui io sono stato l e per quello che volevo raccontare, sono diventati un po’ diffidenti e non volevano farsi fotografare. Parlare davanti una telecamera o stare davanti alla macchina fotografica o anche accendere il registratore, era impossibile. Poi, se riesci a entrare un po’ in intimit  con loro, si aprono completamente le porte. Senza di loro non sarei riuscito a fare niente. Quello che succedeva sui tetti, succedeva di sera; era una specie di appuntamento. Una protesta che si ripeteva ogni sera alle dieci, indipendentemente da quello che stava succedendo in strada e sono stato fortunato perch non ne ero a conoscenza e mi ci sono trovato dentro. Ospite in casa di iraniani, a un certo punto ho sentito le urla venire dall’esterno. Mi hanno spiegato che venivano dai tetti e il significato della protesta. Cos sono salito di corsa. stato un impatto emotivo grandissimo, ne sono rimasto affascinato e ho pensato che fosse il modo giusto per registrare quello che stava succedendo in Iran in quel periodo. Non mi interessava fare la cronaca politica delle elezioni, non ero l per questo. Volevo descrivere il paese a trent’anni dalla rivoluzione e nel periodo elettorale, in un periodo in cui si esprimono ambizioni e speranze. Quando ho scoperto questa protesta, fatta anche trent’anni prima, mi è sembrato il modo perfetto”.

Che cos’è la fotografia per te?
“Nasce dalla voglia di raccontare. Io ho studiato tutt’altro, mi sono laureato in relazioni internazionali; ero gi  interessato a certe dinamiche e sono sempre stato innamorato del viaggio. A un tratto senti proprio il bisogno di dover mostrare quello che hai visto. Ho scoperto di voler fare questo lavoro. Ho finito l’universit  nel 2005. Ero gi  un appassionato di fotografia. Ho iniziato a approfondire, studiare, collaborare con alcune agenzie e lavoricchiare come fotografo nel 2007. Mi sono dedicato al documentario, al giornalismo in generale”.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai gi  in mente il tuo prossimo viaggio?
“Vorrei continuare a lavorare sull’oppressione dei governi, dittature di qualsiasi genere. Spero di poter ancora frequentare questi paesi, anche se non è semplice. Adesso mi hanno appena rifiutato un visto e sto cercando di capire come posso ottenerlo. Ma il mio prossimo viaggio è un segreto!”.

In alto, il Pan di Napoli. In basso, Pietro Masturzo intervistato da Roberta Fuorvia (foto di Laura Gioia)

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