“Giambattista Pittoni e l’epoca di Casanova. Viaggio nel ‘700 tra Venezia e Napoli” è la mostra ospitata da Palazzo Reale di Napoli fini al 15 agosto nell’alcova della regina. Ne proponiamo un excursus di Carmine Negro diviso in due parti. Dopo la prima, ecco la seconda.

«Arrivai a Napoli il 16 settembre 1743 e mi recai subito a Sant’Anna per consegnare la lettera che mi aveva dato il vescovo di Martorano e che era indirizzata a un certo Gennaro Palo[1]» …«Faccio a Napoli un breve ma felice soggiorno». Così scrive Giacomo Casanova a proposito del suo primo viaggio nella capitale del Regno di Napoli. Benedetto Croce riporta nelle sue opere che Casanova visitò il Palazzo Reale nel 1760, mentre un terzo soggiorno, nel 1770, conferma come Napoli rimanesse una meta di riferimento per il celebre avventuriero.
Le sue visite, mai semplici soggiorni ma esperienze complesse e articolate, hanno affascinato studiosi locali come Croce stesso e Salvatore Di Giacomo, entrambi attratti dalla personalità audace e dalla capacità di Casanova di incarnare lo spirito del suo tempo.
Napoli partecipa alle celebrazioni per i 300 anni dalla nascita di Casanova con la mostra “Giambattista Pittoni e l’epoca di Casanova. Viaggio nel Settecento tra Venezia e Napoli”, ospitata al Palazzo Reale e curata dallo storico dell’arte Andrea Donati.
L’esposizione, allestita in collaborazione con istituzioni culturali di Napoli e Venezia, presenta tre opere recentemente riscoperte del pittore veneziano Giambattista Pittoni (1687–1767), accanto a riproduzioni fotografiche dal fondo casanoviano di Aldo Ravà, conservato presso la Biblioteca del Museo Correr di Venezia, e a materiali del Fondo Di Giacomo della sezione Lucchesi Palli della Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli.
La mostra, introdotta in conferenza stampa presso il Teatrino di Corte, propone un viaggio nel Settecento attraverso l’arte e la letteratura, restituendo frammenti vividi di un’epoca in cui estetica, cultura e vita quotidiana si intrecciano profondamente. Secondo Paola Ricciardi, Dirigente delegato del Palazzo Reale, questo progetto, frutto del dialogo tra due antiche capitali come Venezia e Napoli, è solo il primo passo verso nuovi approfondimenti sull’Appartamento di Etichetta, indagato non solo nei suoi aspetti ufficiali ma anche nella dimensione privata e domestica della vita di corte.
Le tre opere di Pittoni, destinate a Venezia per le celebrazioni canoviane nella seconda metà di agosto, sono esposte a Napoli in un luogo particolarmente evocativo: l’Alcova della Regina, la camera da letto della sovrana. Questo ambiente, rimasto intatto nel tempo, si presta a una nuova lettura grazie all’accostamento con la pittura di Pittoni, testimone del gusto settecentesco e perfetta per evocare atmosfere intime e raffinate.
Ad arricchire il percorso espositivo, materiali provenienti dai fondi casanoviani di Venezia e Napoli, testimonianze della passione e della ricerca di due studiosi d’eccezione: Aldo Ravà, esponente dell’aristocrazia veneziana e profondo conoscitore del Settecento, e Salvatore Di Giacomo, poeta e intellettuale napoletano. Insieme, danno voce a una storia che si snoda tra due città e due secoli: il XVIII, con la pittura dell’epoca di Casanova, e l’Ottocento, con la riscoperta letteraria e storica condotta dai casanovisti.
Andrea Donati, curatore della mostra, illustra la figura e l’opera di Pittoni, inserendola nel contesto del rococò veneziano. Le tre tele provengono dalla collezione di una nobile famiglia padovana, i Miari de’ Cumani, oggi estinta. Conservate per secoli in un palazzo storico di Padova e ritenute perdute, le opere sono emerse grazie al collezionista americano Steven Maksin, attuale proprietario, che le ha prestate per questa esposizione.
Giambattista Pittoni, nato a Venezia nel 1687 in una famiglia di pittori, ha già una bottega affermata nei primi anni del Settecento, quando Giambattista Tiepolo è ancora sconosciuto. Molto richiesto dalla nobiltà veneziana, realizza opere per palazzi cittadini, ville della terraferma e luoghi lontani come la Baviera, la Moravia, la Polonia, l’Inghilterra e forse la Francia. Pittoni, a differenza di altri artisti coevi, non viaggia mai molto: è Venezia, con la sua rete culturale e commerciale, a permettergli di raggiungere tutta l’Europa. I tre dipinti esposti rappresentano Venere, Diana e Apollo.
La Venere, seminuda e sdraiata, anticipa l’iconografia sviluppata da Canova nella celebre Paolina Borghese. Un’opera permeata da un erotismo elegante, fatto di vaghezza e grazia, tipico del rococò. Il Settecento rococò, che è un’epoca di grande seduzione, è proprio il mondo nel quale si trova a vivere e a operare Giacomo Casanova.
Diana, dea della notte, è colta nel sonno come l’aveva rappresentata Correggio più di due secoli prima. L’immagine è molto seduttiva per il mondo che stiamo considerando, quello del rococò veneziano, dove il corpo della donna nuda si può osservare e dove l’abbandono nel sonno aumenta il carattere erotico del dipinto. L’eleganza è una caratteristica della pittura di Pittoni: non c’è mai volgarità dell’esecuzione del corpo nudo, maschile o femminile, ma al contrario un’estrema raffinatezza e dolcezza. Diana è accompagnata da un fedele cane da caccia, anche lui assopito nel sonno come la sua padrona. Quindi un’immagine che invita ad addormentarsi probabilmente dopo una notte d’amore. Probabilmente questi dipinti adornavano un salottino, un luogo molto segreto all’interno di una dimora dove facevano bella mostra i dipinti erotici che raccontavano visivamente o figurativamente ciò che il padrone di casa o eventualmente suoi ospiti aspiravano di realizzare nella loro vita personale.
Il terzo dipinto, completamente inedito, è rappresentato dalla figura vigile di Apollo, che guarda, la figura di Diana, sua sorella mentre Venere guarda Adone, addormentato. Andrea Donati suppone che in realtà all’origine ci fossero quattro dipinti e non tre anche se di questo dipinto effettivamente non c’è nessuna menzione nei documenti. L’Apollo è anche lui seminudo e semisdraiato e scruta intensamente lo spettatore: il suo sguardo è rivolto a colui che guarda il dipinto.
Questi dipinti, accomunati dalle cornici originali e da una raffinata esecuzione, come la maggioranza delle opere di Pittori hanno un problema di datazione, perché non c’è una documentazione certa su quando sono stati realizzati: spesso mancano i committenti, i documenti di pagamento o altre fonti che ne attestino la realizzazione.
Si può solo ricostruire la datazione su base stilistica e stilisticamente è verosimile che questi dipinti siano stati realizzati realizzati negli anni Trenta o Quaranta del Settecento, il periodo di maggiore successo dell’artista. Alcune analogie stilistiche con un dipinto di Sebastiano Ricci, dipinto per un committente Inglese, attualmente conservato a Ca’ Rezzonico lasciano supporre che Pittoni ne conoscesse una riproduzione e che ne abbia tratto ispirazione, adattandola a gusti più sensuali per il suo committente veneziano.
I disegni di Pittoni, purtroppo in gran parte perduti, sono testimoniati da alcune importanti raccolte. Alle Gallerie dell’Accademia di Venezia si conservano studi di putti, simili a quelli presenti nei quadri esposti. Alla Fondazione Giorgio Cini è custodito un disegno preparatorio della mano di Venere, che mostra l’attitudine di tenere appunto una freccia in mano, raro esempio direttamente collegabile a un dipinto. La maggioranza dei disegni conservati di Pittoni sono slegati dalle opere pittoriche che si conoscono, cioè sono prove di studio a volte sono anche dei suoi allievi, ma è raro trovare disegni che corrispondono ai dipinti.
Pittoni è un grandissimo disegnatore: nella sua casa bottega realizza disegni che gli servono in seguito per avere la destrezza e l’abilità, per realizzare, spesso a mano libera, particolari dettagli dei suoi dipinti.
Tra i primi fondatori dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, insieme a Tiepolo e ad altri artisti, Pittoni ha contribuito alla definizione di un metodo didattico pittorico ed ha influenzato generazioni di artisti. Una pittura la sua che, grazie ai contatti con altri pittori europei, ha penetrato l’intera Europa.
Per Monica Viero, Fondazione Musei Civici di Venezia, responsabile della Biblioteca Museo Correr e delle Biblioteche e Archivi MUVE la mostra è anche l’occasione per valorizzare il prezioso fondo casanoviano conservato al Museo Correr.

Di Casanova si sa molto, ma non si sa tutto perché conserva ancora dei segreti. Questa mostra, con il racconto bibliografico documentario della Fondazione Musei Civici, può aiutare a fare un po’ di chiarezza dentro ai molti misteri che ancora circondano la fama di Casanova, famoso libertino. I misteri sono legati prima di tutto alla sua vita, ai suoi spostamenti e alle sue avventure. Schiere di Casanovisti per anni hanno cercato di capire quanto di vero ci fosse nelle memorie ritenute un lavoro di fantasia: nessuno ha mai pensato che Casanova abbia fatto realmente tutto quello che riporta. Nelle sue Memorie Casanova racconta soprattutto fatti della vita privata. Scrive un libro di viaggio straordinario, senza descrivere mai i posti, cioè i paesaggi o le città, ma racconta le persone, i fatti e gli aneddoti. Questo lo rende particolarmente interessante e divertente ed ha decretato la fortuna delle Memorie del corso dei secoli.
Questa capacità di Casanova di raccontare proprio tutto quello che faceva, compreso le avventure erotiche, l’ha reso però naturalmente anche difficile da accettare per la morale dei Secoli che seguirono. E naturalmente questo ha contribuito a decretarne la fama di seduttore impenitente, libertino e di avventuriero senza scrupoli un insieme di tutti i difetti che è meglio non avere.
Una grande quantità di studiosi, dopo la pubblicazione della sua biografia, ha cominciato a lavorare proprio per riabilitarne la memoria una volta capito che tutto quello che scrive Casanova nel libro è vero e che la maggior parte delle cose che lui narra sono fatti realmente accaduti: una riabilitazione morale, ma anche letteraria. Casanova è stato un letterato, un uomo colto ed erudito: sicuramente uno straordinario interprete del suo tempo.
Tra i tanti che si sono impegnati per la riabilitazione c’è il ricchissimo signore veneziano che si laurea in giurisprudenza senza mai fare l’avvocato e passa la vita a studiare il Settecento e non solo Casanova: Aldo Ravà e la sua moglie americana Mary Violet Fenton.
Abita in un Palazzo di 45 stanze sul Canal Grande che arreda come un Museo del 700. Vive in questo clima del tutto settecentesco ed ha un rapporto simbiotico con questo secolo: raccoglie quadri, dipinti, oggetti, d’arte, documenti, libri, tutto quello che ha a che fare sul 700 e naturalmente lo studia.
La carriera come casanovista comincia nel 1910 quando si reca a Dux dove Casanova ha vissuto gli ultimi anni come bibliotecario nel castello del conte di Waldstein in Boemia ed è tra i primi ad avere accesso alle carte di Casanova. Si tratta di una quantità enorme di documenti da analizzare tra cui il manoscritto delle Memorie. Trova soprattutto le lettere delle amanti di Casanova che lui trascrive e riporta a Venezia realizzando una pubblicazione[2]: sarà una delle sue opere più importanti. Muore nel 1923, a soli 44 anni, dopo aver lavorato e pubblicato moltissimo: circa 60 opere tra articoli e monografie tutte sul Settecento veneziano.
Lascia i suoi beni alla moglie, che alla sua morte esprime il desiderio di lasciare alla città di Venezia una parte dell’eredità. Le cose vanno diversamente: non hanno figli, ma i discendenti americani, di cui nessuno ha sentito parlare, si presentano nel momento in cui scoprono di essere eredi di una grandissima fortuna, soprattutto dipinti e arredi del 700 oltre a pregiati mobili. Viene fatta una grande asta e la maggior parte delle cose vengono vendute e disperse.
I documenti e i libri, come spesso succede, non interessano a nessuno e così finiscono all’istituto di vendita giudiziaria e vengono acquistati dal comune per una per una cifra simbolica di una lira e portati al museo, Correr dove stanno tutt’ora. Si tratta di una grande quantità di manoscritti, 950 incisioni, stampe, circa 10.000, volumi tra opuscoli e monografie e un importantissimo archivio privato.
Nel 2000 è iniziato un sistematico lavoro di catalogazione che ha fatto emergere documenti rari e corrispondenze con altri studiosi, tra cui Salvatore Di Giacomo, che, pur non potendo accedere ai documenti di Dux, ha mantenuto scambi epistolari con Ravà. Il fondo conserva anche materiali appartenuti a Antonio Valeri (Carretta), confluiti a Venezia grazie all’intermediazione di Alessandro D’Ancona. Questo scambio tra studiosi veneziani e napoletani è oggi un ponte tra due città legate da una comune passione per la storia e la letteratura.
Nel suo intervento conclusivo, Donatella Dentice di Accadia, componente del Comitato Scientifico del Palazzo Reale, sottolinea come la figura di Casanova, veneziano, ma più volte presente a Napoli, ben si inserisca nel racconto di un luogo come l’Alcova della Regina, spazio evocativo per eccellenza. Il Palazzo Reale, con le sue stanze e i segni del tempo, non è solo un contenitore di suppellettili, ma un teatro di vita. Questa piccola mostra su Pittoni invita a sognare, risvegliando le magie che il grande palazzo dei re di Napoli ancora custodisce.
(2.fine)

NOTE
[1]https://archive.org/details/casanova-storia-della-mia-vita-vol-1-6/page/139/mode/2up?view=theater p. 140
[2] Aldo Ravà. Lettere di donne a Giacomo Casanova. Milano, Fratelli Treves Editori, 1912.