Di seguito pubblichiamo il nuovo racconto di Francesco Divenuto dal titolo “Il correttore di bozze”.

Abitava da solo; viveva da solo. Da quando sua moglie era morta, ormai da qualche anno, nessuna donna, come amante, e nessun uomo, come amico, erano più entrati in quella casa e nella sua vita.
Non aveva voluto cambiare abitazione che, ora, risultava troppo grande per una persona sola.
In realtà molti degli ambienti, occupati da un accumulo di oggetti raccolti senza un effettivo criterio, erano chiusi poiché la smania che lo aveva spinto all’acquisto di imprecisati oggetti, si esauriva, quasi sempre, nel momento dell’avvenuto possesso.
Per qualche anno ogni angolo della sua casa si era riempito di oggetti il più delle volte inutili o almeno, senza possibilità di utilizzo da parte sua.
I rigattieri, anche quelli che si ostinavano a definirsi antiquari, erano diventati una sua meta settimanale.
Lampadari, ai quali mancavano molti bracci, sedie che richiedevano una nuova rimpagliatura, servizi di posate incompleti, macchine da scrivere non più utilizzabili, elettrodomestici che non avrebbe mai saputo far funzionare, senza contare scatole piene di vecchie lampadine; ogni oggetto che, soltanto ai suoi occhi, possedeva la possibilità di una rinascita veniva caricato sulla sua macchina per poi raggiungere tutti gli altri e, con questi già ricoperti di polvere, essere dimenticato.
In realtà aveva, per qualche tempo, anche stilato elenchi delle cose comprate aggiungendo, spesso, un commento. Ma, di fatto, se qualcuno gli avesse chiesto il perché di un suo acquisto non avrebbe saputo che cosa dire. Nessuno aveva mai pensato di chiedergli spiegazioni del suo comportamento non certo la moglie e tantomeno i rigattieri per i quali era soltanto ‘o prufessore.
Poi, come spesso accade per le ossessioni che non hanno una vera ragione di esistere, aveva smesso di girare per botteghe e mercatini recuperando una parvenza di normalità nei suoi comportamenti.
Questa sua compulsiva abitudine aveva certo una sua spiegazione psicologica sulla quale, però, lui non aveva voluto indagare. E se la moglie era, in qualche modo, riuscita ad arginare questa mania la sua morte non aveva raggiunto l’effetto contrario come pure ci si sarebbe aspettati.
Evidentemente una delle cause meno confessabili del suo, dell’uomo, comportamento era proprio quel sottile, e non sappiamo fino a qual punto inconscio, piacere di contrastare la moglie.
Cose di normale routine in una coppia, certo. Poi fu riassorbito dai compiti del suo lavoro quotidiano che svolgeva con grande impegno.
Docente di latino e greco in uno dei licei cittadini il professore era molto stimato ma anche molto temuto dai suoi allievi.
In verità i suoi giudizi erano sempre costruttivi; ogni errore veniva spiegato nel modo più chiaro possibile. Certo anche per il suo notevole impegno non ammetteva distrazioni; ecco perché i suoi allievi aspettavano, sempre con ansia, l’esito che accompagnava il loro compito.
Una dotta ed esauriente spiegazione veniva poi riassunta in un voto con il quale si concludeva il giudizio dell’elaborato.
E proprio in questo voto, ossia nel suo segno grafico, affiorava un sentimento più profondo dell’animo del professore; una traccia della sua emotività che uno psicologo avrebbe potuto interpretare anche come sadismo.
Per essere chiari capitava che un voto positivo veniva tracciato sul foglio con mano leggera, uno sbaffo colorato appena leggibile. Ben altra sorte toccava a quei compiti bollati con l’insufficienza. In questo caso, infatti, il voto veniva segnato, calcato direi quasi inciso sul foglio il quale, non poche volte, si lacerava. In quel segno c’era tutto il disprezzo per un allievo che, secondo il suo giudizio, non aveva fatto tesoro dei suoi in segnamenti.
Evidentemente troppo poco e, forse, anche troppo sofisticato come criterio per giudicare, da questi “segnacci” il carattere di un docente senza considerare che allora, quando aveva insegnato, la scuola ancora godeva di una indiscussa autorità.
Ora che era giunto il pensionamento questo aspetto del suo carattere, solo attutito dalla sua grande esperienza didattica, cercava, senza che se ne rendesse conto, una nuova possibilità di manifestazione.
In realtà la sua maniacale precisione cercava, in maniera inconsapevole, un campo di applicazione. Se si considera il tempo a disposizione ma soprattutto la sua vasta cultura si comprende perché un giorno un suo vecchio conoscente lo aveva chiamato invitandolo a raggiungerlo presso una famosa casa editrice della città.
Non furono necessarie molte parole per chiedergli se voleva svolgere il lavoro di correttore di bozze. Il prezzo stabilito, per ogni cartella, fu soltanto uno dei motivi che lo convinsero ad accettare. In fondo ritornava nel suo ambiente culturale anche perché, come gli spiegarono, si sarebbe dovuto interessare di testi di grande importanza letteraria. Insomma era un impegno di prestigio che sollecitava, in qualche modo, il suo amor proprio.
L’unica condizione che pose -in realtà il guadagno era l’ultimo dei suoi problemi- fu che le cartelle gli fossero recapitate, oltre che in via e-mail, anche come copia cartacea anzi, per essere precisi, chiese di avere una doppia copia cartacea. Nessuno gli fece notare che, molto più semplicemente, avrebbe lui stesso potuto stampare dal suo computer quante copie voleva.
Forse l’amico aveva dovuto avvertire della, diciamo, stranezza del professore al quale già il lunedì successivo, fu consegnata una discreta copia di cartelle.
Come già stabilito il manoscritto non veniva mai consegnato per intero: Come lui stesso aveva suggerito, preferiva una prima correzione di un certo numero per volta e solo alla fine, in una revisione generale ricomporre tutte le cartelle che costituivano il libro.
In fondo anche la seconda copia serviva a questo scopo
. Un testo, particolarmente impegnativo, richiedeva un’altra correzione su cartelle intonse; il confronto fra le due avrebbe messo in evidenza le possibili distrazioni.
Era un metodo estremamente preciso che richiedeva tanta attenzione e tanto tempo. In questo era stato categorico: se credevano di chiedergli un lavoro secondo tempi stabiliti dall’editore allora non avrebbe accettato il lavoro.
Tutte queste difficoltà, da lui avanzate, non scoraggiarono l’editore in quanto, e questo si dimostrerà un aspetto non secondario del suo contributo, data la sua ampia cultura non poche volte aveva corretto qualche imprecisione ed anche suggerito un miglioramento del testo.
In poco tempo in redazione quando un lavoro era ben fatto si diceva che l’aveva fatto o’ prufessore. La sua autorità non poteva mai essere messa in discussione.
Inutile dire che l’organizzazione del suo lavoro era un aspetto non secondario del risultato. Sul tavolo aveva disposto dizionari, vocabolari delle lingue più spesso utilizzate nei testi, enciclopedia per controllare i suoi ricordi che, manco a dirlo, non lo tradivano mai.
Nel suo lavoro eccelleva lo zelo, la precisione qualità che insieme alla sua cultura fecero di lui un correttore di bozze molto apprezzato e, per questo motivo, molto corteggiato anche da moli autori che ricorrevano ad un suo aiuto prima di consegnare i loro testi.
Ed allora il sadismo, già dimostrato con i suoi allievi, divenne una sua prerogativa. In effetti dal suo insegnamento non aveva mai ricavato se non la stima, ma anche il fastidio e le gelosie, dei colleghi.
Quando correggeva il testo di un autore, da lui poco stimato, ma invitato in importanti convegni internazionali, consultato da critici, e che, cosa non da poco, vendeva molto, allora la sua rabbia schiumava. Le correzioni sui fogli diventavano segni grafici sottili e decisi come staffilate.
Spesso corredava le cartelle con sue note nelle quali sottolineava l’errore, l’imprecisione e la superficialità con la quale l’autore si era espresso. Una data sbagliata, un richiamo storico poco adatto, per non parlare dei frequenti errori di punteggiatura, gli procuravano una felicità incontenibile. In questi casi mortificava l’autore aggiungendo un suo commento “errore da allievo di prima media”.
Bene; dopo quanto detto si può immaginare come si svolgesse la giornata lavorativa del professore. E invece; sì, certo, le sue recondite frustrazioni erano, in un certo modo appagate ma poiché stupido non era e non mancava nemmeno di sensibilità, dopo qualche tempo si rese conto che nella sua vita non c’era spazio per un’attività che fosse tutta sua che cioè non dipendesse dal lavoro e, diciamolo, dalla superficialità degli altri. Fu allora che si ricordò di una sua antica passione: la cucina.
I suoi impegni di lavoro ed una certa ostilità dimostrata in famiglia nei confronti delle sue capacità lo avevano scoraggiato ma, evidentemente, era giunto il momento di riprendere questo suo desiderio. Fu necessario, allora, riorganizzare la sua giornata per trascorrere del tempo in cucina senza per questo toglierlo, il tempo, al suo impegno di correttore.
L’organizzazione dei due ambienti, lo studio e la cucina, ad un occhio più attento, avrebbero mostrato la stessa cura maniacale.
Cambiavano gli oggetti, certo, ma sul tavolo da cucina ogni attrezzo trovò una sua precisa sistemazione in ragione al suo più o meno frequente utilizzo. Anche i ricettari, naturalmente, ebbero un ruolo fondamentale in questa nuova attività; almeno come punto di partenza ogni ricetta veniva letta nei vari manuali di cucina per essere poi rielaborata con risultati non sempre convincenti ma, certo, molto personali.
Dopo qualche tempo il continuo andirivieni dallo studio ai fornelli, mostrò le sue criticità. Capitava spesso che se si attardava a controllare la cottura di una pietanza quando rientrava sulla cartella che stava correggendo dimenticava l’osservazione che aveva pensato di aggiungere e se, come pure capitava, una locuzione, una frase lo tenevano occupato per un certo tempo, le possibilità che la pietanza subisse qualche danno era concreto: soufflé sgonfiati, maionesi impazzite, stufati dei quali era sfuggito il tempo di permanenza nel forno, brodi troppo ristretti che aumentavano di sapidità. Insomma non ci volle molto a capire che i due lavori subivano una reciproca influenza negativa. E poiché la possibilità di abbandonare uno dei due non fu presa in considerazione, in breve il professore trovò una brillante soluzione.
Sul tavolo, di fianco ai fornelli, fu sistemato un leggio sul quale, ogni mattina, prima di accendere i fuochi, veniva sistemato un fascio di cartelle. Inutile dire che il numero di queste era, con incredibile precisione, calcolato in funzione dei tempi previsti per la preparazione del pranzo deciso per quel giorno.
Tutto bene allora? E, no. Un inconveniente ci fu anche se non fu preso in alcuna considerazione dal professore.
La vicinanza dei fornelli, infatti, comportava che, facilmente, un sugo, un fritto spandesse gocce tutto intorno e, naturalmente, anche sulle cartelle.
Così, dopo qualche tempo, gli autori impararono a calcolare dai segni graffiati con forza, dalle note aggiunte, ma anche dalle “isole” di unto, quanto tempo quella cartella aveva richiesto per le correzioni.
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L’AUTORE
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di  numerosi saggi su riviste specializzate e di  due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quelli a più voci dal titolo “Napoli: a bordo di una metro sulle tracce della città” coordinato con Guido D’Agostino e Antonio Piscitelli (edizioni scientifiche italiane 2019), La casa nel Parco. Un giorno tra il Museo e il Real Bosco di Capodimonte (AGE 2020) e Agorà, ombre e storia nelle piazze di Napoli (La Valle del Tempo, 2021) curati con Clorinda Irace e Mario Rovinello..
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, “Variazioni Goldberg”, “Il bar di zio Peppe”, “Carmen e il professore”, “Il flacone verde (o Pietà per George)”, “Lido d’Amore”, “Frinire”, “Primo novembre”, “Due di noi”, “Il trio”, “Quattro camere e servizi”, “Mai di domenica”, “Cirù e Ritù”, “Una notte in corsia”, “Gennaro cerca lavoro (il peccato originale)”, “L’odio”, “Il vaso cinese”, e “Il nuovo parroco”, “L’eredità”, “Una caduta rovinosa”, “Cronaca nera”, “La cartellina rossa”. “L’ultima scelta”, “Un disco rotto”, “Sogno di un giorno di mezzo agosto”, “Il mare verde”, “L’arrosto di Ariosto”, “Madre”. Questo racconto s’intitola “Una battuta di meno e una sposa di troppo”, “Agenda di famiglia”.

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