In foto, la presentazione alla stampa dei bronzi in laboratorio prima che venga inaugurata la mostra al Mann, il 15 febbraio: con il direttore Massimo Osanna, c’è  Jacopo Tabolli che dirige lo scavo archeologico del Bagno Grande a San Casciano dei Bagni

Dopo l’allestimento alle scuderie del Quirinale e in attesa della mostra “Gli dei ritornano. I bronzi di San Casciano, che sarà allestita al Museo archeologico nazionale di Napoli (Mann) dal 15 febbraio al 30 giugno del 2024, le sculture ritrovate in provincia di Siena sono state presentate in anteprima nel laboratorio di restauro del Museo.
Su un grande tavolo bianco gli scuri manufatti in bronzo sono collocati uno vicino all’altro; sono tracce di un passato che affascinano per la loro raffinata esecuzione, per la capacità che hanno di ricostruire vicende umane che sembrano senza tempo, di raccontare storie di chi, apparentemente, non fa parte della storia. Alcune mani, quelle degli archeologi, li hanno sottratti al fango con la stessa cura e lo stesso rispetto con cui altre mani, secoli prima, li avevano deposti nel santuario.
Per illustrare il valore storico di questa scoperta, il direttore Massimo Osanna, che ha assunto la direzione ad interim del Museo Archeologico di Napoli, spiega: Si tratta di statue di estrema importanza. In primo luogo perché i reperti in bronzo sono molto rari; in secondo luogo perchè le iscrizioni ritrovate su questi manufatti raccontano pezzi di vita privata di persone comuni. Sono nomi, provenienze e motivi, prevalentemente di salute, che spingevano queste persone a recarsi in questo tempo termale.
A raccontare del sito di ritrovamento e la storia che i reperti raccontano c’è il dott. Jacopo Tabolli che dirige lo scavo archeologico del Bagno Grande a San Casciano dei Bagni, mentre ad illustrare le tecniche utilizzate per il restauro delle opere, sia nei primi interventi che in quelli periodici, fatti per verificare eventuali ossidazioni, la dott.ssa Wilma Basilissi dell’Istituto Centrale per il Restauro.

San Casciano dei Bagni ha sempre vissuto in simbiosi con le sue acque. Già i romani avevano eletto il sito a mèta salvifica. Ed è Massimo Osanna a ricordarlo quando dice: Dovevano essere molto popolari queste fonti. Orazio lo ricorda in una  bellissima epistola a un amico. Si sta orientando su dove andare a svernare per i suoi acciacchi e chiede, com’è l’inverno a Velia? Com’è l’inverno a Salerno, perché il suo medico gli dice di evitare Baia… soprattutto di non farsi prendere in giro dai bagni Chiusini dove vanno a chiedere salvezza per teste e interiora tante persone. Quando dice di tenersi lontano da quelle fonti probabilmente allude alle Terme di San Casciano che come si sa ancora oggi sono un’attrattiva di quel territorio marcando una continuità straordinaria che è uno dei valori in questo sito.
Ai piedi del borgo, dove la pietra abbraccia la macchia, una  grande vasca, il bagno grande, e lì ad accogliere chi ancora ripete il rito antico dell’immersione nelle acque calde. La Comunità decide di fare una scommessa puntare sull’archeologia, andare in profondità per restituire a San Casciano la sua memoria storica.
È Jacopo Tabolli, coordinatore scientifico degli scavi, a ricordarlo: È Il bagno grande il toponimo del luogo dove avvengono gli scavi presso le sorgenti termali. In realtà il posto è noto sin dal ‘500. Dopo un grande terremoto che avvenne nel 1575 la grande famiglia fiorentina dei Medici conquista la parte meridionale del territorio di Siena e costruisce, sulle rovine di quello che doveva essere un sito archeologico, un piccolo portico. In quell’occasione furono rinvenuti alcuni reperti antichi, una statua in marmo di Afrodite al bagno di Doidalsas[1], replica di un originale greco in bronzo, e un altare di Asclepio e di Igea, rotto da un “vile villano”: spezzato a metà è ancora conservato presso Fonteverde. Da sempre camminando nei campi la comunità locale ha chiamato questo luogo, il Monte Santo, a rievocare una sacralità o forse per ricordare la presenza di un santuario perduto.
Spesso è nella tradizione orale che è riposta la memoria dei luoghi. Nel 2018 l’amministrazione comunale decide di iniziare a sondare il terreno nei pressi delle vasche del bagno grande.
Nel 2019 non troviamo niente, ricorda Jacopo Tabolli, però nell’analisi del materiale di risulta, quindi non materiale nel suo luogo originario, ma rigettato, era chiaro che in prossimità dello scavo c’era qualcosa. Ed è così che ci muoviamo a sud delle vasche medicee ancora in uso in quello che era un orto abbandonato.


Agnese Carletti Sindaco di San Casciano in un’intervista: Non ci siamo mai persi d’animo e quindi l’anno seguente abbiamo provato ad indagare e a scavare in un terreno di proprietà privata e da questa prima campagna di scavo fu subito chiaro che quello che stavamo trovando era qualcosa di importante.
Nella stessa intervista Emanuele Mariotti, direttore di scavi del Comune di San Casciano dei Bagni, puntualizza: In realtà fin dalle prime battute dello scavo del 2020, con i primi bronzetti che venivano dalle stratificazioni più alte, come diciamo noi archeologi, galleggiavano negli strati più moderni, ci siamo resi conto di essere in un’area sacra perché erano presenti dei bronzetti votivi, alcuni orecchie, un piede, un dito. Poi sono emersi altri indizi. In particolare alla fine della campagna del 2020 dopo il primo altare trovato all’ingresso dell’edificio con la scoperta un altro altare con iscrizione dedicato ad Apollo ci si è resi conto di essere all’interno di una struttura di cui non si vedeva ancora molto, ma che era sicuramente un edificio sacro.
Sotto gli altari, i blocchi di marmo e le statue, gli archeologi cominciano a intravedere il bordo di una vasca. È quello, probabilmente, il nucleo del santuario: il luogo sacro per eccellenza in cui viene messo in atto il complesso rapporto tra umano e divino. La vasca che emerge non è quella immaginata circolare per dei bagni all’interno del santuario. Si tratta, invece, di una vasca romana di età imperiale allungata e profonda più di 4 m, larga 3 m e lunga 10 m. Sulla superficie, in mezzo ad uno strato di tegole, viene ritrovata una piccola “Folgore” in bronzo, un fulmine come quello che si ritrova sulle monete. Sigilla uno strato ancora più antico una vasca etrusca, il cuore pulsante del complesso sistema sacro e svela agli archeologi i dettagli di un rituale antico.
Pare che un fulmine abbia colpito il tetto dell’edificio. Quando un fulmine colpisce un edificio è un segno, un’ammonizione di Zeus. E allora si procede al seppellimento rituale delle cose colpite dal fulmine. I bronzi che sono agganciati per i piedi sul bordo vengono staccati e riposti accanto alle altre sculture già presenti sul fondo della vasca etrusca che viene chiusa.
La deposizione è necessaria perché tutti quegli oggetti di culto appartengono alla divinità e alle acque. Ed è Osanna a spiegarlo: In questi santuari … c’è la divinità che interviene ma ci sono anche le acque che curano.  In fondo è  la stessa cosa, perché la divinità è la fonte stessa, cioè l’acqua termale è personificata da una divinità citata dalle iscrizioni … una divinità della fonte che presiede alla guarigione.
La piccola Folgore in bronzo, divenuta sigillo, protegge quanto seppellito e trasforma la vecchia vasca in una vera e propria capsula del tempo secondo il rituale Fulmen Condere (Seppellire il Fulmine).
Il santuario, che si cerca di riportare alla luce, è un edificio quadrangolare realizzato all’inizio del I secolo d.C. e costruito sui resti di una struttura preesistente etrusca. La sopravvivenza dei luoghi sacri etruschi, in epoca romana, fa parte del processo di romanizzazione che, dopo secoli di guerre, sancisce l’assimilazione e l’integrazione politica degli Etruschi a Roma con la condivisone di molti luoghi sacri etruschi. In particolare quelli legati al culto delle acque calde la cui sacralità è condivisa da entrambi i popoli. Alla metà del I sec. d.C., a seguito di un drammatico incendio, l’edificio viene ricostruito e ampliato.
Nel 380 l’imperatore Teodosio con l’Editto di Tessalonica proclama il Cristianesimo religione ufficiale dell’Impero romano e sancisce un’implicita condanna verso il culto delle religioni pagane. Nel 391 aggrava le pene prendendo altri importanti provvedimenti: vieta l’accesso ai templi pagani, l’adorazione degli idoli divini e impone gravi multe ai funzionari che continuano a permettere tali pratiche. Molto probabilmente tali norme sono tra le cause principali della chiusura dell’edificio sacro, agli inizi del V secolo.

Le colonne del tempio vengono smontate e situate a coprire la struttura per sigillare il tutto. Sotto le colonne lo strato di tegole sotto ancora le monete di epoca imperiale e poi altro strato di tegole a seppellire il contenuto tardo etrusco e altre statue ornamentali di cui restano le impronte sul bordo della vasca non ancora rinvenute o fuse per recuperare il bronzo. Il santuario viene abbandonato e non distrutto quasi a voler rispettare una sacralità plurisecolare.
La campagna di scavo del 2022 costringe gli archeologi a lavorare immersi nel fango con un getto d’acqua calda ad una potenza di oltre 20 litri al secondo. In queste condizioni è difficile rilevare quella che è la stratificazione antica e riportare alla luce il nucleo rituale della vasca con il deposito votivo costituito dalle offerte che per 700 anni sono state portate nel luogo sacro.
Nel novembre del 2022 viene annunciata una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi anni: il ritrovamento di un tesoro intatto che comprende 24 statue di bronzo, 5 delle quali alte quasi un metro, numerosi ex-voto in bronzo e 5.000 monete in oro, argento e bronzo.
L’eccezionale stato di conservazione delle statue è stato reso possibile dalla calda acqua termale nella quale sono state immerse: essendo povera di zolfo e ricca di argilla ha permesso ai reperti di conservarsi in un ambiente senza ossigeno.
I ritrovamenti archeologici hanno consentito di rilevare gli dei venerati nel santuario, Apollo, Esculapio, Igea, Iside e Fortuna Primigenia e il contesto di svolgimento del rito. I fedeli quando arrivano al tempio prima svolgono il rituale di purificazione e di deposito delle offerte nei pressi delle sorgenti e poi si incamminano in un percorso che li porta dall’ingresso del santuario al luogo più sacro in assoluto: la grande vasca.
I bronzi di San Casciano raffigurano le divinità venerate nel santuario oltre ai bronzetti di organi o parti anatomiche per le quali si richiede l’intervento curativo delle divinità attraverso le acque termali. Sono le famiglie del II-I secolo a.C. a donare offerte alle acque e agli dei per poter essere curate e salvate. Quando in epoca primo-imperiale i Romani ricostruirono il santuario, le offerte e le statue ornamentali che avevano caratterizzato la fase d’uso più antica sono collocate all’interno della vasca e rispettosamente sigillate per preservare nel tempo il loro valore simbolico e sacro.
Le iscrizioni etrusche e latine, visibili sulle statue, hanno consentito di datare i reperti tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C. ed associare i reperti ai nomi di potenti famiglie dell’Etruria interna come i Velimna di Perugia e i Marcni dell’agro senese. I nomi delle famiglie etrusche affiancate a quelle romane suggellano un’integrazione culturale tra la civiltà etrusca e quella romana. Il passato è stato segnato da guerre e conflitti, ora i due popoli sono uniti nello svolgimento di ritualità condivise.
Tra i manufatti rinvenuti c’è la statua di un putto donata dalla famiglia Ancari di Perugia per il suo figlioletto guarito e un piede portato dalla liberta Minucia Myrine, a ricordo di una guarigione ottenuta grazie all’intercessione della dea Fortuna Primigenia.
Artisticamente molto interessante appare la statua in bronzo raffigurante il dio Apollo nell’atto di scagliare una freccia con l’arco teso, come la posizione delle braccia sembra suggerire. La statua, che è alta 63 cm, presenta uno schema compositivo singolare: ha i due piedi sollevati da terra, come in un passo di danza. Durante il restauro si è scoperto che in origine portava sul capo una coroncina d’argento.
Il 16 agosto 1972 nel mare di Riace sono state rinvenute due statue di bronzo: rappresentano due guerrieri, simbolo di forza e di bellezza.
L’8 novembre 2022 è stata annunciata la scoperta dei bronzi di San Casciano dei Bagni: si tratta di bambini, donne e uomini ripresi in un momento di debolezza e spesso di sofferenza.
La stessa materia nel primo caso rappresenta un capolavoro dell’arte classica e nel secondo caso documenta la fragilità umana che non ha un tempo. La stessa materia … la stessa che è nata da un’unica stella.
La storia dei due eroi sembra naufragata con la nave, quella di San Casciano, custodita dall’acqua di una vasca sacra, attende di essere letta e meditata. Tutti gli uomini sono animati dallo stesso desiderio di immortalità. Nessuno è sopravvissuto alle proprie opere ma tutti continuano a vivere in modo conscio o inconscio sulla scia di esse. Qualche volta sono imprese grandiose e ben riconosciute, altre volte sono impercettibili e anonime risorse immateriali. La memoria collettiva le custodisce tutte senza discriminarle e cerca di trattenerle tutte nel tempo.
A Bagno Grande, nel mezzo delle colline senesi, due popoli, segnati da guerre e conflitti, si sono uniti nello svolgimento di ritualità condivise mentre persone, di differente ceto e condizione hanno cercato insieme protezione per le angustie personali. L’esperienza di San Casciano potrebbe aiutarci a combattere le gabbie dei nostri confini fisici e mentali.
Gli scuri manufatti in bronzo, collocati uno vicino all’altro sul tavolo ricordano gli oggetti di devozione in argento, che ancora oggi ricoprono le pareti dei santuari.
Questo modo di esprimere e comunicare, risorsa immateriale nata e conservata dalla memoria collettiva, consente di raccontare storie a chi, apparentemente, non fa parte della storia. Forse non è necessario che gli dei ritornano perché il desiderio di salvezza e immortalità custodito da questo dialogo con gli dei non si è mai interrotto. L’uomo ha solo cambiato il modo di esprimere sentimenti ed emozioni.
 ©Riproduzione riservata 

Qui sopra, la statua di Apollo. Nelle altre immagini, reperti che verranno esposti


NOTE

[1] Doidalsas rappresentò Afrodite in una posa originalissima, ovvero accovacciata mentre sta per ricevere l’acqua del bagno sacro, sviluppando l’idea dell’Afrodite cnidia di Prassitele. L’Afrodite cnidia è una scultura marmorea di Prassitele, databile al 360 a.C. circa e oggi nota solo da copie di epoca romana.

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