Terza intervista della rubrica di approfondimento politico 5 domande per Napoli. Obiettivo: determinare un quadro di idee, analisi, contributi, dubbi, proposte, di autorevoli commentatori in uno spirito di coraggio, umiltà e compartecipazione, a servizio della città a venire. Parla Mirella La Magna, responsabile Gridas (gruppo di risveglio dal sonno) di Scampia.

Qui sopra, Mirella La Magna. In alto,
piazza dei Martiri durante il lockdown


Napoli è tra più fuochi: un avamposto contro l’autonomia differenziata avanzata dalle Regioni del Nord, una città alla ricerca di un’identità perduta tra le tante “anime” del Mezzogiorno ed un capoluogo che non accetta fino in fondo la sfida nell’ambito dei paesi del Mediterraneo.
Avere un’idea di città significa avere un’idea di futuro. Quale la tua?
«Qualcuno disse che fatta l’Italia occorreva fare gli italiani. Il problema di Napoli, la città dalle mille anime, è che non sa trovare il coagulante tra le sue tante sfaccettature e soprattutto non sa riconoscersi in quelli che sono stati i momenti vivi della sua storia, di cui essere orgogliosa e da cui ripartire. L’esasperato individualismo in cui secoli di assoggettamento e di avvicendarsi del potente di turno, raramente le ha permesso di superare frazionamenti, beghe, voglia di protagonismo, per unirsi nel nome di un progetto comune.
Bisogna imparare a essere orgogliosi di essere napoletani, della sua cultura, delle sue intuizioni, dei suoi primati: la colonia serica di San Leucio, la legge firmata a Capodimonte il 14 ottobre 1839 da Ferdinando II di Borbone per prevenire e reprimere il commercio degli schiavi, le quattro giornate di Napoli, sono solo alcune delle pagine memorabili che dovrebbero costituire la base di un parlare e di un sentire comune. Ma per far questo occorre fare i napoletani».
L’esigenza di una piattaforma programmatica propositiva, di medio-lungo periodo, non necessariamente in contrapposizione alle città del Nord, è più che una necessità per Napoli e per il Sud. Questa scelta impone un dialogo pressante con i Governi, qualsiasi essi siano, per un capoluogo che conti e non solo racconti. Il dialogo istituzionale è positivo sempre e comunque oppure deve passare prima per una rottura traumatica, viste le tante “sottrazioni” a cui gli esecutivi nazionali ci hanno tristemente abituati?
«Penso che solo con una cittadinanza coesa alle spalle si possa parlare di una piattaforma programmatica propositiva, di medio-lungo periodo, da presentare con convinzione di causa all’attenzione e alla discussione di un governo nazionale. Numerosi e costanti dovrebbero essere gli incontri in cui più che lamentare problemi da risolvere si possano presentare soluzioni fattibili e autonome».
Le categorie sociali ed economiche di Napoli molto spesso disegnano “separatamente” il destino dei cittadini, ognuno con la presunzione della conoscenza che diventa verità assoluta e non riproducibile da tutti gli altri. Il dialogo, la sintesi, una comunità di interessi, tra i soggetti sociali della nostra città sono possibili o ci dobbiamo rassegnare per sempre?
«Io credo che per una buona amministrazione della città sia necessaria a monte la formazione di un elettorato responsabile che abbia la capacità di controllare l’operato degli eletti, trovando le forme più adeguate e persuasive per un dialogo costante e costruttivo, atto a creare una collaborazione attiva tra i cittadini che vivono quotidianamente le varie problematiche della grande città e coloro che dovrebbero recepirne le istanze e muoversi nella direzione di una loro soluzione.
In questo modo le varie categorie sociali ed economiche della città, che vivono Napoli diversamente, ognuna nel proprio ambito ristretto, acquisterebbero uno sguardo panoramico che allargherebbe i loro orizzonti e li porterebbe ad accettare la presenza e le esigenze di cittadini con problematiche altre rispetto alle loro. È solo la conoscenza che fa superare le differenze di vedute perché le allarga in una visione collettiva».
Dopo il Covid– 19 è cambiato il mondo e le città non potranno restare a guardare. Secondo te, Napoli in quale miglior modo può reagire, quale terreno deve principalmente recuperare per non “perdersi” definitivamente?
«È stato più volte detto che nell’auspicato dopo-Covid guai ad augurarsi di tornare “come prima”. Questa pandemia può essere considerata “positivamente” solo se l’avvertiamo come campanello d’allarme per uno stile di vita e di pensiero che ci sta portando ineluttabilmente alla distruzione del pianeta.».
La partecipazione è un elemento di valore e dovrebbe riguardare la politica, ma anche e soprattutto l’ambito sociale e culturale, ma troppo spesso evoca scenari senza sporcarsi le mani. Napoli ha bisogno di un orizzonte ma anche di certezze amministrative e comportamentali. Al futuro ci si arriva con atti concreti, costanti e duraturi. Da dove si comincia per allargare la base democratica in città? 
«Cominciamo dalla scuola, che tutti più o meno stiamo capendo che è alla base di tutto come importanza, c’è da inventarsi un altro modo di farla, uscendo fuori dalle aule, ma anche dal mondo web, andando per le strade a conoscere il proprio territorio, quello che esso offre, gli altri infiniti luoghi di cultura, che non è solo quella dei libri o delle ricerche. Alcuni maestri e professori già lo fanno, forse da sempre: che diventino un esempio e la scuola si arricchisca del prezioso lavoro delle associazioni che possono supportarla nella scoperta di luoghi vicini e del tutto ignorati.
È da qui che nasce il cittadino consapevole e capace di elaborare un proprio pensiero critico e di saperlo sostenere e argomentare».
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