A Giuseppe, Miriam, Luca, Giulia, Giovanni  

Il calendario segna 18 aprile 2025. È un Venerdì Santo che appare mesto, avvolto da un clima di guerra e da una lotta alle regole che si respira ogni volta che si accende un televisore, un computer, un tablet o un cellulare. In assenza di norme condivise, le ombre del dubbio – alimentate da una zona buia e oscura – si espandono e, dal tubo catodico, sembrano diffondersi nelle strade, nelle case e nei cuori degli uomini. Si stabilizzano, in particolare, in quello spazio lasciato libero dall’assenza di regole comuni: un letto di cenere, ormai arido e privo di vita
Molti si dichiarano felici della possibilità di scegliere in totale autonomia, e tanti sono appagati dall’essere protagonisti di qualcosa di incerto, senza percepire che l’incerto, come tutte le cose indefinite, rappresenta il nulla. Le menti, insidiate dal vuoto e libere da vincoli, si illudono di poter guardare dall’alto e decidere su tutto: non si accorgono che questo schema è insidioso. Prevede la presenza di qualcuno ancora più in alto, ancora più imprevedibile, che stabilisce i meccanismi utili a determinare il potere di un uomo su un altro. Sembra un addestramento alla vita che prefigura un avvenire senza futuro.
Il suono di una canzone di Mark Kozelek mi avvolge con la sua melodia distensiva, mentre le parole Laying in my bed, ceiling gazing (Sdraiato nel mio letto, guardando il soffitto) sembrano accarezzare la mente stanca e il corpo dolorante. La casa, ormai vuota e silenziosa che custodisce tra le sue pareti e i suoi oggetti i ricordi, mi tiene prigioniero. Ma quando provo ad allontanarmi, sento forte il dolore della separazione e mi manca il respiro.
Quando i pensieri si affollano, mi rifugio tra le piante del terrazzo, diventato il mio spazio di libertà: un non-luogo, non più casa, ma nemmeno natura selvaggia.
Si dice sempre che agli anziani restano solo i ricordi, ma non è sempre così. Quassù posso chiudere gli occhi e immaginare di trovarmi, come in un film, sulla cima di una montagna a osservare un regista che, prendendo il binocolo, scruta il paesaggio. Quando lo mostra a uno dei suoi colleghi, gli dice: «Vedi, il binocolo visto dalla parte giusta fa vedere le cose in maniera nitida, chiara, vicina: questo è il futuro, ciò che vedete da giovani». Poi gira il binocolo al contrario e aggiunge: «Questo, invece, è il passato, ciò che vedete da vecchi: tutto è lontano e sfocato».
Il futuro è come un enorme massiccio montuoso che sembra venirci incontro, tutto da esplorare, ammirare, scalare; il passato è un’immagine deforme, che si allontana da noi. I ricordi, dice, ci sfuggono, mutano e a volte si ripresentano inattesi; siamo fatti di ricordi, ed è per questo che siamo destinati a svanire, i meno noti come i più celebri.
Una narrazione, quindi, che racconta il tempo. È l’unico soggetto possibile – spiega ancora il regista – il tempo è l’unica cosa che ci interessa davvero: quanto ne passa e quanto ce ne rimane. Ma, a qualsiasi età, se si riesce a mantenere lo sguardo rivolto al futuro, si può restare giovani. Con il passato non si è liberi, perché è andato; con il presente lo si è poco; ma il futuro, anche se breve, è la più grande prospettiva di libertà che abbiamo[1].
Queste riflessioni sul futuro sono per me una fonte di speranza, mentre vivo le angustie del presente. Per vari motivi non riesco a trascorrere la Pasqua con i miei e soprattutto con i pronipoti, che sorridono alla vita guardando avanti. Vorrei abbracciarli e trasmettere loro il coraggio necessario per costruire il proprio cammino, la forza per affrontare le difficoltà, e la capacità di volare alto, realizzando i propri sogni anche quando sono pressati da quelli imposti o immaginati da altri.
Si sa che le storie, quando toccano il cuore e la mente, hanno il potere di aiutarci a sviluppare e organizzare le nostre abilità personali, facilitando la comprensione del mondo. Forse l’unica cosa che posso fare per loro è raccontare una storia da prendere in prestito da quelli che sono stati i miei primi veri ascoltatori: i miei alunni. Nel corso degli anni hanno arricchito la mia vita più di quanto si possa immaginare.
In una fattoria lontana dalla città, vive un contadino con la moglie e i figli. Per lavorare i campi e provvedere alla famiglia, si serve di un asino: un animale robusto e mansueto. Paziente, lento nei movimenti, controllato ma anche mite e socievole, l’asino è amato da tutti e ricambia quell’affetto aiutando nei lavori quotidiani: tira l’acqua dal pozzo, porta il grano al mulino e la legna al camino.
Quando arriva l’inverno e l’erba smette di crescere nei campi, il contadino nutre l’asino con il fieno, raccolto e seccato in estate. Ma quell’anno, l’inverno si rivela rigido e particolarmente lungo, e il fieno finisce. Preoccupato, il contadino prova a dare all’asino la paglia, ma lui si rifiuta di mangiarla.
È allora che, in una notte di tempesta, mentre tutti dormono e il fuoco arde con l’ultima legna rimasta, il contadino ha un’idea. Il mattino dopo si alza presto e costruisce un paio di grossi occhiali, colorandoli di verde. Prima di dare la paglia all’asino, glieli mette. L’asino, guardando la paglia, non la vede più gialla ma verde… e inizia a mangiarla. Con questo stratagemma, riescono a superare gli ultimi rigori dell’inverno. Poi, con l’arrivo della primavera, i prati tornano verdi, e l’asino può riprendere le sue attività.
In classe, dopo ogni racconto, ci si soffermava a riconoscere gli elementi che lo compongono e a rileggerli nel nostro quotidiano. Così ho scoperto che Rosa, dopo aver ricevuto dalla maestra un assegno di dieci esercizi di aritmetica, ha indossato quegli “occhiali verdi”: invece di lamentarsi, li ha svolti divertendosi. Giovanni li ha indossati per non reagire con rabbia all’aggressività di Francesco. Genny, che odiava pasta e lenticchie, le ha trovate buone grazie a quegli stessi occhiali.
In fondo, indossare quegli occhiali significa vedere le cose in modo diverso, più riflessivo, più aperto.
Il rapporto dell’uomo con l’altro e con l’altrove è tornato a essere il tema centrale dei nostri tempi. Il modo in cui concepiamo l’incontro con l’altro, il difficile rapporto con il diverso – oggi spesso vissuto con paura e inquietudine, anziché come opportunità di crescita – il rispetto per le culture differenti e l’inclusione, che promuove appartenenza e valorizzazione delle differenze, sono temi che dividono la società e minacciano le sfide del futuro.
Per trovare una sintesi, dobbiamo forse partire da noi stessi, riconoscere che i nostri atomi sono interconnessi, e ricordare che “noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita[2].
La storia degli occhiali dell’asino può aiutarci in questa ricerca.
©Riproduzione riservata

Foto da Pixabay
NOTE

[1]   Carmine Negro Youth – La giovinezza La Rassegna d’Ischia n. 2/2016 pag. 43-45

[2] W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I

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