“La vita mi procura molte sofferenze,
quelli che non hanno mai provato niente,
non possono cantare”. 
Enrico Caruso

L’incontro per la presentazione del nuovo Museo è programmato in una calda giornata di luglio alle 11.30 nel teatrino di Corte subito dopo l’inaugurazione. Alle 11 lo spazio rettangolare antistante il nuovo Museo, il Cortile delle Carrozze, è affollato da giornalisti, e quanti sono chiamati ad immortalare con fotografie e riprese l’evento, ma anche ospiti delle autorità o quanti sono deputati all’organizzazione dell’evento o meglio alla sua rappresentazione. Mentre il caldo rende difficile l’attesa, mi distraggo a guardare chi deve scattare le foto; è piacevole guardare le prove con le meticolose attenzioni rivolte alla luce, all’inquadratura e alla posizione delle figure che saranno presenti.
Mi fa ricordare Callistene, nipote di Aristotele e segretario di Alessandro Magno. Il condottiero macedone consapevole dell’importanza fondamentale della propaganda, sia per guadagnare prestigio tra i suoi, sia per incutere timore ai nemici si fa seguire, per tutta la durata della sua campagna, da una grande quantità di storici e redattori di diari giornalieri e Callistene era uno di loro fin a quando non cade in disgrazia.
Il cortile, che prende il nome dal Rimessone delle Carrozze e presenta un ampio spazio voltato, ristrutturato nel 1832, che si innesta su nove colonne doriche, conosciuto come Sala Dorica, di sicuro è avvezzo a scene simili sin dal tempo dei Borboni. L’acqua servita dal servizio di catering diventa sempre meno abbondante e per sentire refrigerio non resta che osservare e sentire il rumore di quella che scorre dalla vasca neoclassica, da poco ristrutturata, posta al centro di questa area del Palazzo.
Alle 12 finalmente con l’arrivo delle autorità: il direttore generale dei Musei, il sindaco ed il ministro della Cultura si procede all’inaugurazione che per problemi scenici avviene all’incontrario: le autorità sono all’interno ed il taglio del nastro avviene come se volessero uscire. Loro comunque non volevano uscire ma accontentare quanti avevano necessità di figure importanti per le loro foto e riprese.
Subito dopo le autorità sono entrati quanti conosciuti dall’organizzazione. Quando ho chiesto di poter entrare, perché accreditato, la gentile signorina che ferma tutti alla porta ha guardato sul primo di tanti fogli senza molta attenzione, poi mi ha guardato, forse si è ricordata che sono stato tanto tempo silenziosamente ad aspettare alla porta e, finalmente, mi ha lasciato passare.

Nelle foto, ingresso al Museo e locandina


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L’annuncio della nascita del museo a Palazzo Reale è stato dato dal ministro Dario Franceschini a giugno 2022, a margine del summit dei 30 ministri del Mediterraneo.
Il 17 febbraio 2023, a Roma, nella sala Spadolini del Ministero della Cultura, c’è stata la presentazione ufficiale di questo primo Museo Nazionale dedicato a Enrico Caruso, uno dei più grandi tenori di tutti i tempi, che si realizza a Napoli, nella Sala Dorica di Palazzo Reale, nell’anno in cui si festeggiano i 150 anni dalla nascita del celebre tenore. In quella presentazione sono intervenuti il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il direttore generale dei Musei Massimo Osanna, il direttore di Palazzo Reale di Napoli Mario Epifani, la curatrice del Museo Caruso, la musicologa Laura Valente e Teresa Armato, assessore al turismo del Comune di Napoli.
In quell’occasione l’intervento del ministro Sangiuliano ha sottolineato il rapporto del cantante con la città: Fu il primo cantante della storia della musica mondiale a capire e a utilizzare le immense potenzialità dell’industria discografica. La popolarità globale della canzone napoletana è intimamente legata al suo nome. Il suo vissuto personale e il legame con Napoli hanno informato tutta la sua produzione creativa. Ciò nonostante, Caruso ha avuto un rapporto tormentato con la propria città. Egli portò Napoli nel mondo e ora Napoli, a centocinquant’anni dalla nascita, risana questo vulnus onorandolo con un museo che sorge nello stesso complesso del suo amato Teatro di San Carlo. Nel presentare l’iniziativa, Sangiuliano ha fatto anche un appello al Sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi: Perché non intitolare a Caruso l’aeroporto di Napoli?.
L’inaugurazione, prevista per il 20 luglio 2023, annuncia la presenza del sindaco di New York Eric Leroy Adams e del direttore della Metropolitan Opera House, il teatro dove Caruso si è esibito dal 1903 al 1920 – Yannick Nézet-Séguin. Purtroppo le personalità che avrebbero dovuto testimoniare il lungo periodo passato in America non sono presenti.
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Enrico Caruso nasce a Napoli, il 25 febbraio 1873 nel quartiere di San Carlo all’Arena, in via Santi Giovanni e Paolo 7 nel rione popolare detto di San Giovanniello, situato tra Piazza Ottocalli e Piazza Carlo III[1][2]. I suoi genitori, Marcellino e Anna Baldini, che si erano sposati il 21 agosto 1866 a Piedimonte d’Alife[3] in provincia di Caserta, decidono di trasferirsi a Napoli per migliorare le loro non buone condizioni economiche: il padre trova lavoro come operaio metalmeccanico e la madre come donna delle pulizie.
Il padre lavora come meccanico nella fabbrica del signor Francesco Meuricoffre[4] e spera di lasciare in eredità al primo figlio il suo mestiere, ma la madre Annarella vuole che Enrico cresca istruito. I coniugi raggiungono un accordo in base al quale il figlio, a dieci anni, avrebbe lavorato come apprendista nelle fonderie di Salvatore De Luca all’Arenaccia, con un salario di due soldi all’ora, e la sera avrebbe studiato nella scuola, con annesso Oratorio, di padre Giuseppe Bronzetti al numero 33 di via Postica Maddalena nel centro storico, vicino alla chiesa della Santissima Annunziata, nel quartiere Pendino.
Alla scuola serale, scopre di essere portato per il disegno: inizia così a elaborare progetti di fontane in ghisa per la nuova officina dove lavora. All’età di undici anni Enrico si presenta dai titolari per chiedere un aumento di salario, non gli viene concesso e si trasferisce da Giuseppe Palmieri a fabbricare fontane e, successivamente, da Meuricoffre.
Nel 1881 il datore di lavoro di Marcellino gli concede l’uso di una casa nella zona di Sant’Anna alle Paludi, che appartiene alla fabbrica. La famiglia Caruso si trasferisce nella nuova dimora e vi rimane fino a quando Enrico, raggiunta la maturità, comincia la sua carriera professionale. Versa la metà degli anni Ottanta, mentre lavora nello stabilimento metallurgico di Salvatore De Luca, mostra il suo talento canoro e comincia ad affermarsi tra i posteggiatori[5]. Grazie all’intercessione di Rosa Baretti, conoscente della madre, entra nel coro della chiesa rionale e, dopo poco tempo, notato dall’ecclesiastico e maestro di musica Giuseppe Bronzetti, inizia a cantare come contraltino all’oratorio da lui diretto, nella stessa sede dove frequenta la scuola serale.
Egli stesso racconta i suoi esordi in una lettera del 10 giugno 1906: Cominciai a cantare a dieci anni […] nelle chiese. Facevo la delizia di tutti i buoni fedeli, almeno così reputo, perché́ nessun segno di disapprovazione io mai ebbi da essi. Inoltre coi proventi che io traevo dai miei canti liturgici, facevo vivere due famiglie che mi smerciavano a tutto andare[6].
La situazione familiare difficile con il papà che beve e non sempre si interessa in modo appropriato alle necessità della famiglia, le difficoltà economiche e la mamma ammalata forgiano il carattere di Enrico Caruso così descritto dal biografo Eugenio Gara: “…quel ragazzo dagli umori mutevoli, dolce ma pronto allo scatto, puntiglioso ma col rancore scritto sull’acqua[7].
Conquistata le parte da solista ne La Messa di Mercadante diviene protagonista nella farsa musicale I briganti nel giardino di Don Raffaele dei maestri Campanelli e Fasanaro. La signorina Amalia Gatto, entusiasta di lui, lo presenta al pianista Schiraldi e al maestro De Lutio che gli insegnano le prime arie d’opera e gli consentono di prendere parte agli spettacoli che organizzano per la parrocchia dei Santi Severino e Sossio. Ancora adolescente si esibisce nel cafè chantant Mannesi e nelle osterie Monaco e Strasburgo, di piazza Municipio.
Il 31 maggio 1888 Enrico è inviato dalla mamma, ormai in agonia, nella Chiesa di San Severino dove canta la preghiera del Corpus Domini. Quando rientra a casa, avvisato in chiesa dai vicini, la trova morta e così quando ha meno di 20 anni rimane orfano di una madre che ha tanto amato.
Enrico è stato un figlio premuroso, sempre pronto ad aiutarla in casa, a fare le commissioni e, spesso, a stare accanto al suo letto quando si ammala; poiché, dopo la nascita di Assunta non ha riacquistato mai completamente la sua salute.
Dopo solo sei mesi il padre, malgrado i contrasti con il figlio, si risposa con Maria Castaldi che si rivela alla fine una buona matrigna. Questi tragici frangenti sommati a una semi paralisi del padre, avvenuta nel 1890, portano Enrico a maturare velocemente ed a desiderare di realizzarsi nella vita come uomo e artista.
Vittorio Tortorelli nella sua biografia su Caruso[8], scrive che è difficile parlare di lui senza citare i vecchi luoghi di Napoli e la sua gente, in quanto, nel carattere e nel temperamento del tenore, ritroviamo la semplice anima poetica della sua città.
La bella voce e il timbro particolare, che diventano poi un suo tratto distintivo, gli permettono di essere impiegato come cantante e di esibirsi nelle case private, nei caffè e nelle rotonde balneari, con un repertorio di canzoni napoletane insieme ad altri cantanti come Ciccillo ‘O Tintore e Gerardo l’Olandese, meglio conosciuto come l’infermiere, professione che svolge realmente all’Ospedale Ascalesi.

Disco proiettato con note biografiche nella foto qui sopra e in basso
Sala Dorica
Napoli, Palazzo Reale


L’incontro e l’amicizia con Gerardo L’Olandese è stata determinante, per l’ingaggio al Gambrinus, che gli consente di potersi esibire in questo noto caffè letterario della città. Il Caffè Gambrinus è un famoso Caffè Concerto del 1860 decorato con stucchi, statue e quadri, una tappa irrinunciabile in una visita a Napoli. Viene frequentato negli anni da Gabriele D’Annunzio, Oscar Wilde, l’imperatrice d’Austria Sissi, Eduardo Scarpetta, l’intera famiglia De Filippo, Totò, Ernest Hemingway.
A Napoli, negli anni dei caffè-concerto e della Belle Époque, fiorisce anche il primo e massimo cafè-chantant italiano, il Salone Margherita. Il successo fu tale che gli italiani ricchi italiani preferirono, talvolta, Napoli a Parigi per trascorrere le loro serate dove vedere e magari invitare a cena, le stesse bellissime donne che fecero la fama di Parigi, la Belle Otero, Clèo de Mèrode, Lina Cavalieri, incontrare le più ammirate dame dell’aristocrazia della città, come Matilde Serao, consumare bottiglie di spumante, assistere alle esibizioni di ballerine, cantanti, fantasisti e clown[9].
In questi anni Enrico Caruso si esibisce nei vari locali, nei salotti delle famiglie prestigiose, al Teatro Nuovo fra un atto e l’altro degli spettacoli di prosa, nelle feste, nelle trattorie e canta nelle Rotonde degli stabilimenti balneari.
Nel 1891 quando il baritono Eduardo Missiano, lo sente cantare una messa di Saverio Mercadante a un funerale nella chiesa di Sant’Anna alle Paludi, si entusiasma a tal punto che lo presenta al maestro Guglielmo Vergine, il quale accetta di dargli lezioni per migliorare la voce, ma resosi conto delle sue angustie economiche, pretende da lui un quarto dei suoi futuri compensi, con un contratto che dura cinque anni.
Sempre nella lettera del 10 giugno 1906, spedita da Londra e indirizzata al collega Oreste Noto, Caruso ricorda l’incontro con il maestro Vergine e sui primi anni di studio: Il baritono Missiano … mi portò dal suo maestro, signor Vergine, il quale trovò dapprima che io ero troppo giovane, poi che avevo poca voce: infine dopo due audizioni decise di darmi lezione mediante un regolare contratto. In quell’epoca la mia voce era infatti così esile che gli altri alunni miei colleghi mi chiamavano il vento che passa dai vetri[10].
Nel 1894, chiamato alle armi, è assegnato alla caserma del tredicesimo Reggimento di Artiglieria, poco lontano dalla città di Rieti dove trascorre quarantacinque giorni di duro regime della vita militare. L’interessamento del Maggiore Magliati, fervido melomane, incantato dalla sua voce, prima lo manda a lezione da un suo amico, il barone Costa, e poi si interessa a sostituirlo con il fratello Giovanni, che ritenuto idoneo a servire la Patria consente ad Enrico di ritornare nella sua Napoli e agli studi musicali.
Nel 1895, debutta presso il Teatro Nuovo di Napoli, come tenore, nell’opera di Domenico Morelli: L’amico Francesco ed inizia ad esibirsi nei teatri di Caserta, Napoli e Salerno; fa la sua prima esibizione all’estero al Cairo, percependo 600 lire per un mese di lavoro. E ancora al ritorno un contratto, con il Teatro Mercadante, di cinquanta recite in tre mesi. In programma La traviata, I Capuleti e Montecchi di Vincenzo Bellini, Rigoletto e Faust: un successo testimoniato dalle cronache giornalistiche.
Molte le esibizioni e nei più disparati teatri: nel 1896 Enrico è in Sicilia, tra dicembre e marzo 1897 di nuovo al Mercadante e poi ancora, a Salerno con il debutto in Manon Lescaut di Puccini e nel Profeta velato di Napoletano.



Il maestro Vergine, chiede all’impresario Nicola Daspuro, come ha fatto già precedentemente di ascoltare e aiutare il suo allievo Caruso
che, oramai, raccoglie grandi successi nei teatri in cui si esibisce. Daspuro decide di accontentarlo e si reca a Salerno ove Caruso canta la Gioconda di Ponchielli. Lì incontra don Beppe Grassi, impresario ufficiale del Teatro Comunale di Salerno, che racconta a Daspuro di aver conosciuto Enrico Caruso, attraverso l’agente teatrale Francesco Zucchi e di averlo scritturato, con l’approvazione anche della figlia Giuseppina, studentessa di canto, che di Caruso successivamente si innamora.
A Daspuro la voce del cantante, calda e piena, piace molto e gli promette  di fare quanto in suo possesso per scritturarlo al Teatro Lirico di Milano. Infatti riesce ad ottenere per Caruso un contratto per l’autunno 1897 al Teatro Lirico di Milano con una paga fissa, spese del vestire e quant’altro necessario tutto a carico dell’editore.
A Salerno intanto Caruso arriva molto vicino alle nozze con Giuseppina, figlia di don Peppino Grassi; il matrimonio è fissato per il periodo di carnevale del 1897, ma non si concretizza per una sbandata di Caruso per una delle ballerine della Gioconda, contesa con il direttore Leopoldo Mugnone[11]. Il maestro pianifica per l’estate di quell’anno per Caruso una stagione di concerti al Goldoni di Livorno, ed elimina così un pericoloso avversario. A Livorno Caruso trova l’amore della sua vita e la futura madre di due dei suoi tre figli in Ada Giachetti, con la quale il 7 luglio 1897 debutta con la Traviata.
Si dice che alcune ore prima di cantare salisse sulla parte alta di Napoli, propriamente a San Martino, per rivedere la fontana che anni prima aveva forgiato con le sue mani quando ha lavorato nell’officina De Luca. Il pubblico entusiasta accorre numeroso e caloroso per sentire il giovane tenore napoletano anche nelle recite successive, stava nascendo un esempio precoce di carusomania[12].
In quel periodo conosce Giacomo Puccini, che, essendo molto pignolo, viaggia molto per assistere agli allestimenti delle sue opere, soprattutto se si tratta della sua Tosca. Prima di accettare l’assegnazione del ruolo di Rodolfo ad un tenore sconosciuto e quasi debuttante, vuole conoscerlo e quando lo incontra nella sua villa a Torre del Lago mentre lo accompagna al pianoforte esclama la leggendaria frase Chi t’ha mandato, Dio?[13].
Nel 1898, varca, per la prima volta, l’oceano per recarsi in Sud America al Colon di Buenos Aires. Nel 1899 è a San Pietroburgo. Il 1900 segna il suo debutto alla Scala con la Bohème di Puccini sotto la direzione di Arturo Toscanini.
Il 30 dicembre si presenta per la prima volta al San Carlo di Napoli. Già famoso e trionfante nei teatri di quasi mezzo mondo vuole i consensi e gli applausi della sua città natale, per essere felice. Ma al San Carlo le cose vanno diversamente, l’apoteosi si trasforma in un disastro fino a raggiungere il dileggio per il grande tenore.
In cartellone l’Elisir d’amore, sua compagna Regina Pinkert, coppia collaudata già alla Scala. Nell’intervallo i sicofanti[14] diffondono le prime malignità, dicendo che Caruso anziché Elisir d’amore crede di cantare Otello.
Quello che più avvilisce Caruso è il giudizio del giornalista Saverio Procida che sul quotidiano Il pungolo nel dire che Caruso aveva cantato “L’Elisir d’amore” con voce da baritono scrive: il Caruso ha una voce di valido timbro baritonale, di bel volume eguale, abbastanza estesa, gagliarda in certi suoni che costituiscono il segreto del suo grande successo teatrale, con note di una potenza rara.Ma pari alle qualità naturali di un organo privilegiato, a me non risulta il possesso di una sapienza tecnica che disciplini codesti spontanei doni e renda più pastosa la voce, più eguale la successione dei suoni, più elastiche le agilità d’un canto leggero e fiorito come quello dell’Elisir …
Nelle repliche delle sere seguenti e cantando successivamente nella Manon di Massenet, accanto a Rina Giachetti, Caruso riafferma il suo ineguagliabile valore e conquista il pubblico, compresi i sicofanti. Don Saverio, tuttavia, il 16 gennaio dopo Manon, ha ancora parole dirette verso il tenore napoletano: Bella voce, senza dubbio, con note di sonora potenza, con estensione facile, ma tutt’altro che bene impostata. … A lui manca lo charme del cantante, la finezza vocale dell’artista, l’eleganza dell’attore, la dizione raffinata che deriva solo da uno studio del proprio organo, dal diligente calcolo dei coloriti e da un’impostazione sagace. Ora egli poggia la voce troppo in gola, anziché in testa.
Secondo Alessandra Bergagnini nella sua tesi di laurea Enrico Caruso: la biografia di un divo alle origini dell’industria culturale il barone Procida in questi due articoli dà l’impressione di essere un critico competente e non prevenuto nei confronti del tenore, esprime il suo pensiero, rimproverando la scelta di un repertorio secondo lui non adatto alla vocalità di Caruso.
I fatti sembrano dargli ragione perché la straordinaria carriera del tenore si concretizza abbracciando il repertorio che lo stesso Procida gli suggerisce. Caruso, sicuro di sé e soprattutto forte dei suoi successi, dopo le parole di Procida ritenute da lui pungenti fece questa promessa che portò avanti con ostinato proposito fino alla morte: «Napoli non mi sentirà mai più! Tornerò a Napoli solamente per rivedere la mia cara mamma e per mangiare i vermicelli alle vongole![15]».
Fred Gaisberg, rappresentante della Gramophone and Typewriter Company, che cerca in Europa artisti per incidere dischi, rimane molto colpito da Caruso e gli chiede se vuole incidere dieci dischi e con quale compenso. Caruso si dice disponibile ad inciderli con un compenso di £100, in un solo pomeriggio, mentre si trova a Milano. Quando Gaisberg sottopone la proposta ai suoi capi di Londra, raccomandandosi di accettare, la risposta di Londra è negativa perché reputano la tariffa esorbitante.
La risposta viene ignorata e i dischi vengono registrati nella suite di Fred al Grand Hotel di Milano l’11 aprile 1902. L’iniziativa azzardata di Gaisberg fa guadagnare alla sua compagnia £15,000 di profitto soltanto per le vendite dei dischi. La tempistica per le incisioni è stata perfetta perché l’uscita dei dischi coincide con il debutto di Caruso alla Royal Opera House di London e assicura all’artista una reputazione internazionale. La maggior parte dei grandi cantanti dell’epoca sono stati riluttanti a sottomettersi alle incertezze dello strano attrezzo col corno, ma i dischi di Caruso danno all’industria una nuova rispettabilità, e all’improvviso i cantanti divengono ansiosi di affidare la loro arte ai dischi.
Il 23 novembre 1903, con il Rigoletto di G. Verdi fa il suo debutto al Metropolitan di New York, dove, con grandissimo successo canta 607 volte in 37 opere diverse e in 18 stagioni liriche. Rimane in quella città, che lo ha accolto con grande entusiasmo, fino al 1920, un anno prima della morte.
Il suo ingresso trionfale nel tempio americano del Metropolitan non gli fa dimenticare mai di essere napoletano. Allegro, simpatico, generoso prende fior di dollari per cantare nei salotti di ricchi americani, ma è capace di cantare, gratis, per ore, canzoni napoletane per allietare i compaesani emigranti.
(1. continua)

Busto di Caruso nel Museo (cortile delle carrozze, Palazzo reale di Napoli)

NOTE

[1] Le ragioni dello spostamento dei coniugi Caruso e di molti altri concittadini dell’epoca era dovuto alle difficoltà economiche in cui versava l’entroterra campano alla fine dell’Ottocento. Il fenomeno del brigantaggio post-unitario, il decadimento del Regno delle due Sicilie e le forti tassazioni del nascente Stato Italiano avevano prodotto migrazioni interne ed esterne da parte delle popolazioni dell’Appennino meridionale. Questi flussi convergevano in Napoli dove era possibile imbarcarsi per il Sud America, Tripoli, Australia e Stati Uniti che offrivano il miraggio di molta fortuna e di ampi spazi (http://www.fedoa.unina.it/3016/1/Francesco_Russo_Osservazioni_su_Caruso.pdf)

[2] Per alcune fonti la madre avevano avuto 17 figli prima di  Enrico: tutti morti. Dopo di lui nacquero altri tre fratelli.

[3] Attualmente Piedimonte Matese

[4] https://www.swissinfo.ch/ita/ritratto-di-famiglia–i-meuricoffre-di-napoli/3837702

[5]Il termine “posteggia”, deriva dal vocabolo dialettale “’O puosto”, che sta ad indicare il posto dove di solito sosta  chi ha un’attività. Come i venditori ambulanti, così i posteggiatori offrono la loro merce cantata in luoghi come strade e bettole o nei ristoranti frequentati da ricchi e forestieri. La posteggia, un’arte dimenticata tipica di una Napoli in bianco e nero, raccoglie con un piattino le offerte alla fine dell’esibizione.

[6] G. Cesarini e P. Gargano, Caruso. Vita e arte di un grande cantante, Longanesi 1990 pag. 29

[7] Eugenio Gara  Caruso Storia di un emigrante Editore Cisalpino 1972

[8]  Vittorio Tortorelli, Ricordo di Caruso – ed. Fiorenza Nerbini, Firenze. 1931

[9] Vittorio Paliotti, Il Salone Margherita e la belle èpoque, Roma, Gabriele e Mariateresa Benincasa s.r.l., 1985, pp. 9-10.

[10] G. Cesarini e P. Gargano, Caruso Opera citata, p. 29.

[11] Leopoldo Mugnone ( Napoli 1858 – 1941), nato in una famiglia di musicisti, studia al conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli, mostra precoci attitudini musicali ed un sorprendente istinto teatrale. A soli 12 anni compone un’operina buffa. Ancora studente viene nominato, nel 1875, maestro del coro del teatro Nuovo. Il talento di Mugnone si manifesta soprattutto nella direzione d’orchestra. È  scritturato dall’editore Sonzogno che gli affidò la direzione delle opere nei maggiori teatri in Italia: La Scala ed il Dal Verme a Milano, La Pergola a Firenze ed il Comunale a Bologna, e all’estero, a Parigi in occasione dell’Esposizione del 1889 ed il teatro Municipale di Nizza.

[12] Vivien Alexandra Hewitt, Caruso, Puccini e il gobbo fiammiferaio, teatro e divertimenti a Livorno 1897-1899, Livorno, Quaderni della Labronica n. 77, 2002, p. 34

[13] Sono varie le biografie su Caruso e Puccini che riferiscono di questa frase. Nera o falsa che sia viene riportata in quanto rende bene lo stupore del compositore dopo aver sentito una voce tenorile come quella di Caruso.

[14] Sicofante. Il sistema accusatorio, vigente in Atene e nelle città greche a regime libero, per il quale non si procedeva contro il delinquente se non vi era un accusatore, aveva favorito il sorgere di una classe di professionisti. In questo caso di chi si dedica alla delazione e alla calunnia..

[15] Nicola Daspuro, Enrico Caruso, Sonzogno, Milano, 1938, pag. 29

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