A Napoli, il passato non è mai veramente passato;
è sempre lì, a un passo da te, pronto a riemergere.
Elena Ferrante

Alle Gallerie d’Italia di Napoli
in via Toledo 177
Donne nella Napoli spagnola. Un altro Seicento
Dal 20 novembre 2025 al 22 marzo 2026

PRIMA PARTE

Numerosi filosofi, dall’antichità fino all’età moderna, hanno sottolineato la potenza delle parole; esse non si limitano a descrivere ma fanno esistere le cose, quasi fossero formule magiche. Le rendono comprensibili, concrete e disponibili nel momento stesso in cui vengono pronunciate. Nel titolo di questa mostra tre parole racchiudono il suo senso profondo: Napoli, Seicento e Donne. Prima di lasciarci coinvolgere dall’esperienza emotiva del percorso espositivo, cercheremo di cogliere, attraverso questi tre termini, lo “spirito del tempo” (Zeitgeist): quell’insieme di sensazioni, idee, forze culturali, sociali, artistiche ed economiche che hanno plasmato un’epoca.
LO SPIRITO DEL TEMPO
La città respira come un organismo vivo: i vicoli brulicano di voci, il rumore delle carrozze si mescola al canto dei venditori, l’odore delle spezie e del pane appena sfornato avvolge l’aria. Tra palazzi nobiliari e botteghe artigiane, le donne animano la scena quotidiana, custodi di tradizioni e protagoniste silenziose delle economie domestiche. È in questo intreccio di suoni, odori e presenze che si manifesta l’anima del Seicento napoletano
Per comprendere appieno il clima culturale di questa epoca occorre fare un passo indietro. Napoli, con il mito di Partenope, trova la propria origine in una figura mitologica che simboleggia il profondo legame con il mare e un’identità ibrida e multiculturale, capace di fondere il mondo greco, il paesaggio marittimo e l’elemento tragico e seducente del suo fascino.
Il periodo aragonese (1442-1503) segna un grande sviluppo culturale e politico, che trasforma Napoli in un centro vitale del Rinascimento. Dal 1504 la città perde la propria autonomia e diventa capitale del viceregno spagnolo (1504–1713), impegnato a ridimensionare il potere del baronaggio: da forza semi-sovrana e potenzialmente eversiva a classe egemone sul piano economico-sociale, ma subordinata alla monarchia[1].
Nel 1600 Napoli è, dopo Parigi è la seconda città europea per numero di abitanti[2]. Capitale vivace e mediterranea, è allo stesso tempo polo mercantile e luogo di conflitti e tensioni, segnata da una povertà diffusa che convive con la ricchezza delle classi dominanti. Contribuisce in modo significativo alle finanze spagnole attraverso imposte e dazi, che alimentano un crescente malcontento e sfociano nella rivolta capeggiata da Tommaso Aniello detto Masaniello. La rivolta viene sedata, ma – come scrive Benedetto Croce – il «tracollo del baronaggio napoletano», la nuova considerazione della «forza della plebe» e la revisione della politica finanziaria e la politica del viceré Iñigo Vélez de Guevara, conte di Oñate, sarebbero state impensabili senza i moti del 1647-48[3].
Già nel Cinquecento, e poi anche nel Seicento, altri moti scuotono la città: sono quelli legati al tentativo di introdurre l’Inquisizione “alla maniera di Spagna”. La ferma opposizione popolare e nobiliare impedisce però che il tribunale spagnolo metta radici nel Regno.
Per Croce, tuttavia, il vero risveglio civile e politico non deriva dai moti del 1647-48, ma dai fermenti culturali che attraversano Napoli. A partire dal Cinquecento e con rinnovato vigore nel Seicento la città è animata da filosofi, scrittori e scienziati come Giordano Bruno, Giambattista Marino, Telesio, Tommaso Campanella, Giovan Battista Della Porta, Nicola Antonio Stigliola, Giovan Giacomo Staserio, Luca Valerio, Francesco Fontana ed altri. Le loro idee circolano soprattutto fuori dal Regno, tra Roma e Parigi, contribuendo alla formazione del pensiero europeo[4].
Napoli nel Seicento è effervescente. La sua struttura urbana testimonia una sovrapposizione di epoche diverse e una lunghissima storia già allora prossima ai 2500 anni[5]. Il tessuto sociale è dinamico e complesso, segnato da forti antagonismi e da una costante dialettica tra i ceti, che si intrecciano nella fitta trama urbana. I contrasti non frenano, anzi talvolta alimentano, lo sviluppo artistico, stimolato anche dal soggiorno di Caravaggio, che dà vita a una scuola locale inizialmente caravaggesca, poi autonoma e riconosciuta in Europa[6].
Da Battistello Caracciolo a Massimo Stanzione, da Jusepe de Ribera ai numerosi pittori locali, si affermano correnti diverse: dal caravaggismo al classicismo, dal barocco alla pittura paesaggistica e di battaglia, fino alle nature morte. La storiografia definisce questo periodo il “secolo d’oro della pittura napoletana[7].
Intanto la nuova conformazione urbanistica, voluta dei viceré spagnoli, concentra in città – e su via Toledo in particolare – i Palazzi delle famiglie nobiliari del regno, un modo per controllarne l’operato e prevenire congiure. Questo processo diventa un nuovo indotto per artigiani e artisti, chiamati ad arredare e abbellire le dimore aristocratiche.
Le esigenze religiose scaturite dal Concilio di Trento (1542-1563), portano alla nascita di nuovi complessi religiosi “riformisti” – teatini, oratoriani e gesuiti – e al rifacimento o ampliamento di edifici ecclesiastici e monasteri preesistenti, come quelli benedettini, francescani, domenicani, certosini, agostiniani e carmelitani[8].
Nel 1600 la città è costellata dai luoghi di culto. Verso il 1620 Napoli conta circa 400 istituzioni religiose, di cui 31 monasteri femminili, destinati a crescere nel tempo.
Chiese e monasteri suscitano stupore nei viaggiatori stranieri. «Ce qui nous a paru le plus extraordinaire à Naples, c’est le nombre et la magnificence de ses églises; je puis vous dire sans exagérer, que cela surpasse l’imagination» (Ciò che più ci è parso straordinario a Napoli è stato il numero e la magnificenza delle sue chiese; posso dirvi senza esagerare che superano ogni immaginazione), scrive lo scrittore francese François Maximilien Misson nel suo Voyage d’Italie[9] del 1702.
I monasteri femminili svolgono un ruolo politico rilevante nel sistema aristocratico del viceregno: non rappresentano solo un luogo di destinazione per le figlie della nobiltà, ma veri centri di potere, assimilabili a corti aristocratiche. Inseriti nel tessuto politico e socioeconomico della città, i chiostri sono spesso dipendenti dalle autorità locali: fondazione, gestione patrimoniale, reclutamento delle religiose e cariche sono in molti casi regolati dagli apparati cittadini[10].
Sul piano musicale, gli edifici religiosi danno vita a una produzione ricchissima legata alla liturgia e ai riti. Monasteri, chiese e cappelle diventano committenti e centri di elaborazione musicale.  La studiosa Angela Fiola[11] nella ricerca ‘Non senza scandalo delli convicini’: pratiche musicali nelle istituzioni musicali femminili a Napoli 1650-1750 (2017) mostra come le comunità monastiche femminili abbiano contribuito allo sviluppo di tradizioni musicali non solo liturgiche, ma anche a forme spettacolari.
LE DONNE COME PROTAGONISTE
Le immagini hanno un potere evocativo immediato che le parole faticano a eguagliare, specialmente quando ritraggono una realtà dinamica come la Napoli del Seicento. Nel dipinto di Micco Spadaro Piazza del Mercato a Napoli, le donne emergono nella vita quotidiana: uno slargo affollatissimo, una distesa di tende che proteggono merci e persone dal sole, banchi amovibili dove lavorano e circolano, restituendo il loro ruolo nello spazio urbano e il loro muoversi attraverso la città[12].
Un altro spaccato è offerto dalla Veduta del Largo di Palazzo a Napoli di Sebastian Vrancx, un pittore fiammingo che tra il 1596 ed il 1600 ha viaggiato in Italia, passando anche per Napoli. Le scene sono riprese nella loro naturale ripetizione quotidiana: una nobildonna riccamente vestita e adorna di gioelli con un giovanottino; una popolana lava i panni nella stessa fontana dove qualcuno si sciacqua il viso e un cavallo si abbevera; altre donne si affollano intorno ai banchi; compaiono suore e una coppia di viaggiatori con una bambina che sembra voler uscire dal quadro.
Nel Seicento gli incontri familiari si svolgono separatamente tra uomini e donne. Solo feste, cerimonie, ricevimenti ufficiali e funzioni religiose prevedono la presenza di entrambi. Il matrimonio è un contratto stipulato per convenienza; il convento rappresenta l’altra via, talvolta una scelta, più spesso un obbligo. Per i ricchi è un mezzo per preservare il patrimonio; per i poveri una soluzione alle difficoltà economiche.
Nell’Ornamentis mulieris: silentium. Modestia et domi manere/ Neapolis (cat. VI.8) proveniente dalla Certosa di San Martino le virtù femminili sono simbolicamente rappresentate. Nell’illustrazione – che permette di distinguere Castel dell’Ovo e la Certosa di San Martino – una nobildonna regge con la mano destra un campanello e con la sinistra conduce al guinzaglio una coppia di colombelle – simbolo del vincolo, matrimoniale – e una tartaruga, emblema di modestia. Tra le varie iscrizioni sul tema quella tedesca recita: Questo è l’ornamento di una donna pia, che non esce spesso: colei che rimane raccolta dentro casa conduce una vita casta e modesta.
Le artiste del Seicento sono state rivoluzionarie, sfidando regole sociali e professionali restrittive, emergendo in un mondo dominato dagli uomini e affermandosi come professioniste di successo.
Artemisia Gentileschi appare nel percorso espositivo con la forza drammatica delle sue tele, capaci di trasformare la luce caravaggesca in racconto di coraggio e dolore. Accanto a lei, Diana (Annella) De Rosa restituisce la voce a un talento a lungo silenziato dalla tradizione.
Seguono le artiste “forestiere”: Lavinia Fontana, Fede Galizia, Giovanna Garzoni. Ognuna porta un linguaggio distinto, un accento che arricchisce la polifonia culturale della città, vero crocevia d’Europa.
Le dive napoletane emergono nel teatro e nella musica: Adriana Basile, cantante di fama internazionale, incanta con la sua voce; Giulia De Caro vive una parabola di riscatto, dalla prostituzione alla direzione teatrale. Teresa Del Po, pittrice e miniatrice, e Caterina De Iulianis, maestra nella ceroplastica, dialogano idealmente con Luisa Roldán, grande scultrice barocca andalusa, in un intreccio di arti e sensibilità femminili.
Il percorso si arricchisce di presenze straordinarie: il ritratto di Maria d’Ungheria di Velázquez e il celebre ritratto della “donna barbuta” Maddalena Ventura, dipinto da Ribera. Non semplici prestiti, ma apparizioni potenti, capaci di raccontare la complessità di un’epoca in cui il femminile si declina tra talento, emancipazione e rappresentazione.
VERSO LA MOSTRA
Michele Coppola, executive director Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo e Direttore Generale delle Gallerie d’Italia, descrive la mostra come una «preziosa esposizione, un progetto di riscoperta di artiste e opere straordinarie, frutto di nuovi studi», arricchita da restauri, ricerche d’archivio e prestiti di grande rilievo. Un altro Seicento rappresenta dunque un’iniziativa di prestigio internazionale, un appuntamento imperdibile per chi visiterà Napoli durante le festività natalizie. Un museo è un presidio culturale — sottolinea Coppola — che non si limita a condividere opere, ma studia, indaga e propone nuove chiavi di lettura attraverso la ricerca.

Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici Intesa Sanpaolo e Direttore Generale delle Gallerie d’Italia


Nel suo intervento, Miguel Fernandez – Palacios, ambasciatore del Regno di Spagna in Italia, ricorda il forte legame tra Italia e Spagna e in particolare tra Napoli e il mondo iberico: “Abbiamo una storia condivisa: non si capisce la Spagna senza Napoli e non si capisce Napoli senza la Spagna”.

Miguel Fernandez – Palacios M. ambasciatore del Regno di Spagna in Italia. Nelle altre foto in pagina, l’allestimento e altri momenti della conferenza stampa


Il vicedirettore delle Gallerie d’Italia di Napoli, Antonio Ernesto Denunzio, uno dei curatori della mostra, sottolinea come le esposizioni servano a gettare semi per futuri approfondimenti. La mostra dedicata ad Artemisia e il convegno internazionale collegato hanno avuto proprio questo ruolo: allargare lo sguardo a tutto il Seicento, riportando alla luce figure femminili finora meno studiate.
Raffaella Morelli, altra curatrice dell’esposizione, definisce la mostra un racconto della creatività femminile a Napoli nel Seicento: vi sono riunite opere di artiste straniere che inviarono quadri a Napoli e opere di artiste napoletane attive in pittura, scultura, decorazione, ceroplastica e incisione. L’esposizione mette in relazione il mondo maschile con quello femminile, restituendo una storia dell’arte più completa.
Per l’altro curatore, Giuseppe Porzio, la mostra rappresenta una riscoperta di un altro Seicento: un Seicento visto dal punto di vista delle donne – non solo artiste anche donne di potere – che contribuirono a plasmare la cultura dell’epoca.
Questa mostra alla Gallerie d’Italia sulle donne nel Seicento è un’operazione culturale di grande livello. Intende evidenziare come la percezione comune e stereotipata di un’epoca fosse incompleta. L’esposizione porta alla luce una realtà storica autentica, celata da pregiudizi di genere, che rendevano invisibile la presenza e l’operato femminile.
La scelta del titoloUn altro Seicento è efficace dal punto di vista evocativo, ma porta con sé un’ambiguità: può essere interpretato come un Seicento alternativo, diverso, parallelo, quasi un altro mondo, invece che come il Seicento reale e completo, con tutte le sue voci e i suoi protagonisti. Probabilmente si sarebbe potuto optare per Il vero Seicento, a sottolineare che non si tratta di un racconto parallelo, ma della realtà storica integrale. Oppure per titoli come “Il Seicento ritrovato” o “Il Seicento vissuto” se si voleva mantenere la forza evocativa. Forse il problema risiede nel termine “altro” che sottolinea la differenza e, in una realtà conflittuale come quella contemporanea, rischia di acuire le divisioni più che mettere in luce ciò che ci accomuna.
Per fortuna, la mostra racconta molto di più: restituisce un Seicento vivo, complesso e autentico, dove le donne emergono finalmente come protagoniste.
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(1.continua)


NOTE

[1] Storia del Regno di Napoli di Benedetto Croce (Autore) G. Galasso (Curatore) Adelphi, 1992 p. 137

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Maggiori_citt%C3%A0_nei_tempi_storici

[3] Storia del Regno di Napoli di Benedetto Croce (Autore) G. Galasso (Curatore) Adelphi, 1992 p. 211

[4] Sylvain Bellenger e Maria Cristina Terzaghi (a cura di), Caravaggio Napoli, catalogo della mostra a Napoli, Milano, Electa, 2019.

[5] La prof.ssa Anna Maria D’Onofrio dell’Università degli Studi di Napoli l’Orientale nel 2017 pubblica un’interessante ricerca dal titolo La fondazione di Neapolis e la prima fase delle fortificazioni: una proposta di lettura (Studi E Ricerche Della Scuola Di Specializzazione In Beni Archeologici Di Matera 17, 2017 Siris pagg. 27-49) dove attraverso testimonianza letterarie a partire dal II secolo a.C. e reperti archeologici retrodata la nascita della città  rispetto alla fondazione di Neapolis del 475 a.C.

[6] Nicola Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli: da Caravaggio a Massimo Stanzione, Napoli, Arte’m, 2008

[7] Nicola Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli: da Caravaggio a Massimo Stanzione, Opera citata

[8] Nicola Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli: da Caravaggio a Massimo Stanzione, Opera citata

[9] François Maximilien Misson Nouveau Voyage d’Italie: avec un mémoire contenant des avis utiles à ceux qui voudront faire le mesme voyage, Volume II Editore La Haye, Van Bulderen, 1702 (IV edizione).

[10] Hills 2004 = H. Hills, Invisible city. The architecture of devotion in seventeenth century Neapolitan convents, New York, 2004.

[11] Fiore Angela con questa ricerca ha conseguito il dottorato di ricerca in musicologia presso l’Università di Friburgo (Svizzera) ed ottenuto il prestigioso premio Jacques Handschin 2016 conferito dalla Società Svizzera di Musicologia. Dal 2004 al 2011 è stata coordinatrice artistica del Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini di Napoli.

[12] Elisa Novi Chavarria Le donne nella città. Un altro Seicento Catalogo mostra Ed. Allemandi pag. 16

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