Napoli al tempo di Napoleone. Rebell e la luce del Golfo. Alle Gallerie d’Italia di Napoli dal 23 novembre 2023 al 7 aprile 2024. Dopo la prima parte dedicata all’esposizione, ecco il secondo e ultimo excursus di Carmine Negro.

Qui sopra, Joseph Rebell
Mulino ad acqua presso Piedimonte Matese
Olio su tela, 45 x 61,5 cm
Vienna, Collezione Max e Maria- Pia Kathbauer. In copertina, scena delle guerre napoleoniche: l’inizio della testa di ponte nel Lobau 1810
Olio su tela, 36,5 x 52 cm
Vienna, Belvedere

La mostra allestita nelle Gallerie d’Italia è dedicata a Joseph Rebell e al suo incontro con le luminosità mediterranee, grazie alle quali raffigura il paesaggio puntando sull’esaltazione dei valori atmosferici e sentimentali.
Il suo percorso creativo ha un prologo interessante già nelle prime opere in esposizione. Si tratta di tre dipinti del 1810 che provengono dal Museo del Belvedere di Vienna: riproducono alcuni momenti della guerra franco-austriaca del 1809 dopo la sconfitta dei francesi presso Aspern. Le tele[1] ritraggono le truppe napoleoniche asserragliate a Lobau, un’isola sul Danubio a est di Vienna, mentre sono impegnate a costruire pontoni e fortificazioni in attesa del contrattacco. La resa minuziosa del sottobosco lungo il fiume, costituita da alberi e arbusti, fa supporre che Rebell abbia visitato e analizzato attentamente i luoghi e realizzato schizzi preparatori.
Accanto alle opere sulla guerra franco-austriaca, c’è un’opera che sintetizza il percorso artistico sviluppato dal pittore durante il periodo napoletano, quando nella capitale borbonica regnano Gioacchino e Carolina Bonaparte.
Si tratta del Mulino ad acqua presso Piedimonte Matese del 1817 realizzato dopo aver riannodato i contati con la committenza tedesca e superato il periodo critico dell’incertezza per il futuro[2] per la mancanza di commesse. Quando si rende conto che per ottenere una resa del soggetto, il più possibile conforme al vero, non può utilizzare il modello sviluppato per le marine cambia strategia. Utilizza una raffinata rappresentazione di giochi chiaroscurali dove è la luce del sole a raffigurare le morbide distese dei pascoli e le creste montane più lontane di un luogo del tutto incontaminato di Terra di Lavoro: il territorio di Piedimonte Matese. Impressionato dalle acque spumeggianti del fiume, che conferiscono a quello snodo idrico una bellezza impetuosa, per la rappresentazione del corso d’acqua sceglie una prospettiva dal basso con il torrente che scorre verso l’osservatore attraverso cascate naturali e attraverso un indotto creato per consentire alla ruota idraulica di poter girare. Gli ostacoli che si oppongono al fluire dell’acqua creano spruzzi bianchi che la luce radente del sole arricchisce di magiche sfumature. La scelta di una rappresentazione montana[3]contribuisce alla nascita di quella pittura di paesaggio austriaca che si svilupperà a partire dagli anni Venti dell’Ottocento con le vedute alpine di Franz Steinfield e Friedrich Gauermann.
Le opere, che costituiscono l’allestimento e compongono la narrazione della mostra, sono suddivise in sezioni che sono delle vere e proprie unità tematiche dell’esposizione.
Nella prima sezione La conquista napoleonica, un posto di riguardo è riservato al dipinto di Heinrich Schmidt Gioacchino Murat dà l’ordine di conquistare Capri nel 1808 che segna la conclusiva definizione del Regno. Nel 1806 gli inglesi lanciano un attacco a sorpresa sulle isole di Ischia, Procida e Capri: viene respinto dalle prime due perché dotate di buone fortificazioni mentre capitola la terza.

Heinrich Schmidt
Gioacchino Murat dà l’ordine di conquistare Capri nel 1808  (1811)
Olio su tela, 125 x 192 cm
Parigi Musée Marmottan Monet


Napoleone rimprovera spesso a Giuseppe di non far niente per recuperare l’isola; l’ascesa al trono di Napoli di Gioacchino Murat mette fine alle ripetute incursioni contro le navi francesi e napoletane e riconquista l’isola con la resa degli inglesi del 16 ottobre 1808. Nella stessa sezione in due grandi tele sono ritratti i re di Napoli del decennio francese. Nella prima Gioacchino Murat comandante della Guardia dei Consoli, commissionata dallo stesso Gioacchino al pittore François Gérard, il protagonista, in piedi e in uniforme di colonnello, mostra l’importanza del suo rango nel nuovo ordine sociale per la realizzazione del quale ha dato un contribuito decisivo. Pur rappresentando la nuova élite non tralascia alcuni elementi del passato come la presenza di un servo di colore e il richiamo all’antichità.
È stato invece l’imperatore ad incaricare Madame Vigée Le Brun ad eseguire un Ritratto di Carolina Murat, granduchessa di Clèves e di Berg con sua figlia Letizia. Carolina, che educata nel reputato pensionato di Madame Campan, unisce ad una sensibilità raffinata e ad un’eleganza innata il fascino di una personalità forte, è in piedi con la mano destra poggiata sulla spalla della figlia Letizia che le rivolge lo sguardo.


Madame Vigée Le Brun
Ritratto di Carolina Murat, granduchessa di Clèves e di Berg con sua figlia Letizia
Olio su tela, 216,5 x 143,5 cm
Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon




Carolina indossa un diadema e un abito da corte in raso bianco con ricami in oro, uno strascico di velluto in seta rossa e una cintura di perle e cammei. Le difficoltà incontrate da Vigée Le Brun durante le sedute di posa: L’intervallo tra le sedute era così lungo che a volte aveva cambiato pettinatura. . . così che sono stato costretta a raschiare via i capelli che avevo dipinto intorno al viso[4] non condizionano il dipinto che mostra la bellezza della sorella di Napoleone in tutto il suo splendore.
Proviene dal Museo di Capodimonte la grande tela Napoleone in abito da incoronazione commissionata a Francois Gérard nel 1804 per il Salone delle udienze del Ministero degli Esteri. È una delle tante repliche del dipinto richieste all’artista destinate ad ambasciate, sovrani, grandi dignitari e famiglia reale mentre l’originale è andato perduto. Quella di Capodimonte è arrivata a Napoli con Giuseppe Bonaparte che l’ha lasciata in città al momento di partire per la Spagna nel 1808.
Napoleone è rappresentato nelle vesti ufficiali indossate per l’incoronazione, nella mano destra impugna lo scettro di Carlo V, mentre su un cuscino alla sua destra sono poggiati la mano di giustizia e il globo imperiali[5]; altre insegne del potere: la spada appartenuta a Filippo III di Francia, il mantello rosso con le api d’oro ricamate, derivate dalla tomba di Childerico[6], la corona d’alloro dorato al posto della corona imperiale evocano il grande comandante celebrato dal suo esercito più che il monarca ereditario. Un ritratto che non somiglia a Napoleone ma rispecchia mirabilmente l’Impero e il suo comandante.
È Napoleone con decreto imperiale del 30 marzo 1806 ad affidare il Regno di Napoli, dichiarato indipendente, al fratello Giuseppe Bonaparte, ed è lui che, con il trattato del 5 luglio 1808, destina quest’ultimo al trono di Spagna ed è sempre l’imperatore, con trattato del 15 luglio ad assegnare a Gioacchino Murat, grande ammiraglio di Francia, il regno delle Due Sicilie.
Il 12 agosto 1808 Murat arriva a Napoli e assume i poteri il 15 seguente; nel mese di ottobre Murat riconquista Capri, occupata dagli inglesi, e pensa immediatamente a una spedizione in Sicilia, per la quale tuttavia non ottiene l’assenso dell’imperatore; la difficile posizione del Murat, consapevole della sudditanza del Regno alla Francia, avvia un progressivo incrinarsi dei rapporti con Napoleone che rimarranno spesso tesi per un progetto non condiviso sul Regno.
Gioacchino Murat proviene da un ambiente e da una famiglia modesta. I suoi genitori sono semplici locandieri, e si fa strada soprattutto grazie al suo talento di militare. Esuberante, coraggioso, impetuoso, ma anche istruito, fa incidere sull’elsa[7] della sua sciabola la frase in difesa dell’onore e delle donne. Diventa generale della cavalleria napoleonica dopo essersi distinto sui campi di battaglia.
Carolina ha solo 15 anni quando, partecipando il 14 giugno 1797 al matrimonio delle sue sorelle Elisa e Paolina, conosce a Monbello Gioacchino Murat, focoso compagno da campo di Napoleone, di 30 anni, del quale si innamora subito. I disegni di Napoleone su di lei sono altri e Murat all’inizio non è accettato come pretendente per la sorella ma lei è determinata e così il 18 gennaio1800 viene firmato il contratto di matrimonio e il 20 celebrato il rito civile quando lei ha diciotto anni e lui 33.
La passione collezionistica e l’impegno mecenatesco, iniziati a Parigi subito dopo il matrimonio, proseguono quando la coppia si sposta a Napoli. Per volere di Napoleone con il trasferimento dei Murat nell’ex capitale dei Borboni devono rinunciare alle loro sontuose dimore in Francia compresi opere d’arte ed arredi.
La coppia reale dopo la rinuncia alle residenze e alle raccolte parigine riesce comunque a salvare quanto accumulato nei due anni passati sul trono del granducato di Clèves e di Berg sul Reno. In questo modo riescono a portare a Napoli vasellame, argenteria, porcellane preziose, quadri, opere d’arte, libri, sontuosi mobili, carrozze e cavalli fondamentali per riarredare le regge che i Borboni avevano spogliato portando con sé, nell’esilio siciliano, il maggior numero di opere possibili compresi la legna da ardere e i tubi in piombo del palazzo.
 Se la dominazione francese in Europa fu violenta e accompagnata da sfruttamenti e ruberie, Gioacchino inaugura a Napoli una politica di distensione e di sviluppo. Tutto ciò non è gradito al regale cognato. Napoleone non vuole un sovrano indipendente ma un re-suddito e in più occasioni gli ricorda il suo ruolo di vassallo dell’impero che deve piegarsi ai suoi ordini e fornire soldi e uomini per le campagne militari dell’impero. Il rapporto tra i due inizia ad incrinarsi; le missive diventano sempre più avvelenate e Murat si guadagna appellativi poco onorevoli come lazzarone. Ma re Gioacchino tira dritto, sordo ai richiami dell’uomo a cui, nonostante tutto, deve il suo trono e la sua carriera.
Tra le prime iniziative, Murat decide di trasformare lo spazio antistante Palazzo Reale in una “Grande e Pubblica Piazza”, delimitata da due palazzi gemelli e un maestoso colonnato, e di chiamarlo Foro Gioacchino. Il cambiamento è anche linguistico: la parola “largo” viene sostituita con “piazza” o, alla romana, con “foro”. Il piano di lavoro prevede di far realizzare a Canova un monumento equestre in onore di Napoleone da posizionare al centro della piazza ma il succedersi precipitoso degli eventi blocca questa parte del  progetto. Così dopo aver collocato la prima pietra solennemente nel 1809 bisogna attendere il 1846 per la definitiva sistemazione della piazza ad opera di Pietro Bianchi che pur apportando modifiche deve tener conto dell’impianto urbanistico del re francese.
Nella sezione La corte di Murat a Napoli, ci sono i ritratti dei figli Achille, Letizia, Luciano e Luisa dipinti dal ritrattista ufficiale della famiglia Benjamin Rolande i busti di Gioacchino e Carolina e dei figli Letizia e Achille realizzati dalla Real Manifattura di porcellana ceduta da Giuseppe Bonaparte a una società formata da imprenditori francesi, la Poulard Prad. Nello stesso spazio espositivo a primeggiare è la grande tela di Francois Gérard Ritratto di Sua Maestà la regina di Napoli con i due principi e le due principesse sue figlie.


François Gérard
Ritratto di Sua Maestà la regina di Napoli con i due principi e le due principesse sue figlie
Olio su tela 217,5 x 170,5
Musée National du château de Fontainebleau

La regina è attorniata dai figli: ha le dita intrecciate con il primogenito ad indicare la continuità dinastica. L’ abito di raso bianco, ricamato in oro, lascia intravvedere in primo piano la fodera dai riflessi perlacei, mentre preziosi gioielli accentuano la sua eleganza. È seduta su una raffinata poltrona collocata su una pedana rialzata. Non mancano rimandi e allusioni politiche come la devozione allo zio, fondatore della dinastia e modello di riferimento per la famiglia imperiale, rappresentato dall’uniforme blu di Achille, la stessa che indossa Napoleone e all’immagine riportata sul medaglione di Letizia. E ancora si può scorgere su un pannello murale dietro la regina un trofeo militare costituito da spada, cintura ed alloro che sono alla base del percorso che porta al trono Gioacchino. C’è ancora la figlia Luisa che porta un mazzo di fiori freschi colorati a richiamare i ricami dell’abito e il figlio Luciano, novello Cupido, che tende la corda del proprio arco con davanti una faretra piena di frecce piumate. Sullo sfondo il golfo ed il Vesuvio fumante ad indicare il nuovo stato della famiglia come sovrani di Napoli.
In mostra è presente un interessante documento dell’arte orafa napoletana del periodo napoleonico: il Collare dell’Ordine delle Due Sicilie che rappresenta l’insegna cavalleresca più importante indossata da Gioacchino Murat e dai membri dell’Ordine durante le cerimonie di corte. L’ordine, costituito da cavalieri, dignitari e commentatori venne istituito da Giuseppe Bonaparte sul finire del suo regno ed arricchito e portato avanti da Gioacchino Murat. È realizzato da medaglioni in oro e smalti, a rappresentare gli emblemi delle 15 province del Regno[8], bordati da corona d’alloro, con coppie di sirene. Completa il collare l’insegna dell’Ordine, una stella a cinque punte in smalto rosso sormontata dall’aquila, in oro, con ali spiegate e corona reale. Al centro un medaglione con il cavallo sfrenato, emblema di Napoli.

Atelier Biennais e orafi napoletani
Collare dell’Ordine delle Due Sicilie (1813)
Napoli Certosa e Museo di San Martino

Nella sezione Vesuvio e notturni spicca l’Eruzione del Vesuvio  di Pierre Jacques Volaire il più stimato rappresentante delle vedute del Vesuvio con la luce lunare del golfo. Volaire formatosi in Provenza costruisce la sua carriera in Italia prima a Roma e poi a Napoli dove si stabilisce definitivamente nel 1768 dopo aver assistito l’anno precedente ad un’eruzione del Vesuvio. Con le sue composizioni ed una vasta gamma cromatica, in cui abbondano gli arancioni, i neri violacei del cielo notturno, il cielo azzurro-grigio cenere del giorno e il mare argenteo, riesce a suscitare nell’osservatore sentimenti di ammirazione, terrore o curiosità scientifica. Nel quadro, oltre a gentiluomini accompagnati da guide, si possono ammirare all’estremità opposta del Vesuvio figure popolari e al centro in controluce cavalieri che manifestano stupore e spavento.
Un’altra opera sul vulcano, Eruzione del Vesuvio nell’anno 1813, 1816-1817 di Alexandre-Hyacinthe, suscita interesse per la cura nella resa topografica della collina di Pizzofalcone a sinistra e Castel dell’Ovo a destra. Alcuni passanti si soffermano ad osservare mentre altri, come i pescatori, continuano tranquilli le loro attività.  La superficie del mare calma e costellata da varie tonalità di blu rasserena ma contrasta con la densa nube che si alza minacciosa pronta a riversare il suo carico di cenere sul golfo. Dopo aver lavorato per cinque anni al servizio della regina Carolina Murat con la caduta dell’impero rientra in Francia ma ci resta poco. Nel 1816 rientra a Napoli dove i reintegrati sovrani gli commissionano quattro dipinti di vedute destinati a sostituire gli arredi napoleonici: i suoi paesaggi classicheggianti sono in sintonia con i gusti della restaurata monarchia borbonica.
Per Rebell la rappresentazione morfologica di un paesaggio deve tener presente il contesto geografico e i costituenti naturali ma non può prescindere dall’elemento umano. Le figure nei suoi dipinti sembrano anticipare il dibattito sulla funzione della rappresentazione[9] e andare oltre il realismo della sembianza o la bellezza del prodotto ma, attraverso l’organizzazione di linee, colori e spazi operare una ricerca di significati all’interno dell’opera. Per farlo utilizza dei disegni preparatori a matita che rivelano una straordinaria maestria nel riportare su carta il frutto delle sue osservazioni. I disegni presenti in mostra, in una sezione specifica, sono belli ma soprattutto poetici. Si tratta di immagini di uomini in sosta, alcuni con i tipici cappelli frigi, copricapi conici con la punta ripiegata in avanti, altri, forse turisti, con cappelli a cilindro. Su altri fogli sono rappresentati gruppi di donne qualcuna con un bambino, qualche altra con un cesto della biancheria in testa o ai fianchi e altre che muovono il corpo al ritmo del tamburello.[10] E ancora pescatori con reti o portuali impegnati nel proprio lavoro o marinai che si riposano al sole. Tutti sono ripresi nelle loro attività e immobilizzati in un gesto tra i tanti che compongono i movimenti, spesso ripetitivi e automatici, che il fermo immagine rende preziosi e unici. Li coglie da diverse angolazioni di spalle, di lato, davanti, isolati o in gruppo e per aumentare la plasticità delle figure utilizza ombreggiare il disegno con il color seppia talvolta arricchito da un coprente bianco che sottolinea le forme anatomiche e potenzia gli effetti chiaroscurali. Nel suo autoritratto Rebell ha tra le mani una matita forse per sottolineare la capacità che ha questo strumento di utilizzare l’azione sinergica della mano e dell’intelletto per evocare visioni. Un attrezzo che permette di progettare e successivamente concretizzare le fantasie e senza immaginazione, ingegno e sogno non c’è ricerca e non c’è sviluppo.
Ritroviamo le sue figure in tante opere come nelle Scene di vita popolare sul litorale di Chiaia dove, al confine tra la Villa Reale e la strada della Torretta che porta al borgo di Mergellina, ci descrive uno spaccato della vita quotidiana di Napoli con venditori, pellegrini e suore, musicanti che improvvisano un intrattenimento con il gioco delle marionette e dei gentiluomini a bordo di un calesse a due ruote.
Le figure presenti nella tela Il porticciolo del Granatello a Portici con il Vesuvio del 1819 sono ventidue in primo piano e quattro distribuite su due battelli a vela, posti in secondo piano.


Joseph Rebell
Il porticciolo del Granatello a Portici con il Vesuvio (1819)
Olio su tela, 98 x 137,5 cm
Vienna, Belvedere



La capacità dell’artista di ritrarre le figure in movimento è notevole e grande è la perizia e l’accuratezza nell’esecuzione. Il quadro, che descrive il paesaggio di Portici ripreso dal molo del porticciolo di Granatello, ritrae sulla sinistra la villa d’Elboeuf, fatta costruire nel 1711 dal duca d’Elboeuf, su disegno di Ferdinando Sanfelice, ha come sfondo il Vesuvio. Pochi anni dopo la fine della costruzione la villa venne venduta a Don Giacinto Falletti Arcadi, marchese di Bossia e duca di Cannalongai. Nel 1738 la villa ospita Carlo di Borbone, che si innamora del luogo e fa costruire nelle vicinanze la Reggia di Portici. Nel 1742 il re acquista la villa e la trasforma in un fabbricato della reggia da utilizzare per l’approdo dal mare.
Durante il regno, i Murat prediligono la residenza privata di Portici ed è proprio Carolina Bonaparte, che ai piedi della villa, fa costruire per lei e per le figlie il Bagno della regina. Si tratta di un tempietto con quattro pilastri neodorici dalle sembianze di un antico ninfeo decorato con allegorie di carattere mitologico: nascita di Venere e Tritoni, Nereidi e raffigurazioni di pesci, conchiglie e rami di corallo[11]. Incastonato nella lava tufacea del 79 d.C. il bagno di Carolina Bonaparte rimane l’unico esempio di architettura balneare stile impero esistente ancora oggi. Si contano almeno cinque edizioni dello stesso paesaggio quella in mostra venne commissionata dall’imperatore Francesco I d’Austria nel 1819 insieme a Mareggiata al Fusaro, Veduta della città di Vietri, Tramonto sui Campi Flegrei.
Ed è proprio Tramonto sui Campi Flegrei con le isole di Procida ed Ischia[12] uno dei grandi capolavori del pittore austriaco. È ispirata all’opera di Claude Gellè detto Lorrain[13], considerato il maestro del genere del paesaggio ideale, ad ispirare la prima produzione di Rebell caratterizzata da paesaggi con templi, porti antichi, sarcofagi, figure in costume classici.

Joseph Rebell
Tramonto sui Campi Flegrei con le isole di Procida ed Ischia (1819) (Particolare)
Olio su tela, 98 x 136 cm
Vienna, Belvedere


Quando arriva in Italia scopre che l’Arcadia
, che ha vagheggiato nei suoi dipinti,  ha un corrispettivo reale nella bellezza del golfo di Napoli. È colpito dal gioco di luce e dalle infinite sfumature che producono i raggi del sole sulla superficie del mare e dalla varietà della natura mediterranea. Non necessità più della fantasia per dipingere un tramonto perché con lo sguardo può cogliere la magia di un luogo, come succede in queste terre mitologiche, dove è possibile far assurgere alla dimensione di poesia un luogo reale. Rebell per la descrizione di questo tramonto ha cercato di trovare un punto di osservazione ideale in modo che al crepuscolo il lago d’Averno, il lago Fusaro e il mare si fondono in un’unica superficie riflettente. La luce che filtra attraverso le foglie degli alberi accresce l’effetto di brillante luminosità del dipinto mentre alcune donne e uomini ravvivano la scena con suoni e balli. La magistrale resa della luce nelle varie tonalità dall’azzurro del cielo e dall’oro delle superfici colpite dai raggi solari non risparmia le figure i cui corpi appaiono accarezzati nei loro contorni dai fasci di luce di color giallo arancio  del sole al tramonto. Tutti gli elementi geografici e naturali hanno un’unica fonte la luce del sole e le persone sono una parte  del tutto da cui dipendono e a cui tendono. Lo sguardo nel suo  autoritratto guarda lontano … guarda fuori forse alla ricerca di quell’origine comune degli elementi, forse per cercare di spostare l’attenzione dalla descrizione dei corpi e delle masse alla descrizione di più intimi movimenti interiori o intersoggettivi.
(2.fine)


Alexandre-Hyacinthe Dunouy
Eruzione del Vesuvio nell’anno 1813, (1816-1817)
Olio su tela, 169 x 238 cm
Musée National du château de Fontainebleau

NOTE
[1] Le tele dovevano essere quattro, le tre finite sul mercato dell’arte furono acquistate dal Belvedere mentre la quarta, Scene delle guerre napoleoniche al chiaro di luna con sullo sfondo le rovine di un villaggio bruciato e in primo piano un grande carro con le vettovaglie trainato da quattro cavalli e solati impegnati in varie manovre, è andata perduta.

[2] In una lettera a Domenico Artaria, a cui si offre di realizzare delle vedute come aveva fatto precedentemente ad inizio secolo, confida l’incertezza del futuro e di non sapere dove si troverà “alla fine dell’anno”. Rebell ad Artaria 8 aprile 1816 Wienbibliothek. Da Sabine Grabner  Catalogo mostra pagina 202

[3] Oltre alla all’opera presentata Rebell ha realizzato un’altra versione Torrente a Piedimonte Matese.

[4] Vigée Le Brun Memorie di un ritrattista, introduzione di Benedetta Craveri Edizioni Mursia Milano 1990 pag. 156

[5] l globo crucigero (globus cruciger in latino) è una sfera sulla cui cima è apposta una croce. Simbolo usato soprattutto nel Medioevo da imperatori e re sulle monete, come insegna regale. Caratterizza il potere regale o imperiale come un potere cristiano: riconosce la supremazia di Cristo (rappresentato dalla croce) sul mondo e sui poteri terreni (la sfera).

[6] Napoleone utilizza Childerico I (436 circa – Tournai, 481 circa) è stato il primo sovrano, storicamente accertato della dinastia dei Merovingi (Franchi) un simbolo che il Bonaparte adotta perché scollegato dalla dinastia dei Borboni che l’avevano preceduto; le api rimpiazzarono anche i gigli sulle tappezzerie e su tutti i rivestimenti interni.

[7] L’elsa è rappresentata dall’insieme delle diverse parti deputate alla presa e al controllo di un’arma bianca manesca, solitamente spada o del tipo spada: la guardia, la manica e il pomolo.

[8] Le 15 province del Regno rappresentate sono: Provincia di Napoli, Terra di Lavoro, Principato Citeriore, Basilicata, Calabria Citeriore, Calabria Ulteriore, Terre d’Otranto, Terre di Bari, Capitanata, Molise, Principato Ulteriore, Provincia di Chieti, Provincia dell’Aquila, Provincia di Teramo e Regno di Sicilia.

[9] Saranno le ricerche condotte dal semiotico Algirdas Julien Greimas (Tula, 9 marzo 1917 – Parigi, 27 febbraio 1992) a definire le qualità significanti di un’opera artistica visiva attraverso un suo specifico saggio: Semiotica plastica e semiotica figurativa  presente nel libro di Paolo Fabbri e Gianfranco Morrone (a cura di), Semiotica in nuce, Meltemi, 2002, pp.196-210.

[10] I fogli con i disegni sono stati donati dal proprietario, il paesaggista e accademico Franz Steinfield, alla biblioteca dell’Accademia ed oggi sono conservati presso il kupferstichkabinett dell’Accademia di Vienna.

[11] La descrizione è riportata da Massimo Villone nel volume Il Real sito di Portici Edizioni Paparo 2008 pp.225-240

[12] Per la descrizione si fa in parte riferimento a quanto scritto da SabineGrabner nel Catalogo della mostra pag. 194

[13] Claude Gellè detto Lorrain (Chamagne, 16 dicembre 1600 – Roma, 23 novembre 1682) è stato un pittore francese, attivo soprattutto a Roma.

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