Ecco la terza e ultima puntata e del nuovo racconto di Francesco Divenuto. Siamo in un  museo, i due bronzi nella naturalezza dei corpi… Lo sguardo di chi osserva…
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Divenuto è autore, tra l’altro, di  numerosi saggi su riviste specializzate e di un romanzo “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” (edizioni scientifiche italiane). Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale,  Variazioni Goldberg, Il bar di zio Peppe, Carmen e il professore, Il flacone verde (o Pietà per George), Lido d’Amore, Frinire, Primo novembre.


TERZA PUNTATA
Non so che cosa aggiungere; l’emozione mi lascia senza respiro. E dopo ancora un solo istante di attesa, decido di andar via nel tentativo di ritrovare una mia normalità. Ma non è facile. Mi giro a guardare, ancora una volta, i due “bronzi”. Ho l’impressione che il loro sguardo mi stia seguendo, sì anche quell’orbita vuota, di una di esse, ora mi segue ironica mentre non capisco se quel sorriso, appena accennato, sia di scherno o di disinteresse.
La mia, come quella di tutti gli altri visitatori, è una storia che li lascia indifferenti. Siamo tutti degli estranei. Nessuno di noi appartiene alla loro vita. Fuori del Museo sono circondato da un gruppo di ragazzini; scuri, con occhi furbi, occhi antichi. Credo che non siano tutti del posto; qualcuno, infatti, nei suoi tratti, mi sembra rivelare origine magrebine. Ma, in realtà, non sono così sicuro di poter riconoscere la loro provenienza; le differenze somatiche non mi sembrano eccessive ed anche il dialetto rivela lo stesso suono. Suono che a me giunge inarticolato ma che pure conserva una musicalità tutta mediterranea.
Tutti gridano, tutti ridono, tutti cercano di vendermi qualcosa. Mi riesce difficile districarmi e sorrido anch’io. Nella loro rumorosa allegria mi spintonano offrendomi la loro povera merce: una penna, una gomma masticante o qualche cartolina, in realtà non nuova, che riproduce i due “bronzi”. Solo uno, che mi sembra il più piccolo, non mi offre nulla. Resta un po’ indietro senza partecipare alla confusione creata dai suoi chiassosi amici. Mi guarda senza parlare; in realtà mi vende il suo sorriso.
Distribuisco qualche moneta senza comprare nessuno dei poveri oggetti che gli allegri venditori continuano ad agitare sotto i miei occhi. Poi, senza smettere di gridare, tutti insieme mi salutano per raggiungere di corsa un gruppo di turisti appena uscito dal Museo. Solo il ragazzino non li segue e resta fermo, lì davanti a me, continuando a sorridermi con occhi di antica saggezza. Di carnagione più scura rispetto agli altri –almeno così mi sembra- con i capelli crespi che formano, ai lati del viso, serpentine anch’esse di foggia antica.
Gli sorrido anch’io e mi allontano seguito dal suo sguardo.
È un attimo; poi, improvvisa, un’idea ferma i miei passi ed il mio pensiero. Mi volto per guardarlo ancora ma non lo vedo più; avrà certo raggiunto gli altri. Ma certo, come ho fatto a non notarlo prima; questo viso infantile conserva una sua classica antichità. È l’erede di un mondo che, in effetti, è ancora presente nell’area mediterranea. Ed alla fine di confuse emozioni capisco: questo bambino somiglia ad uno dei due bronzi, al più anziano, credo di ricordare.
Sono sicuro che attraverso secoli, millenni un filo sottile unisce il piccolo ad un suo antenato, qualcuno di cui non abbiamo nessuna notizia ma che pure ora era qui, davanti a me. È possibile, penso, che il caldo, insieme all’emozione ancora così intensa, mi stia giocando un brutto scherzo; e se fosse una variante della sindrome di Stendhal?
Ma questa mia ipotesi mi convince poco e sorridendo vado via. Riprendo a camminare ma, almeno con il pensiero, non riesco ad allontanarmi dall’intensa emozione provocata dai due bronzi e da questo ragazzino.
Mi sembra di ricordare che, nel Museo, i due bronzi sono stati chiamati A e B e anche il “vecchio” e il “giovane”; non so, invece, come li hanno catalogati nella documentazione della Soprintendenza. Ma per quanto mi riguarda, il problema non esiste o meglio non mi interessa. Avrebbero potuto, infatti, indicarli con una sigla o perché no, con un numero. Ecco questa mi sarebbe sembrata la soluzione più giusta. In tal caso io avrei proposto 1o e 2o; sì, certo: i primi due naufraghi giunti sulle nostre coste; i primi due ad avercela fatta. Quelli che, con la loro storia, ci richiamano al senso di solidarietà, che testimoniano, ad ognuno di noi, che non è giusto, oltre che impossibile, arrestare la volontà di muoversi per seguire il proprio desiderio di vita.
Secoli o meglio millenni di storia dividono i due “bronzi” da quel ragazzino che nella sua fisionomia sembra ricordarmi in particolare uno dei due. Il sangue che è scorso nelle vene dei modelli di quelle statue forse è lo stesso di quello che scorre in quel giovane corpo il cui destino non è meno precario di quello delle due statue.
Ma queste, almeno, hanno raggiunto un loro scopo: testimoniare l’esistenza, in ogni uomo, della volontà di una vita migliore nonostante le disavventure che mettono a dura prova le nostre capacità.
Fra i due “bronzi” e il ragazzino sconosciuto, il cui destino è ancora tutto da compiere, ci sono decine, centinaia di generazioni, compresa la mia. Il pensiero che un filo sottile unisce i nostri destini mi lascia più sereno poiché, a ben vedere, quei due signori, A e B, o come li vogliamo chiamare, in realtà sono soltanto due di noi.
                                                                                                      (3.fine)

 

 PRIMA PUNTATA
Nell’ampia sala del Museo, vuota in  questo pomeriggio autunnale ancora caldo, sono solo. Giro intorno alle due statue senza trovare un punto in cui fermarmi per ammirarle. La loro fisicità, infatti, non suggerisce una sosta ma, piuttosto, invita a muoversi per ammirare i due sconosciuti nelle naturalezza dei loro corpi.
Chi sono o meglio chi erano questi due splendidi bronzi? Esisteva un rapporto fra loro? Si conoscevano? Rappresentano il ritratto di due amici o due parenti?
Li guardo e mi chiedo: a quali e quante domande potremo mai dare una risposta? Temo a nessuna; domande inutili poiché non avremo mai una risposta sicura eppure continuiamo a chiederci se dietro quella fissità si nascondono persone realmente esistite o se invece raffigurano corpi ideali ai quali il loro artefice avrà chiesto di rappresentare, ad esempio, due differenti età dell’uomo.
Saranno stati modellati secondo un’idea che apparteneva solo all’artista dunque o ci saranno stati comunque due modelli? E, in tal caso, chi avrà prestato le proprie fattezze posando per ore sotto lo sguardo dell’artista attento a riprodurre quella materia viva per renderla immortale? Perché troppo anatomicamente precise, troppo  realistiche quelle proporzioni e quella muscolatura per dubitare che non rispecchiano il corpo di modelli forse scelti fra quanti, ogni mattina, vagavano nelle vie del porto in cerca di un lavoro.
E allora, se le cose fossero andate proprio così, un pasto assicurato per un discreto numero di giorni spiegherebbe l’espressione dei loro volti. La certezza che, per qualche tempo almeno, la sera non avrebbe aggiunto tristezza e sconforto alla loro fame, si sarà manifestata in quella serenità che ora, dopo secoli, ancora leggiamo nella loro espressione.
Ma l’incertezza fra quello che vediamo e quello che non sapremo mai è troppa. Sono sicuro che i tanti dubbi che affollano la mia mente sono gli stessi che, quasi certamente, migliaia di visitatori si pongono presi dall’emozione una volta giunti davanti alla statica bellezza degli ignoti personaggi.
A nulla sarà valso allora tutto quello che avranno letto prima di intraprendere questo pellegrinaggio che li avrà portati nel Museo calabrese. Un pellegrinaggio di cui avranno sentito la necessità come quando ci rechiamo a visitare lontani parenti finora sconosciuti e dei quali abbiamo solo appreso poche notizie e visto qualche foto.
Qualcuno sarà venuto da paesi troppo lontani, civiltà e culture differenti, per cui ora proverà stupore ma anche, più probabilmente, un certo disagio a contatto con quelle espressioni antiche che i “bronzi” ancora conservano dopo secoli di oblio.
Un lungo intervallo di tempo durante il quale di loro avranno perso la memoria i coetanei, i due probabili modelli e certo anche il loro artefice.
Un tempo durante il quale avranno riposato quasi cullati dalle onde, poggiati sul soffice, sabbioso fondale del mare dove i pesci avranno giocato nascondendosi negli anfratti, in quelle cavità che la cera, una volta sciolta, avrà lasciato all’interno del loro corpo offrendo un riparo sicuro a molluschi e piccoli esseri terrorizzati durante l’infuriare delle tempeste.
Per secoli, flessuose alghe avranno ricoperto la loro nudità della quale erano stati orgogliosi fin da quando il loro artefice l’aveva definita e della quale avranno fatto bella mostra nella bottega dell’artista che, commosso, avrà accarezzato quelle membra rese lucide dopo aver liberato la superficie da ogni impurità.
Muscoli tesi in uno sforzo trattenuto mentre il metallo si solidificava consegnando quei corpi all’eternità. Un’eternità raggiunta dopo un lungo processo i cui tempi saranno stati scanditi da momenti che possiamo solo immaginare: prima nello studio dell’artista che intanto disegnava, studiava particolari anatomici fino a quando, una volta convinto li modellava; poi ancora giorni e giorni nella fonderia dove mani esperte avranno preparato la fornace con il fuoco nel quale sarà stato sciolto il metallo che avrà aderito alle loro fattezze. E infine i giorni di attesa prima di poter liberare quei corpi dal bozzolo che li aveva imprigionati.
                                                                                                       (1.continua)

SECONDA PUNTATA
Anch’io ho letto innumerevoli ipotesi sul probabile artista e sulla tecnica utilizzata; ma ora quasi non ricordo più nulla e come tutti resto immobile, annientato da tanta bellezza e continuo a pormi stupide quanto inutili domande. Non riesco a mettere ordine nei miei pensieri. Tutto quello che ho letto, infatti, ora ha lasciato il posto a pensieri disordinati ma anche ad un’emozione che mi schiaccia lasciandomi consapevole della nostra pochezza. Gli interrogativi sono tanti e destinati ad avere come risposte solo ipotesi.
In realtà, noi non sappiamo nulla. Non sappiamo, con certezza, da dove venivano e dove andavano. Non potremo mai sapere, ad esempio, dove erano dirette le due statue, cioè in quale ricca dimora si sarebbero fermati a mostrare, con orgoglio, la loro bellezza. Ed ancora, non sappiamo quanto tempo le statue saranno rimaste nella officina del loro artefice certo ammirati da quanti pur conoscendo l’abilità dell’artista, avranno esclamato espressioni di ammirazione e, contemporaneamente, di rammarico sapendo che la loro visione sarebbe stata loro sottratta il giorno in cui i due bronzi sarebbero partiti per un lungo viaggio che li avrebbe portati lontano.
Nulla di chi avrà organizzato il trasporto sappiamo, o di chi avrà diretto i febbrili ma accorti preparativi sistemandoli in modo sicuro per non danneggiarli durante il viaggio del quale non sappiamo nulla. Quando sarà iniziato? E verso quale approdo avrà puntato la prua la nave secondo un itinerario forse non insolito in quegli anni se non fosse per la particolare importanza del carico?
Ma questa volta, nel salpare dal porto greco, i marinai non sapevano che il viaggio delle due statue sarebbe stato interrotto in maniera drammatica. In che punto preciso, lungo il tratto di mare già percorso tante altre volte, sarà avvenuto il naufragio? Perché questa conclusione appare come l’unica cosa certa.
E prima di quei terribili momenti che cosa avranno detto o solo pensato i marinai compagni di viaggio dei due “bronzi”? Quale orgoglio ed emozione avrà riempito i loro cuori sapendo di essere testimoni di un evento di grande responsabilità?
Quando la notte, sotto un cielo stellato, quei marinai, uomini vivi con le loro passioni, si saranno confrontati con quelle membra immobili che cosa ognuno avrà pensato?
Avranno interrogato i due “bronzi” chiedendo loro di svelare il segreto di tanta bellezza? E quando la furia della tempesta avrà imposto la terribile scelta di alleggerire il peso della nave gettando in mare, insieme al carico anche le due statue, nella speranza di salvare la loro vita, avranno pianto unendo lacrime alle onde che, furiose, schiaffeggiavano il loro volto? E quando questa terribile decisione non sarà bastata a salvare la nave e le loro vite, contro chi avranno imprecato?
Ma questa è solo una nostra malevola domanda che non diminuisce certo il dolore di quegli uomini per il necessario abbandono dei “bronzi” nelle nere, minacciose e agitate acque di un mare tante volte attraversato sulla rotta che dalla patria greca portava altri prodotti artistici nelle case di ricchi possidenti. E quando sulle onde placate sarà tornato il sereno ed il destino della nave con il suo carico umano, sarà giunto al suo fatale oblio, quale traccia della loro esistenza sarà rimasta nella memoria della patria d’origine?
Occorreranno secoli perché il viaggio delle due statue potesse riprendere anche se non sapremo mai se verso lo stesso luogo al quale erano state destinate.
Una mattina, una come tante, in quel braccio di mare, forse approfittando delle condizioni di visibilità delle acque, particolarmente favorevoli, le due statue avranno deciso, per loro volontà, di interrompere il prolungato, forzato esilio. Quel sonno, accompagnato dall’incessante moto delle acque, era durato troppo e con le loro membra si saranno attaccati alle reti di pescatori ignari, nel desiderio di ritornare alla luce. Che cosa avranno detto a quegli uomini che, stupiti, li avranno tirati a bordo delle loro imbarcazioni; e che cosa avranno detto agli archeologi che, muti, li avranno guardati nella speranza di leggere nelle atletiche membra la storia se non la disavventura che li aveva portati su quei fondali?
Forse le statue avranno guardato tutti coloro che, a vario titolo, si avvicendavano per studiarli, con la dignità ma anche con il distacco che il loro ruolo imponeva. Sono sicuro, infatti, che loro, e soltanto loro conoscono la verità. Per quante ricerche si possano fare gli interrogativi, senza risposta, resteranno sempre molti.
  (2. continua)

 

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