Una serata di ottobre del 44′ Sara usc per una passeggiata. Davanti a s notò strade deserte. Ciò acu la sua depressione, e la sua solitudine. Credeva, ciecamente, nei valori di libert  e uguaglianza, ma purtroppo proprio a causa del suo antifascismo era stata licenziata.
Durante quella passeggiata, in Sara balenarono tanti pensieri. Nutriva nostalgia per la sua professione d’insegnante, il sogno di una vita che era riuscita a realizzare. Rientrò in casa e osservò la foto sul davanzale della cucina.
Suo marito Giuseppe, lontano di casa da tre anni e una mancanza infinita.

Giuseppe era un partigiano romano,
fiero ed orgoglioso di quello che faceva. Agiva in Europa, aiutava gli ebrei a scappare dal campo di Dachau, in Germania. Grazie alla sua tenacia, comprendeva che non tutte le speranze erano perdute, e la resistenza, poi, aveva dato coraggio a tante persone.
Sara si fermò a ricordare i suoi abbracci, non vedeva l’ora di riaverlo accanto. Questione di poche ore. Si fece una doccia, lesse qualche pagina di un buon libro, si addormentò serena.
E, finalmente, il mattino seguente Giuseppe fece rientro.
Sara usc in giardino in vestaglia e lo abbracciò. Lui ricambiò, colmo di gioia.
Giuseppe non aveva intenzione di raccontare tutto ciò che aveva vissuto durante questi tre lunghi anni, ma Sara invece voleva sapere.
-Non voglio segreti tra me e te- gli ricordò con dolcezza, quella era una frase che gli ripeteva da sempre.
-Sono molto stanco, ti prego non chiedermi nulla- ripeteva Giuseppe, serio.
-successo qualcosa ? – chiese la moglie preoccupata.
-S, ma è meglio, Sara, che tu non sappia mai la storia che mi ha procurato tristezza- disse fermo. -Una tristezza che temo di non poter allontanare mai più dal mio cuore. Non chiedere, non posso dirti. Lo faccio per te.
Si zitt, quando Sara si fermò a guardarlo fisso negli occhi senza dargli scampo. Allora si sedette, e inziò a raccontare.
Nel febbraio del 43′, mentre arrivava in Germania in treno, aveva conosciuto una donna tedesca, Sveva, che aveva perso il figlio in guerra. La donna era sempre stata contraria al regime nazista e per questo era stata licenziata dal suo lavoro di segretaria, mentre Heinrich, il figlio, era riuscito a scappare, arruolandosi con gli angloamericani per la liberazione della patria.
Sveva aveva un volto sciupato e lo sguardo perso nel vuoto. Mentre erano in viaggio, Giuseppe, incuriosito della sua ingenuit , si era avvicinato e seduto accanto a lei. La donna non era molto loquace, soprattutto con gli estranei, ma Giuseppe, con la sua dolcezza e la sua bont , la invitò ad aprirsi.
Giuseppe iniziò a parlare della sua missione e di quanto era difficile stare lontano dagli affetti, mentre la donna parlando di s cercava di nascondere invano, le lacrime.
-Cosa ti fa stare male?- chiese lui, calmo.
-La morte di mio figlio- singhiozzò.
Una sera di gennaio rientrando a casa aveva visto una lettera nella cassetta della posta. La lettera, proveniente dal fronte, era stata scritta da un americano di nome Freddy, il quale aveva conosciuto Heinrich al fronte, diventando il suo migliore amico. La lettera, però, informava la donna della morte di figlio che era stato fucilato nel dicembre del 42.
-Noi non ci arrenderemo, finch la guerra non cesser – fece Giuseppe con grinta e premura insieme.
-Persone come te ne esistono poche, troppo poche, al mondo- rispose la donna commossa. I due si salutarono con un forte abbraccio, poi si separarono.

Sara era rimasta scioccata dalla storia e scoppiò a piangere.
Desiderava solo che la pace fosse riportata nel mondo, senza l’ombra di alcun razzismo. Giuseppe aveva raccontato tale vicenda alla moglie, facendole comprendere che non tutti i tedeschi erano cattivi e che, sebbene regnasse il male, il bene non era mai scomparso.

I due sposi si abbracciarono. Giuseppe era talmente contento di riabbracciarla che decise di non lasciarla mai più per partire per il fronte.

Per il suo arrivo, Sara lo festeggiò cucinandogli un pranzetto speciale e regalandogli un anello d’oro che rinsaldò la loro unione. Gli sposi vissero nel loro amore, sebbene la guerra non fosse cessata, convinti che la pace prima o poi avrebbe di nuovo regnato.

L’autrice/Chi sono
Mi chiamo Valentina Bandiera e sono nata a Pesaro il 21 luglio 1990. Vivo a Napoli. Mi sono laureata all’universit  Federico II corso di laurea magistrale in filologia moderna (108/110). Ho svolto esperienze di stage in biblioteche e case editrici. Frequento corsi di formazione nell’ambito bibliotecario e sono una bibliofila appassionata. Ho frequentato corsi di scrittura creativa con Antonella Cilento. Amo la cultura italiana.

La foto ricorda lo sbarco in Normandia del 1944

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