Oggi per Ariel sar  un giorno importante.
Questo è stato il primo pensiero che mi ha attraversato la mente quando ho aperto gli occhi. Finch non ho conosciuto Ariel, non sapevo dell’esistenza di un nome come il suo. Molti dicono che i nomi influenzino il carattere degli uomini. Che futuro attende un bambino chiamato Ariel?
Un futuro non comune. Un futuro misterioso, ricco di sorprese, di punti interrogativi. Avrebbero dovuto riflettere bene i suoi genitori prima di marchiarlo con quel nome.
Prima di uscire definitivamente di casa, sono dovuto tornare due volte indietro. La prima per cambiarmi i calzini, dopo che mia madre mi aveva fatto notare che avevo infilato uno di colore blu e l’altro di colore nero e la seconda volta per prendere le chiavi della macchina, altrimenti avrei dovuto prendere la cumana per andare a Bacoli, e la cumana spesso senza preavviso salta le corse e cos avrei fatto tardi a scuola e la classe sarebbe stata scoperta.
Invece per fortuna mia madre al mattino mi passa in rassegna e cos dopo aver superato l’ispezione sono corso via.
In macchina ho continuato a pensare ad Ariel. In realt  il suo nome mi piace e poi è il nome di un angelo; un angelo che nel cadere dal cielo ha perso le sue ali e la spensieratezza che dovrebbero avere i bambini. Purtroppo Ariel ha perso molto altro insieme alle ali; ha perso la capacit  di riconoscere le emozioni, la capacit  di comunicare con il mondo, ricevendo in cambio una sensibilit  esasperata.
Le carezze per lui sono come schiaffi. Ogni vota che la sua pelle è sfiorata dalla stoffa dei vestiti, lui sente dolore; i suoni acuti sono come percosse date direttamente ai timpani; ascoltare il suono delle parole veloci è dolore, i toni alti sono dolore, gli abbracci sono dolore.
Eppure a vederlo camminare sembra che abbia ogni pezzo del corpo sistemato al posto giusto. Cammina spedito come se avesse un luogo da raggiungere. Il problema è che il suo viaggio non ha fine. Lui cammina senza fermarsi mai. E se si ferma lo fa per qualche istante, per qualche minuto, poi come se avesse lasciato qualcosa in sospeso da sbrigare, si alza di scatto e riprende deciso il suo viaggio verso una meta invisibile che solo lui può vedere. In realt  ciò che tradisce Ariel è il suo viso perennemente pallido, freddo come il ghiaccio. Non ci sono colori, non ci sono espressioni. Ariel guarda il mondo che lo circonda senza alcuna differenza. Non sorride Ariel, non si arrabbia, non ti guarda negli occhi. In realt  ogni cosa che guarda viene registrata, ogni particolare è immagazzinato nella sua mente, mentre il suo viso di marmo rimane fermo, imperturbabile, senza vita.
Quando parlai la prima volta con i suoi genitori, mi dissero che gli specialisti non erano concordi sulla sindrome da cui era affetto; per suo padre e sua madre Ariel era un dono di Dio, a prescindere dal nome della sua malattia. Perciò n l’autismo, n la sindrome di Asperger avrebbero potuto farli desistere dal fornirgli una vita normale, cos quando i tempi furono maturi venne iscritto a una scuola pubblica come ogni altro bambino della sua et .
Ci pensò la scuola a rendere speciale Ariel, fornendogli un insegnante di sostegno. E cos da quando fece il suo ingresso a scuola sono stato io a occuparmi della sua istruzione, del suo contenimento, della sua incolumit .
Ma oggi per Ariel è un giorno speciale.
Non ricordo se ho scritto bene la parola “Tai chi” quando ho mandato i materiali sull’argomento al padre di Ariel. Taichi, tai chi, taiji………
“Ormai non ha più nessuna importanza, la mail è stata spedita”.
Senza accorgermene ho superato l’uscita Arco Felice della tangenziale. Controllo l’orologio; sorrido non è troppo tardi, arriverò in orario.
Le ore di lezione scorrono veloci; i ragazzi hanno l’argento vivo in corpo mentre gli insegnanti sempre più stanchi si avvicendano nelle aule. Un collega tenta di coinvolgermi nelle sue idee per la gita di fine anno delle quinte. Io sono uno degli insegnanti più giovani e sicuramente sarò chiamato in causa quando si dovranno accompagnare le scolaresche. Ma io non riesco a concentrarmi su nulla perch oggi è un giorno importante per Ariel e forse anche per me.
Ricordo come fosse ieri il mio giorno importante; la prima volta che incontrai il mio Maestro. Lui non parlava bene l’italiano e cos dopo poche battute mi iniziò all’arte del tai chi. Fino a quel giorno gli unici cinesi che avevo incontrato erano stati quelli dei ristoranti e quelli dei negozi dei mille articoli.
Il mio Maestro invece mi sembrò subito speciale. Non era basso e magro come gli altri. Lui aveva un corpo atletico ed elastico e quando si muoveva nella stanza degli esercizi, irradiava intorno a s calore ed energia. La ripetizione di gesti morbidi, l’imitazione delle onde del mare, quella degli animali, i movimenti del baco da seta, mi fecero desiderare di fermare il tempo. E infatti da quel giorno la mia concezione del tempo mutò. La mente diventò calma e il mio corpo divenne fluido come un fre            6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
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Il tai chi mi insegnò la via della forza, la via della calma, dell’equilibrio e della scoperta del mio corpo di giovane uomo.

Ma oggi è il giorno di Ariel. Quando proposi al padre di provare qualche lezione con me, non mi sembrò molto convinto. Ma poi pensando che io non ero uno sconosciuto per suo figlio, accettò anche quella prova.

Avrei preferito mille volte per il bene di Ariel che fosse il mio Maestro a insegnarli l’antica disciplina dei monaci chaolin. Ma per Ariel ogni dettaglio nuovo, ogni nuova esperienza metteva a dura prova tutto il suo sistema di vita. Lavorare con il mio Maestro sarebbe stato una tortura, sarebbe stato un sicuro fallimento. Ariel avrebbe ripercorso velocemente tutti i fotogrammi della sua memoria nel vano tentativo di trovare il viso del maestro, il colore olivastro della sua pelle, i suoi occhi allungati, le sue oscure parole, fino a che la sua mente non sarebbe andata in tilt, e lui si sarebbe rifugiato in un luogo remoto senza suoni, senza movimenti, inaccessibile.
Quando arrivo nei pressi della palestra ho le mani sudate, Ariel gira intorno all’auto di suo padre. Il Maestro ci aspetta all’ingresso della sala, in piedi. Indossa il suo chimono bianco e il suo sorriso di benvenuto.
Dopo aver stretto la mano del padre di Ariel e salutato con voce delicata il ragazzo, si congeda e con gesti misurati ed entra nel suo studio.
Mentre mi tolgo i vestiti nello spogliatoio, sento le assi del parquet che cigolano a ogni passaggio di Ariel.
Ariel in quella stanza nuova sembra un animale in gabbia. Lancia contro le pareti suoni gutturali acuti che rimbalzano indietro amplificati.
Sono pronto. Ma invece di uscire mi accascio sulla panca. Sembra che Ariel con le sue grida compulsive di disperazione mi rimproveri “Stefano perch mi fai questo? Perch mi hai portato qui? Qui tutto è nuovo per me? Cosa mi vuoi fare? Perch sono qui?”

Maledico il giorno in cui ho immaginato che il taichi avrebbe potuto fare bene ad Ariel; maledico le mie pensate originali. Asciugo le lacrime ed esco dallo spogliatoio deciso ad annullare la lezione.

Invece quando sono fuori, Ariel che fino a quel momento era in piedi ad urlare contro la parete, si volta a guardare l’intruso. Mentre mi muovo verso il centro della sala, lo vedo fermo, immobile, e come se fosse rimasto abbagliato dal candore del mio chimono; la sua voce si arresta di colpo.

Non posso abbracciarlo, non oso parlare, perciò con un leggero sorriso lo invito a porsi di fronte allo specchio affianco a me. Lui docilmente mi segue.

Come era gi  capitato molti anni prima, comincia un altro giorno importante.
Senza l’ausilio della musica n quello delle parole comincio il movimento dolce e lento del baco da seta. Disegno per lui l’infinito; per lui con le mani e le braccia disegno cerchi nell’aria.
Ariel mi segue in silenzio. Più cerchi disegniamo più il suo corpo si scioglie.
Nella fretta ho lasciato la porta della stanza aperta e cos attraverso lo specchio vedo il padre di Ariel che cerca di arginare le lacrime che gli scorrono sul viso. E’ la prima volta in quindici anni che vede Ariel sereno, Ariel che non grida, Ariel che non da testate nel muro, Ariel concentrato a fare qualcosa.

Faccio ad Ariel un cenno di compiacimento con la testa. Gli sorrido, perch desidero che nel fotogramma di questo giorno ci sia il mio sorriso, anche se lui non lo ricambia e forse non lo comprende fino in fondo.

Nella stanza attigua sento il rumore dell’acqua che bolle, il tintinnio delle tazze nel vassoio, il fruscio delle foglie secche, il rumore del coltello che graffia la radice di zenzero; quello è il segno che il Maestro sta officiando il suo rito quotidiano.
Tra poco un aroma forte e speziato comincer  a diffondersi nell’aria.
Ariel non guarda lo specchio, non gli interessa incontrare il mio sguardo. Lui è ipnotizzato dai movimenti lenti e morbidi del mio corpo. La loro ripetizione lo rassicura sempre di più, rendendolo deciso e meno titubante rispetto al momento in cui abbiamo iniziato.

Intanto il Maestro ha portato il vassoio con il the e le tazze fuori dal suo studio.

L’arte del the ha bisogno di pazienza, di sapienza e di equilibrio delle parti. Di tempo circolare durante il quale, nonostante lo scorrere dei minuti sembra che all’esterno non accada nulla, e invece gli elementi si trasformano ciascuno secondo la propria natura; cos che il forte entra nel debole e il dolce nell’amaro, il caldo nel freddo e alla fine del procedimento nessun elemento sar  lo stesso di prima.

Anche per noi il tempo è divenuto circolare, apparentemente sembra che il tempo non sia passato poich le nostre braccia danzano seguendo costantemente gli stessi movimenti ma dopo questa prima lezione, noi non saremo più gli stessi.

Ariel avr  memorizzato le caratteristiche della calma e della morbidezza e da questo momento potr  riconoscerla in s e negli altri. Io avrò invece sperimentato la c            6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
BtnBBBBRpeBKKKBYBBTBB DBeS pHKBUNIONBLBonsapevolezza e la determinazione.

Quando il maestro posa il cucchiaino accanto la teiera, sento che la nostra lezione è terminata.

Chiudo questo giorno importante con un saluto antico; mi dispongo di fronte ad Ariel, e dopo averci riconosciuti attraverso uno sguardo aperto, inchino la mia testa, mentre le braccia che prima si allargano come per abbracciare l’universo, si piegano in avanti e poi si distendono, in modo tale che la mano destra chiusa in un pugno, aderisce perfettamente all’incavo formato dalla mano sinistra, mentre i pollici senza alcun desiderio di prevaricazione si accostano morbidamente l’uno accanto all’altro.
Ariel mi guarda forse perplesso, non ricambia il mio saluto, ma questo particolare è del tutto trascurabile. In fondo quella di oggi è stata la nostra prima lezione.

*L’AUTRICE

Paola Sacco, 46 anni, vive e lavora a Napoli anche se sogna di andare via. Laurea in lingue e letterature straniere, ama viaggiare e conoscere la gente dei luoghi che visita. Attualmente lavora dignitosamente per il Ministero dell’Interno, ma se avesse un’autonomia economica farebbe la libera viaggiatrice e scrittrice. Ama scrivere racconti che ascoltano il senso della vita attraverso le emozioni quotidiane delle persone.

Foto fonte instagram

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