Don Marcelo Tahuil è il parroco di Grottolella, in provincia di Avellino. Sta diffondendo un messaggio importante. La Chiesa può spogliarsi dei suoi beni materiali e divenire una comunità spirituale, la cui ricchezza può essere costituita dalla cultura, dai legami umani e dallo scambio relazionale.

In copertina: veduta dei monti innevati attorno a Grottolella. Sopra: don Marcelo Tahuil

Chi sei?
Sono il parroco del Comune di Grottolella, in provincia di Avellino. Il mio nome denota un’origine italo-argentina. Faccio il parroco in questa comunità da circa 18 anni, periodo che coincide con la mia data di ordinazione.
Come ti sei avvicinato alla Chiesa?
La vocazione al sacerdozio è arrivata nella mia terra natia, in Argentina, poco dopo aver concluso gli studi universitari. In una parentesi post-laurea, andai a fare una sorta di ritiro spirituale. Da lì, decisi di entrare in seminario.
Cosa hai studiato all’università?
Ho una laurea in antropologia. Ho studiato filosofia e, inoltre, ho una laurea in lingue. Prima di entrare in seminario, insegnavo inglese e francese. Apparentemente, queste cose non c’entrano nulla l’una con l’altra, però fanno tutte parte del mio percorso di vita. Il mio pensiero sacerdotale è maturato quando avevo 27 anni, ossia vent’anni orsono.
Perché hai scelto di divenire un sacerdote?
La mia parrocchia di origine, in cui prima c’erano i francescani, promuoveva diversa attività. Nel mio caso, fu la musica a farmi scoprire il credo. Uno dei frati della comunità era stato un bassista in una rock band e aveva deciso di avviare un corso di chitarra, strumento che a me interessava studiare. Conobbi così la realtà della chiesa parrocchiale. Nel mio paese d’origine c’erano 30 mila abitanti e una sola parrocchia. Le attività erano tante e c’era molto da fare. Dopo aver frequentato il corso di chitarra, a mia volta, misi su un piccolo gruppo rock.
Dove sei nato di preciso?
In un paesino che si chiama Embarcación, sito nella provincia di Salta, che dista 2600-2700 km da Buenos Aires. Salta è la provincia più grande dell’Argentina e confina geograficamente con Cile e Brasile. Dopo l’adolescenza, andai a studiare filosofia in una città universitaria, che si chiama Tucumán. Poi, mi trasferii a Buenos Aires. Lì vissi una piccola esperienza lavorativa come professore. Conobbi anche l’amore, stringendo una relazione sentimentale con quella che, all’epoca, divenne la mia fidanzata.
Hai viaggiato molto. Poi, sei divenuto parroco di un piccolo comune del Sud Italia. Come riassumeresti questa esperienza?
È abbastanza particolare, perché ho dovuto imparare a conoscere la gente e la realtà pastorale in modo diverso. Imparare l’italiano mi ha insegnato a pensare in una forma diversa. Parlare un’altra lingua, ti porta a pensare diversamente e a conoscere una cultura, una storia, una prospettiva diversa. Fare il parroco in una realtà piccola, dove tutti si conoscono, ti permette di creare una ricchezza più grande in una comunità. I rapporti non sono meramente istituzionali. Non apro e chiudo la chiesa come fosse un negozio, ma vivo fra la mia gente. Questa vicinanza consente di capire meglio la realtà individuale del fedele e di accostarsi al credente in una forma più specifica, che ti permette di dialogare la fede con un’altra persona. Per riassumere in una battuta, potremmo dire che la parrocchia risponde alle esigenze della parrocchia. Naturalmente, ci sono anche delle difficoltà. Ma i rapporti non restano formali, sono vivi.
Dopo la scomparsa di Benedetto XVI, nella Chiesa cattolica hanno ripreso forza delle polemiche contro Papa Francesco I. Cosa ne pensi in proposito?
Credo che sia una cosa triste. Certo, per un periodo abbiamo avuto due papi, uno emerito e l’altro in carica. Ma se si legge questo come un elemento di contrapposizione fra fazioni opposte, si rischia di cadere nella superficialità. È indubbio che Francesco abbia un carisma che non aveva Benedetto XVI. Tuttavia, è grazie a quest’ultimo, che si è creato un precedente importante. La possibilità di rinunciare al mandato se la salute non consenta di andare oltre. Riguardo alle polemiche, le differenze nella Chiesa sono antichissime. Basti pensare alle problematiche che Paolo aveva con Pietro per tante consuetudini che esistevano nelle prime comunità cristiane. Pietro, ad esempio, sosteneva che la comunità dovesse manterenere il sacerdote o il ministro. Paolo, invece, vi si opponeva, perché sosteneva che il custode del culto dovesse lavorare come tutti gli altri, come d’altronde anche lui stesso faceva.

Veduta di Grottolella, in provincia di Avellino (Questo file è licenziato in base ai termini della licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale)

E riguardo al dibattito odierno?
Le controversie che si sono create, fanno perdere di vista il grande lavoro che i due papi hanno fatto. Entrambi hanno provato a dare un messaggio alla realtà della Chiesa, che rischia di disperdersi, perché ci sono gruppi organizzati che si schierano dietro loro e potrebbero far degenerare la volontà degli stessi papi. Si pensi all’input che Benedetto XVI ha dato sullo IOR [Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana – N.d.R] e la pedofilia, temi ripresi e sviluppati da Francesco I, che ha parlato anche del ruolo della donna all’interno della Chiesa. Benedetto XVI, appena venne nominato papa, accolse un gran numero di vescovi e sacerdoti anglicani con il seguito delle loro mogli e delle loro famiglie. Può sembrare una sciocchezza se non si tiene in contro il rito latino del celibato dei preti. Queste cose, che non sono meramente formali, vanno a toccare i pilastri secolari del rito istituzionale su cui poggia la Chiesa Cattolica ed è fondamentale che si continui in questo solco per dialogare col segno dei tempi. Elementi di riflessione così importanti vengono messi da parte, perchè si creano polemiche e sotterfugi che non consentono di comprendere appieno il cammino evolutivo della Chiesa.  
Nel 2015, con l’enciclica Laudato Si’, Papa Bergoglio ha parlato della necessità di costruire un mondo più etico e più giusto. Possiamo ritenerla una critica al capitalismo?
In realtà, il testo di cui parli è un richiamo a Evangelii Gaudium, risalente al 2013. Quella fu la prima enciclica del Papa, che va ritenuta come il proemio del suo messaggio pastorale. Ci sono due aspetti di questa enciclica che mi preme sottolineare. Dal numero 24 al 27, Francesco ha parlato di una Chiesa “in uscita”, che ritorni missionaria e accorci le distanze con la comunità credente. Al numero 43, poi, il Papa ha detto anche che la Chiesa deve comprendere la necessità di cambiare non per modificare il dogma o la fede, ma per eliminare le cose secondarie che non servono più. In altri termini, non possiamo rispondere ai bisogni di oggi con le domande che ci si poneva 20 o 30 anni fa. Quindi, più che una critica a una postura o un sistema, il Papa ha parlato della Chiesa come una comunità spirituale che deve comprendere l’evoluzione della società, che rischia di divenire fine a se stessa.
In che senso?
In teologia, si parlerebbe di teologismo, che significa il fare qualcosa di fine a se stesso. Lo studio della teologia ci deve aiutare a comprendere, attraverso la fede, la realtà di Dio. Motivo per cui, quando il Papa dice che l’andamento istituzionale della Chiesa è divenuto vecchio, non vuol dire che stiamo andando a corrompere o distruggere la verità di Cristo, perchè il primo specchio della sua parola è l’uomo stesso.
Possiamo dire, allora, che Bergoglio sta cercando di portare avanti un rinnovamento della Chiesa?
Sì. Un mio carissimo amico è un pastore protestante. Un tempo, quando lui stava entrando nella chiesa evangelica e io mi stavo laureando in antropologia, mi chiese come si facesse a comprendere se una cosa veniva o no da Dio. Gli risposi che se una cosa viene da Dio, non deve fare male a nessuno. Papa Francesco sta dicendo che bisogna avere un equilibrio, che non può essere predominante, né che si può usare la natura annientandola, perchè senza di essa ci stiamo autodistruggendo. Il Papa vuol far comprendere che l’abuso dei nostri sistemi ci porterà alla rovina. Se non lo comprendiamo, vivere sarà sempre più difficile. Facciamo attenzione a quello che stiamo combinando, perché se esiste il capitalismo -o un altro “ismo”- esiste perché c’è qualcuno che ne sta portando avanti l’idea. Bisogna aprire gli occhi.
Il carisma e il messaggio pastorale di Papa Francesco I sono anche una risposta alla crisi della stessa religione cattolica?
Più che altro, il Papa ci sta trasmettendo una consapevolezza. Bisogna prendere la realtà della Chiesa e non farla funzionare come un’istituzione, quanto piuttosto come una comunità di credenti. La situazione del nostro tempo ci deve far comprendere come custodire la verità, perché si corre il rischio di vedere la Chiesa come quella che è in questo momento. Essa non dev’essere un’istituzione meramente politica – nel senso della polis greca, fare politica nella società – bensì deve comprendere che bisogna trasmettere quel mistero di fede che l’è stato lasciato. Nel corso della sua storia, la Chiesa ha confuso la sopravvivenza con la custodia di questo tesoro. Naturalmente, la religione cattolica è anche un’istituzione che si è consolidata nel corso del tempo. Non ci dimentichiamo che, nei primi secoli, le comunità cristiane erano considerate delle società illecite, viste come un pericolo dal punto di vista della stabilità politica del potere. Ma il pericolo non era costituito dalla loro capacità economica o militare, piuttosto dal proposito di liberare l’uomo dal peccato. Al principio, la Chiesa è nata per dare alla coscienza dell’uomo la forza necessaria per potersi opporre a tutto ciò che distrugge l’uomo in sé, cominciando proprio dal peccato.
Alle sue origini, però, il Cristianesimo era una religione che rivolgeva il suo messaggio di redenzione agli ultimi e ai diseredati. Non credi che, fra i problemi attuali della Chiesa, vi sia l’accumulo di ricchezze, immobili e beni materiali?
Penso che questo sia uno dei problemi più grandi e antichi della Chiesa. Un vincolo materiale così forte non ti permette di essere fedele a questa verità. La Chiesa però non deve rivolgersi soltanto agli ultimi, ma a tutti, intendendo qualsiasi ceto sociale e necessità dell’uomo. Il suo obiettivo infatti è la redenzione dell’uomo. Nel tempo, la Chiesa ha accumulato tantissime cose. Ciò mi porta a ritenere che abbiamo un sacco di cose non necessarie, che più che essere un patrimonio o una ricchezza, sono un ostacolo.

Ancora uno scatto di don Marcelo [Photo credit: Marcelo Tahuil e Sabino Battista “Scatto matto”, che si ringrazia per l’amichevole collaborazione]

Questa riflessione si aggancia a quel tentativo di rinnovamento di cui parlavamo prima?
Sì. In particolare a quel paragrafo 43 dell’enciclica Evangelii Gaudium che citavo. Tutti questi elementi ornamentali alla fine non ci portano da nessuna parte. Il bene materiale in sé per sé è un valore economico, che non permette di andare oltre ed essere liberi. Molte volte siamo così pesantemente vincolati a questi elementi che non si riesce a comprendere fino in fondo la buona novella. Al principio del pontificato di Benedetto XVI, questo è stato uno dei problemi più grandi da affrontare. Lui mosse i primi passi affinchè, ad esempio, lo IOR fosse più trasparente e i conti dei vescovi e delle diocesi non venissero più occultati. Dopo questo provvedimento, quando il Papa tornò in visita in Germania, molti vescovi e prelati si rifiutarono di stringergli la mano. Il che ci porta a riflettere sul fatto del come la parte materiale abbia corrotto la componente etico-morale degli uomini di Dio.
Perché la Chiesa non riconosce nel suo canone ufficiale i Vangeli apocrifi?
Per poter spiegare bene la questione, faccio un piccolo preambolo. Quando noi prendiamo la Bibbia, stiamo leggendo un testo particolarmente complesso, che raccoglie l’esperienza delle comunità cristiane dalle origini fino ad oggi. Stiamo parlando non soltanto di secoli e secoli di storia, ma anche di centinaia di autori diversi. Nei primi secoli, le comunità cristiane trasmettevano la parola di Dio attraverso la tradizione orale ovvero narrando i fatti di Gesù Cristo, la sua dottrina, i suoi miracoli. I cristiani, dunque, ne custodivano il magistero in forma orale. Quando la Chiesa compì questo passaggio dalla tradizione orale a quella scritta, si verificò la necessità di poter comprendere cosa di quello che veniva tramandato avesse effettiva attinenza con Gesù Cristo oppure no. Tutti i testi raccolti nella Bibbia ufficiale hanno subito una forma di autentificazione. Il contenuto degli scritti apocrifi non riguarda – come erroneamente s’intende nell’immaginario collettivo- qualcosa che è stato vietato o nascosto. In molti casi, nei Vangeli apocrifi vi sono scritti gnostici o eretici, che non c’entrano nulla con la comunità cristiana.
Ci puoi fare un esempio?
Nelle lettere di Paolo, nel cosiddetto Corpus paolino, ci sono 13 lettere, di cui 7 originali. Le altre sono le deuteropaoline, scritte dalle stesse comunità che Paolo fondò. Le sue lettere furono scritte in un modo preciso. Ad esempio, le lettere ai Corinzi, ai Romani, agli Efesini, ai Galati, che iniziano e finiscono nello stesso modo. Tuttavia, non fu Paolo a scrivere di suo pugno quelle lettere. Molto probabilmente l’unica che scrisse fu quella a Filemone, un testo di due o tre pagine, quando era in prigione. Le altre erano tutte cose che lui dettava agli agiografi, che le trascrivevano e tramandavano, arricchendole nel corso del tempo. In tale ottica, è stupenda la lettera che Paolo rivolge ai Corinzi, in cui ci sono cose che non concordano l’una con l’altra. Questo vorrebbe dire che quel testo è un falso? Assolutamente, no. Perché la lettera è stata scritta nel corso del tempo.
Per quale motivo allora nella Bibbia sono contenute alcune cose e non altre?
Se si prende in esame la prima lettera di Paolo ai Corinzi, i capitoli che vanno dal 5 all’8, parlano delle specifiche problematiche che c’erano a Corinto: incesto, tradimento matrimoniale e problemi economici. Questa situazione si era generata dall’atteggiamento che avevano assunto i cristiani vivendo nella forma sbagliata. Loro ritenevano imminente la seconda venuta di Gesù Cristo e si erano lasciati andara a una forma di vita dissoluta. Adesso prendiamo un attimo in esame Luca, autore degli Atti degli apostoli, contemporaneo di Paolo. Negli Atti degli apostoli si sostiene che Paolo abbia compiuto tre viaggi, ma in tutte le lettere di Paolo, non si parla mai di nessun viaggio.
Non è una contraddizione? No. Dobbiamo interpretare il senso di questa cosa. A Paolo non interessava parlare dei viaggi compiuti, a Luca invece interessava specificare che la buona novella era giunta in altre terre proprio grazie alle missioni di Paolo. Questo ci fa capire che, all’interno del testo di San Paolo, troviamo due momenti storici: quello della predicazione orale e le lettere scritte, che sono risposte alle problematiche che esistevano nelle comunità cristiane. C’è molto materiale che non fa parte del Corpus paolino per il semplice motivo che se si fa l’analisi di quei testi, secondo le più moderne tecniche letterarie, li si deve sottoporre a un rigoroso vaglio storico-critico per dedurne la fondatezza.
Quindi, la Bibbia e gli Atti degli apostoli sono stati riorganizzati nel tempo per renderne deducibile il contenuto?
Sì. Secondo le tecniche del Dei Verbum, grazie alle quali si deduce il tempo in cui è stato scritto un testo e se gli elementi di quel tempo sono concomitanti al testo. Questo proprio per vagliare la fondatezza dei testi trasmessi dalla tradizione orale a quella scritta. Una volta fatto questo, si passa alla parte canonica, la cosiddetta parola di Dio, che contiene il Vangelo, la buona novella. Per farlo, bisogna analizzare il singolo testo e correlarlo a tutti i testi antichi e moderni. Quindi, esiste un metodo molto severo per l’autenticazione degli scritti.
Allora, com’è possibile che nell’Antico Testamento ci siano il mito e la favola?
Bisogna tenere conto che il Popolo d’Israele, nel suo divagare per la Mesopotamia, così come raccontato nel libro dell’Esodo, assorbì di tutto e di più. Il mito e la favola erano i generi letterari dell’epoca. Il succo è che gli scrittori della Bibbia hanno riorganizzato nel tempo il contenuto cristiano per renderlo possibile agli altri. Ecco perché nella Chiesa si parla dei testi apocrifi, non per debellare chissà quale mistero o persecuzione. Semplicemente, si è verificato che il loro contenuto non c’entrava nulla col messaggio di Gesù Cristo.
Tuttavia, nel Vangelo di Maria Maddalena, che è un testo gnostico e apocrifo, si esalta la figura della donna ritenuta più vicina a Gesù Cristo. Secondo te, è possibile immaginare un ruolo più importante per la donna nella Chiesa, magari come papessa?
Se non fosse stato per la donna, la Chiesa non esisterebbe. Nelle grandi abbazie, chi comandava realmente al di sopra di vecovi e abati, erano le madri di questi conventi. Oggi come oggi, bisogna capire che la donna può fare tanto di più nella Chiesa. Abbiamo tanti esempi conosciuti di donne che hanno fatto opere immense e giganti, come Madre Teresa di Calcutta, che ha realizzato il messaggio dell’incarnazione per coloro che non avevano possibilità. Penso anche alle suore francescane del mio Paese. Decine di anni fa, mi feci portavoce di una loro richiesta. Raccolsi soldi in Italia, ma non per darli a loro, bensì per aiutarle a costruire un polo dove imprarare i mestieri. Molte persone, in un un secondo momento, sono andate lì a studiare. Questo per dire che, grazie all’opera delle donne nella Chiesa, tantissimi non dipendono dall’assistenzialismo, ma tornano a diventare protagonisti della propria esistenza e della propria dignità di essere umano. Sarebbe un errore per la Chiesa, intesa come istituzione, non ponderare e dare il giusto valore alla donna in sé per sé. C’è la possibilità di poter crescere insieme, rispettando ciò che sono le capacità di ognuno, perché c’è tanta ricchezza nella diversità fra uomo e donna.
In America latina ci sono molti movimenti popolari e istanze nate dal basso. Anche le comunità religiose di base svolgono un ruolo importante in questo proceesso. Cosa ne pensi della Teologia della liberazione?
Direi che esistono le teologie della liberazione, dato il gran numero di correnti di pensiero al riguardo. Quella più antica si trova nel Libro dell’Esodo, quando il popolo d’Isreale doveva scappare dalla schiavitù e dalla persecuzione dell’Egitto oppure da quella dell’impero assiro-babilonese oppure de quella dell’impero romano. La liberazione forma parte del messaggio cristiano, come il liberarsi dal peccato e dalla morte. Questo concetto è in un certo senso biblico, ma ha una radice antropologica: la liberazione va di pari passo con la dignità, non con l’oppressione.
Possiamo interpetare anche questa come una possibilità di rinnovamento per il Cristianesimo?
Il problema è che potrebbe diventare un teologismo, una cosa fine a se stessa. Secondo me, le teologie della liberazione e il messaggio cristiano si confondono. Il rischio della Chiesa è di rimanere fossilizzata nell’istituzione, quello della teologia della liberazione è di esasperare il ruolo dell’uomo. In Argentina, esiste una realtà: el cura villero, il prete delle favelas, che lascia la parrocchia per andare a vivere tra la gente poverissima. In quel contesto, il parroco deve lavorare per vivere e lottare tutto il tempo contro tutto ciò che fa male, come la mafia, il potere della droga, la prostituzione, il traffico di minori e organi. Là si mette alla prova la verità del Vangelo. Non c’è spazio per lo slogan ed è durissimo combattere. Alcuni di questi sacerdoti erano molto amici di Bergoglio, quando era Cardinale primario in Argentina. Tra l’altro, il Papa fu anche un mio professore all’università. Se vediamo la teologia della liberazione come una forma attraverso cui la Chiesa ha potuto capire il segno dei tempi, e non per far claudicare il Vangelo, può essere un’importante possibilità di evoluzione.
Viviamo in tempi di guerra, di crisi economica e morale. Un altro mondo è possibile, ponendo al centro non il profitto, ma l’uguaglianza e la giustizia sociale?
Più che possibile, è necessario. Anche perché non ci sarebbe il religioso se non ci fosse l’uomo. Il futuro è una sorta di testamento che c’è stato lasciato. Nella storia dell’uomo, molte volte i cattivi hanno messo i bastoni fra le ruote ai buoni. La stessa Chiesa potrebbe compiere un passo in avanti svincolandosi da tutto ciò che la trattiene al potere terreno. Quando iniziò il perido della Controriforma, dopo che la Riforma protestante in Germania si oppose alla realtà della Chiesa, alcuni predicatori parlarono della necessità di recuperare una realtà completamente spirituale. Secondo alcuni di questi, la Chiesa doveva essere addirittura gestita dallo Stato. Tornando alla domanda, la Chiesa dovrebbe avere il coraggio di spogliarsi della istituzionalità, che non ci porta lontani, comprendendo l’importanza delle comunità di base. Se potessimo dialogare con l’uomo, potremmo far comprendere che il messaggio cristiano o il bene dell’umanità passa per le cose più semplici. Piuttosto che prediligere il potere politico, economico, militare, dovremmo far comprendere la ricchezza che ciascuno di noi porta, perché nel confronto c’è sempre qualcosa che si può scambiare facendoci crescere.
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