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Il dipinto “Volo mistico”

Premetto. Conosco la Cina e l’arte cinese alla pari di quelli che non conoscono la Cina e l’arte cinese, che non sono mai stati in Cina, non ne intendono la lingua e sanno soltanto che in antico ha fatto molte invenzioni e che ora è diventata una potenza economica e commerciale tra le prime nel mondo.
I cinesi sono dovunque. Ce ne accorgiamo soprattutto frequentando la cucina cinese a Roma, a Londra, a New York, a Napoli e vedendo il made in China su oggetti e abiti. Dell’arte cinese ricordo, vagamente, l’ “Esercito di Terracotta”, visto a Roma, e le sculture di divinità terribili, divini draghi, che sono state esposte nel Museo Archeologico napoletano.
Mi dissero che quegli orribili draghi erano divinità buone che uccidono il male e non capii: anche la nostra Madonna e san Michele uccidono il maligno ma non hanno quel terribile aspetto.
Una tre giorni sulla cultura cinese a Napoli, qualche tempo fa, ci ha mostrato opere di cinesi contemporanei che hanno copiato precisamente i paesaggi, disegnati in stile “calligrafico”, eseguiti dagli antichi cinesi millenni fa. Tentavano, questi pittori contemporanei, così ci dissero, di rinnovare l’arte e la cultura cinese rifacendosi alle sue antiche origini.
La ripetitività sembra, a noi occidentali, connaturata nei cinesi. Una mia, non molto lunga, frequentazione di lezioni di tai chi di maestri cinesi mi fece capire che bisogna ripetere moltissime volte uno stesso gesto per eseguirlo alla perfezione. Vi rinunciai, non avevo quella esemplare pazienza, pure se trovavo nella ripetitività una sorta di meditativa concentrazione spirituale.
E forse uno stato d’animo simile esiste anche negli operai cinesi durante il loro lavoro ripetitivo, che sembra ispirargli una sorta di meditazione confuciana sulla utilità del lavoro per se stessi e per la propria comunità. Infatti, non so se penso giusto, considero il popolo cinese fondamentalmente religioso.
Nella mia casa da ragazza c’erano due magnifici vasi Ming e il libretto rosso di Mao.
Nella mia immagine della Cina c’era il grande impero di un imperatore divinizzato, che poi risiedette nella città proibita (non è esclusa da questa immagine il film “L’ultimo Imperatore” di Bertolucci).
E mi sembra che il culto della personalità dovuta a Mao Tse Tung, pur nella sua asserzione di ateismo, consistesse nella concezione di un essere soprannaturale, in una sorta di fede che a volte rasentò il fanatismo. Altrimenti inspiegabile.
Ai tempi di Mao, l’arte cinese si rifaceva al realismo russo dell’era Stalin. Poi negli artisti cinesi contemporanei si fece strada la pop art, in una espressione di odio-amore per la civiltà occidentale.
In questi giorni a Firenze, a Palazzo Strozzi, c’è la mostra di Ai Weiwei, artista cinese del momento, celebre in Italia, che negli anni ’80 si mise a copiare Duchamp e che, poiché criticava il Governo cinese, fu anche imprigionato. E che, scampato dalle nostre parti, ha continuato a sbattere in faccia agli occidentali i loro difetti; e loro lo applaudono.
Pur se ignoranti della Cina, sappiamo che già da qualche tempo vi sono richiesti e ben pagati disegnatori italiani, e anche artigiani, tagliatori e sarti napoletani, un’eccellenza in questo campo.

Ultimamente è stata data notizia che le richieste di iscrizioni alle accademie d’arte italiane da parte di studenti cinesi, pagate dal loro Governo, hanno raggiunto il 30% degli iscritti.
Così ci siam fatti l’idea che i cinesi abbiano desiderio di captare l’arte e la civiltà occidentale. In seguito all’accordo siglato dal Governo Berlusconi con la Cina nel 2010, una sezione nel Museo Nazionale d’Arte di piazza Tienanmen (20.000 visitatori al giorno) è sempre pronta a ospitare mostre di opere d’arte italiane.
Finora vi sono state le mostre di arte fiorentina, di arte romana e, ultimamente, di quella veneziana. In cambio vi sono state le mostre di arte cinese a Roma, a Palazzo Venezia.
In questo contesto si inserisce la mostra, al Museo Archeologico di Napoli, delle opere di Yang Xianfei, che risentono di una temperie in cui si cerca di dotare la Cina di una valida cultura e di un linguaggio attuale per esprimerla.
Dalla biografia di questo artista apprendiamo che ha frequentato la scuola d’arte a Pechino e poi ha studiato a lungo gli affreschi che si trovano nelle grotte di Mogao, nei pressi della città di Dunhuang, al limite del deserto, lungo l’antica Via della Seta.
Qui, per secoli, i viandanti si fermavano e dipingevano affreschi, in una sorta di preghiera alla divinità. La pregavano di continuare il viaggio sani e salvi dai pericoli oppure la ringraziavano per essersene scampati.
Questi viandanti erano di varie religioni ed esprimevano una loro fede profonda.
Erano taoisti, confuciani, buddisti, cristiani e poi, naturalmente dopo il settimo secolo, islamici. Ora sembra che la fede espressa in queste pitture si sia, nel corso dei secoli, come dire?, sedimentata nella città di Dunhaung. A queste pitture molti artisti contemporanei si sono ispirati.

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L’artista cinese al museo napoletano

Gao Tianmin, direttore esecutivo dell’Istituto Belle Arti dell’Accademia nazionale cinese della Pittura, afferma che Dunhuang è un elemento fondamentale dell’eredità della cultura nazionale e che ha contribuito in modo rilevante all’evoluzione degli artisti cinesi. «Ma – scrive Gao Tianmin nel catalogo della mostra- Xianfei, a differenza di altri, riesce a intrecciare l’esperienza individuale con i significati culturali nazionali che l’arte di Dunhuang contiene» .
«Accostandomi all’arte di Dunhuang, sono entrato in contatto con la molteplicità culturale mondiale; esplorando la via della cultura e dell’arte, attraverso la poesia dei simboli, ho realizzato la terra pura che avevo nel fondo dell’anima… ho compreso l’arte fino a raggiungerne la vera essenza».
Queste parole di Xianfei sono riportate da Gao Tianmin, che si ferma a descrivere e a commentare un dipinto dell’artista esposto in mostra: “La Porta di Dunhuang”.
E’ un rettangolo diviso verticalmente in tre parti, un trittico. Vi è rappresentata una teoria di sette donne, che a noi possono ricordare, anche per l’aureola sul capo, “la teoria delle beate” nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo (VII secolo) a Ravenna, oppure “le donne di Ruvo” (IV secolo a. C.) del Museo Archeologico napoletano, per la vivacità del cammino, oppure le vergini del Paradiso islamico.
Ma questa processione è troncata in due da un inserto centrale che fa si che la quarta donna sia divisa a metà. L’inserto consiste in un rettangolo buio, più alto che lungo, dal quale è esclusa, come nella pittura caravaggesca napoletana, qualsiasi definizione spaziale.
Vi si intravedono a malapena un viso e due mani in preghiera. Sembra che sia l’immagine dello stesso Xianfei. In un trittico cristiano, invece, vi si dovrebbe trovare l’immagine di Cristo. Ma il cristianesimo non viene per questo negato, giacché per i cristiani ogni uomo è un Cristo, un figlio di Dio.
Così potrei dire che qui l’immagine di Xianfei sia un elemento esemplare della comunità umana. L’oscurità del riquadro sembra rappresentare la profondità della meditazione del buddismo tibetano (personalmente ne sono stata adepta per anni), che si riallaccia anche alle parole di un Santo cristiano, Sant’Agostino: “Noli foras ire in te redi in interiore homine habitat Veritas”. (=”Non andare fuori di te, ritorna in te, nell’intimo dell’uomo abita la Verità”).
E la Verità è Dio stesso. Le mani unite in preghiera esprimono la fede in un essere superiore e congiungono cristianesimo, buddismo, confucianesimo e taoismo. Possiamo anche osservare che l’essenza della religione buddista, nell’arte di Xianfei, lascia spazio alla fioritura della civiltà cinese contemporanea.
Infatti, in molte delle sue opere, la sua meditazione non lo porta a una raffigurazione ispirata ai mandala stellati o al loto dai mille petali della meditazione buddista ma a una visione cosmica di uno spazio in movimento, in cui proietta la sua visione della realtà. Mentre, viceversa, sembra inserire la realtà della moderna attiva civiltà cinese nella sua ampia visione, che sembra esprimere il desiderio di espansione della Cina attuale.
Molte sono le suggestive immagini della dea volante nelle pitture di Xianfei esposte all’Archeologico: Dea volante-infinito,Dea volante -ascesi, Dea volante meditazione, Dea volante-melodia… Esse sono rappresentate mentre si muovono in uno spazio in movimento.
Ma, guardando con più attenzione queste immagini, comprendiamo che la figura della dea non è divisa e diversa dallo spazio in cui si muove, ma ne è, come dire, lo spirito divino, l’energia che lo anima.
Gao Tianmin ha definito Xianfei “pellegrino”. «L’espressione pellegrino – ha scritto- rappresenta l’essenza della ricerca interiore che l’artista intraprende in maniera assidua, partendo dall’insoddisfazione dei propri limiti, per avventurarsi, “peregrinare” in uno spazio più ampio».

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“Ascesi”, un altrp dei lavori in mostra

L’estraneità alla nostra tradizione culturale e artistica può portare negli stranieri un certo disorientamento e suggerirgli che la vera arte italiana sia soltanto quella nata, con la scoperta della prospettiva toscana, nella Firenze del Quattrocento e da qui poi diffusasi in Europa.
Ma la prospettiva toscana consiste nel considerare il mondo come una scatola chiusa, vista dalla mente di un uomo solitario, che ne può disporre a suo piacimento. E forse lo spazio-scatola di un uomo solitario non è quello che la Cina cerca.
Essa invece sembra cercare una cultura che unisca il popolo, che lo tenga unito, che gli ridia i valori comunitari nazionali e i valori spirituali degli insegnamenti di Confucio.
La Cina di oggi sembra confutare il ristretto spazio a tre dimensioni del vecchio Euclide (IV -III secolo a C.) e cercare uno spazio ampio in cui espandersi, in una prospettiva comunitaria. Questo sembra essere il senso della ricerca di Xianfei.
Certo, divinità benevole hanno condotto Xianfei a Napoli, perché Napoli è la meta del suo peregrinare. La realizzazione di uno spazio che si muove, che è infinito e concluso, (come l’infinito concluso di alcuni enti frattalici contemporanei) è proprio della pittura più autenticamente napoletana fin dalle origini.
L’arte napoletana di un naturale spazio in movimento fu tenuta in disparte, perché non rispettava le regole prospettiche toscane, e fu considerata arretrata. Ma aveva le regole della sua propria prospettiva, che guarda un ampio spazio in movimento da innumerevoli punti di vista. Una prospettiva comunitaria.
Mentre la pittura tradizionale toscana, pur con la sua armonia e la sua indiscussa bellezza, con il suo spazio euclideo ha ormai fatto il suo tempo, l’arte napoletana è più che mai attuale. E non è un caso che Albert Einstein abbia scritto “Le origini del nostro pensiero sono nella Magna Grecia”.
Quello che Xianfei ha cercato è qui, nella prospettiva napoletana, che realizza, con il suo movimento, uno spazio a 4 dimensioni, lo spazio-tempo, che trovò, nelle settecentesche vedute napoletane del Settecento, quella precisa definizione matematica che oggi è rappresentabile in grafic computer. (cfr. “L’arte a 4 dimensioni nell’arte napoletana- la scoperta di una prospettiva spazio-tempo” di A. Dragoni- ed. Tullio Pironti).
Una civiltà nata dal mare non poteva essere diversa Ffino al 31 ottobre al Museo archeologico nazionale di Napoli
Per saperne di più
Museo Archeologico

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