Le disobbedienti/ Il lutto e i ricordi delle 4 donne che amarono Albert Camus. Marito, padre e amante disegnato da sofferenza, rammarico e gelosia

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Albert Camus muore in un incidente stradale il 4 gennaio del 1960, alla guida l’editore amico Michel Gallimard che gli sopravviverà per pochi giorni. Lo schianto contro un platano è l’incipit del romanzo “Vedove di Camus” scritto da Elena Rui e pubblicato da L’Orma editore.
Il racconto dell’autrice dà voce alle quattro donne che hanno amato lo scrittore, premio Nobel per la letteratura (1957), che con loro intratteneva, contemporaneamente, profonde relazioni: la moglie Francine Faure e le amanti Catherine Sellers, Mette Ivers, Maria Casarès.  
Rui costruisce, per ognuna di loro, un monologo interiore attraverso cui ripercorrere i ricordi, quattro diverse versioni che concorrono a disegnare un profilo dello scrittore dalla sua infanzia di pied noir in Algeria, che lo portava a ricercare una dimensione Mediterranea come parte identitaria irrinunciabile, agli ultimi giorni.
Il romanzo ha una dimensione intimista in cui si scandagliano i sentimenti delle protagoniste, il loro incrociarsi e incontrarsi, l’essere insieme in Provenza nella casa di Lourmarin, buen retiro acquistato con i soldi ricevuti per il premio Nobel, la condivisione dell’eredità derivante dalle lettere e le memorie e l’aver vissuto esistenze incrociate fonte di sofferenza, rammarico e gelosia per l’una o l’altra.
Quel che emerge dalle pagine non è il pensiero filosofico o politico di Camus, la sua partecipazione alla Resistenza, la vicinanza di idee con Hannah Arendt o la rottura con il gruppo di Les Temps Modernes guidato da Jean Paul Sartre ma le sue dimensioni esistenziali di marito, padre e amante: quel che l’autrice racconta è l’uomo, la persona.
Il rispetto e il pudore per le vite di cui racconta Rui lo dichiara in premessa: ‭«Abbandonarsi alla scrittura è stato possibile solo dopo aver capito che entrare in queste vite sarebbe stato solo un modo diverso, non ancora esplorato, per proseguire un discorso sull’amore iniziato in altri testi». È questo il tema: l’amore tra un uomo e le donne della sua vita. Di Francine Faure non si può tacere l’atipicità di un matrimonio lontano dalla monogamia e i dettami sociali dell’epoca: ‭«Sua madre e sua sorella Suzy le chiedevano continuamente come potesse sopportare le sue infedeltà, gliele ricordavano, le additavano, le sottolineavano, ma non capivano che l’equilibrio su cui si fondava la loro coppia stava là: nella tenerezza suscitata dall’inadeguatezza dell’altro, un sentimento che aveva qualcosa della misericordia. Albert non era a suo agio nella promiscuità della vita familiare, con il rumore, le continue interruzioni dei bambini…eppure nel quotidiano mostrava un senso pratico che a lei mancava. Francine provava un’esitazione costante, patologica nelle scelte della vita domestica, ma non riusciva a inventarsi fuori di casa; per compensazione, quindi, si faceva carico di un compito per lui impossibile: esserci. Le loro insufficienze erano complementari».
Il ritratto della moglie è di una donna bella, aggraziata, ma tendente alla depressione, consapevole della presenza di altre relazioni sentimentali ma disposta a tollerarle in un rapporto basato su quell’equilibrio che ogni coppia raggiunge e all’esterno, quasi sempre, appare incomprensibile.
Nelle pagine dedicate a Mette Ivers mi colpisce una considerazione legata al passare del tempo, quando la nostalgia conduce i nostri passi a ricercare momenti ed emozioni del passato in cui abbracciare fantasmi: «Si succedono infiniti avvenimenti in ottant’anni, ma il nostro nucleo resta identico: ci parliamo con la stessa voce. Non impariamo niente, a parte, forse, una forma di pazienza e di distacco: acquisiamo la consapevolezza che troppe cose non dipendono dalla nostra volontà. […]  Ci è ritornata due settimane fa, al Flore. Una pessima idea, in definitiva: anche le cose che restano uguali sono diverse a distanza di sessant’anni. Un santuario, un luogo di culto per turisti pronti a spendere sette euro per un café crème. Un luogo pieno di gente ma senza vita, dove non è riuscita a riproiettare il primo sorriso malizioso di Camus»
È vero, le ingiurie del tempo non permeano il ricordo e la voce che sentiamo rimane quella della gioventù, così come accade per le immagini delle fattezze, non ricordiamo i volti con i segni del tempo ma quelli dalla pelle liscia e fresca in cui anche il corrucciamento più caparbio non lascia traccia.
Nelle pagine in cui la voce che si ascolta è quella di Maria Casarès, l’attrice spagnola anche definita l’Unica tra le amanti, leggo una verità che colpisce, come un’epifania, quanti ricevono il dono di vedere i personaggi partoriti dalla propria mente prendere vita nella recitazione: «Non a caso Camus, senza rilevare la causticità delle critiche sui giornali, si era limitato a dichiarare in un’intervista per «Le Figaro»: «Ho avuto la gioia più grande per un autore: quella di ascoltare il mio testo recitato da un’attrice meravigliosa, con il tono esatto con cui lo avevo immaginato».
Concordo, all’ascoltare la voce di un personaggio al di fuori della propria mente – ed esattamente come aveva popolato i nostri pensieri nel prendere forma sulla pagina – si viene assaliti da una incontenibile felicità, è il riconoscimento pubblico tributato a una propria creatura, è il debutto di una identità partorita dalla nostra mente nella società delle persone reali. Maria e Albert avevano una matrice comune: esiliati dalle proprie origini, Maria dalla Spagna da cui era scappata e lui dal Mediterraneo, entrambi avevano dovuto imparare la lingua francese, entrambi ricordavano il sole e il salmastro dell’infanzia, entrambi avevano dovuto lavorare duramente per conquistarsi uno spazio professionale.
Albert Camus fu un uomo dal carattere complesso e chi voglia conoscere le idee, convinzioni e principi che lo accompagnarono potrà farlo leggendo i libri che ha scritto, in questo romanzo troviamo altro, tra queste pagine è personaggio comprimario, non protagonista, in questo romanzo ascoltiamo il lutto e i ricordi delle donne che lo hanno amato.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO
Elena Rui
Vedove di Camus
L’Orma editore
Pagine 180
euro 18

L’AUTRICE
Elena Rui, nata a Padova nel 1980, vive in Francia dal 2005. Ha insegnato italiano ad Albi, Tolosa e Parigi. Ha già pubblicato La famiglia degli altri (Garzanti, 2021) e la raccolta di racconti Affetti non desiderati (Arkadia, 2024). Vedove di Camus è il suo ultimo romanzo.

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