«Grazie Maurizio, per aver dato voce alla mia sofferenza e per aver restituito dignità a una memoria che si era persa nel tempo. Adesso la mia anima è liberata dalla polvere dei secoli e io torno a respirare nella verità, come donna e madre».
Sembra di sentire una delicata voce femminile sussurrare queste frasi quando si chiude il libro La vera storia di Martia Basile scritto da Maurizio Ponticello, dopo averne centellinato fino all’ultima parola le oltre trecento pagine.
Un romanzo storico poderoso che prende il via da un popolare poemetto seicentesco, a lungo ristampato, letto dall’autore, appassionato conoscitore della propria città, Napoli, cui ha dedicato molti saggi.
Maurizio non è attratto dall’opera del cantastorie Giovanni della Carrettola che immortala l’epilogo della giovane donna condannata a morte per aver ucciso il marito, decollata davanti a una folla immensa, dopo essere stata anche accusata di aver suggellato un patto con il diavolo.
Ma in sogno, in una notte di piena estate, la silhouette di Martia dai capelli d’oro gli si svela chiedendogli giustizia e gelandogli il sangue, malgrado l’afa.

Qui sopra, la copertina del libro.
In alto, l’affollata (ma con distanziatamento)
prima presentazione napoletana in tempo di Covid
alla libreria Iocisto, all’aperto sulla gradinata
del Vomero


Da quel momento, la visione gli suggerisce l’impegno narrativo e lo spinge alla ricerca, per approfondire le vicende tramandate dal rapsodo. Rintracciando documenti, volumi, testi giuridici tra archivi e biblioteche, Maurizio ripercorre il dolente itinerario della sposa bambina nella città del viceregno.
La prima data che s’incontra, tuttavia, è il 31 dicembre 1631. Davanti alla chiesetta trecentesca di Sant’Antuono al Bùvero, il cantore Giovanni della Carrettola invita i passanti a fermarsi per ascoltare le avventure di Martia Basile affinché non si spengano nel nulla come una notte senza luna.
Sono trascorsi 28 anni da quel 7 maggio 1603 quando il boia fece piombare la lama sulla testa femminile già mortificata dalla feroce prigionia. E il pubblico commosso si allontanò dalla piazza dell’esecuzione mentre Giovanni, attraversando una stradina, fu travolto e paralizzato a vita da un carrozza in corsa.
Il calvario di Martia comincia, invece, nell’autunno del 1594. Ha solo 12 anni quando il padre, Belisario, la sacrifica in cambio di censo e ducati, facendola accasare con un vedovo cinquantenne, Don Domizio Guarnieri, detto Muzio, dalla pancia bitorzoluta e dai solidi contatti con i notabili della corte spagnola.
Una cerimonia e un banchetto di nozze che somigliano a un rito sacrificale: la vittima è un’adolescente imbambolata che non si è ancora resa conto della brutalità cui è stata destinata da quella sera stessa.
Spezza il cuore la rappresentazione di uno stupro legalizzato che offre fiato a tutta la drammaticità dell’azione. Ma anche alla disperazione di una ragazzina che fino a poco tempo prima aveva studiato con una suora orsolina, imparando a leggere, scrivere, pensare.
Martia sgrana gli occhi, cerca di urlare, mentre il consorte le offre subito un assaggio di quello che sarà l’unione coniugale: dopo una sberla, la bacia con crudeltà e l’agguanta, incurante del dolore di quella dodicenne che si rifugia nei pensieri dell’infanzia per sopportare il peso di una bestialità. Fiore innocente calpestato, rivive la sua ingenuità nell’immagine d’inchiostro.
Brilla Martia, per il carattere indomito, la forza dell’intelligenza, la fulgida bellezza accresciuta dalle prove dolorose che deve affrontare. Mamma tenera e premurosa di due piccoline, Tolla e Beatrice, malgrado siano nate da accoppiamenti malvagi, gli unici di cui è capace il marito.
E mentre lei affila la mente, superando i continui orrori della propria esistenza, gli uomini che ruotano intorno al suo quotidiano appaiono perversi, rapaci, ambiziosi, deboli o vigliacchi. Opachi e privi di quell’indipendenza irradiata, invece, dalla sventurata protagonista.
E le donne? Diventano coro di una tragedia napoletana che propone schemi perpetui. Pinella, Margarita, Giovannella, Alma: comari che cercano di proteggerla, affidandole talismani segreti, oggetti con l’anima dalle mille virtù. Accanto a loro, tra le altre, la figura di Desiata, fedele domestica prima, poi nemica, unite entrambe dalla fine atroce.
Nemmeno l’ignobile abuso che fa del suo corpo pure il governatore di Ariano, riesce a sporcarla. Dopo aver incarcerato il coniuge, Don Domizio, per insolvenza di un debito, Matthia del Solto la dà in pasto (sessuale) nel proprio palazzo a militari che in cambio di quello splendore di femmina gli mettono in mano un bel gruzzolo.
Non riluce di grandezza neppure il capitano di giustizia Hermanno Gajola con cui Martia finalmente conosce l’amore: l’amante/complice del truce viricidio si tiene alla dovuta distanza dalla disgraziata, deciso a percorrere una carriera onorevole.
Snobbata da Benedetto Croce, che in un suo scritto liquidò e addirittura censurò il componimento del menestrello, e dallo scrittore britannico Charles Dickens che stroncò il testo letterario come robaccia, Martia ritrova finalmente la sua realtà in un affresco dalle tinte contrastanti dove la lingua napoletana scorre veloce, accessibile a tutti.
La maledetta strega, che si ribella sino all’ultimo respiro all’idea di dover morire e guadagna istanti vitali giocando d’astuzia, è una persona dall’immenso coraggio. Ripescata da Maurizio con la passione del dettaglio trasformato in materia romanzesca. E le donne (lo) ringraziano.
©Riproduzione riservata 
IL LIBRO
Maurizio Ponticello
La vera storia di Martia Basile
Mondadori
Collana Omnibus italiani
pagg.336
euro 19



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