A volte succede, come giovedì scorso al Museo archeologico di Napoli, che l’inaugurazione di una mostra d’arte sia anche un affollato incontro di amici: belle signore, giovani o ringiovanite, signori eleganti, galanti, e bravi, alcuni, anche a fare il baciamano comme il faut. E c’è un signore napoletano, l’artista, che li accoglie con calore. Ha fatto preparare per loro anche un buffet “identitario”, tante piccole porzioni di specialità tradizionali napoletane, pizza di scarola, struffoli, baba …, servito, a sorpresa, da gentili cinesine, originali pechinesi.
L’artista è Nicola Rivelli, un vulcanico personaggio, dalla vita avventurosa, a volte travagliata, come spesso accade agli artisti. Prendete Jan Vermeer, quello de “la ragazza con l’orecchino di perla”, che in questi mesi è a Capodimonte con “la donna con il liuto”, un pittore esemplare per la pacata serenità delle sue opere: ebbe, invece, una vita a suo modo travagliatissima. Forse è appunto il trovarsi in situazioni difficili che dà profondità all’opera di un artista.
Il catalogo riporta le esperienze artistiche di Rivelli, che, formatosi a Napoli, si trasferisce, nel 2008, in Cina, apre il suo laboratorio a Pechino ed espone al 798 Beijng Art Zone, il più importante distretto di arte contemporanea di quelle parti- dice il catalogo; da lì inizia a creare una serie di opere e ha un successo riconosciuto finanche con l’emissione di un francobollo a lui dedicato. Rivelli ha successo anche alla Biennale di Venezia del 2011, con un’opera, acquistata, poi, dal Comune di Napoli.
Ora, al Mann (visibile fino a oggi 28 novembre) presenta Cosmic Bullets, una serie di sculture vascolari in terracotta o in bronzo. Qui l’apparato della mostra sembra suggerire il contrario della gioviale atmosfera della riunione: grandi drappi scuri pendono dal soffitto coprendo le pareti; identici drappi coprono i poggioli, dove sono posti i vasi e qui il colore blu notte si dimostra il più efficace a dar loro risalto.
Sono vasi dalle forme antiche, vasi di un tempo, delle nostre parti, della Magna Grecia, che avevano forme molto varie, idria, kantaros, skyfos, kylix, lèkitos, stamnos…., relative alla varietà dei loro usi. Perché questi vasi naturalmente nacquero, e alcuni, come le anfore, esistono ancora,  per una utile funzione, come contenere l’acqua o il vino, le farine o i semi e così via…  Ebbero forme belle, eleganti, in cui le diverse parti, gli orli, le basi, le rotondità, in rapporto armonioso, testimoniarono una vita che al bello si accordava, in cui immaginiamo la creazione della bellezza insita nel vivere civile. Rivelli riprende le forme di questi vasi a volte alterandole, ondulando un orlo o eliminando dei manici, ma, sempre, creando o ricreando la bellezza, quel complicato, e in un certo senso misterioso, rapporto numerico tra le varie parti di un’opera, che la rende bella.
Qualcuno di loro ha la superficie accartocciata dove le luce si frange e brilla. Ora questi vasi sono qui, liberi dalla loro funzione. Sono vuoti né potrebbero contenere alcunché, perché sono tutti bucati. Sono qui semplicemente come forme, testimonianza di una trascorsa bellezza, di una vita passata ma che ancora continua…
Hanno un colore che si impone: un oro accecante come il colore delle stelle in una notte profonda e senza smog. Sono di oro perché preziosi, di oro perché la bellezza è luminosa. Ma sono rotti, spezzati, squartati, sbrecciati, tagliati: sono stati colpiti da proiettili cosmici. Infatti il titolo della mostra è Cosmic bullets, Proiettili cosmici.
Ma neanche i proiettili sono nei vasi: dopo averli colpiti, sono andati via e spesso, infatti, sul retro del vaso c’è il foro d’uscita. Che senso hanno? Facile vedere in questi vasi l’esaltazione del nostro passato, di una grecità intelligente, creatrice di una vita serena, che viene ricordata con un rito esaltato da quegli scuri drappeggi: è una cerimonia, una cerimonia sacra.
Ma c’è di più. Questi vasi hanno un ulteriore valore simbolico. Evidenziato dai titoli dati alle opere: “tempo” , “smog”, “ingiustizia”e “giustizia” (che a volte è il suo sinonimo), “corruzione”, “ignoranza”, “malattie”, “falsità”, “tradimento”, “invidia”, “ingratitudine” e “irriconoscenza” (un comportamento, quest’ultimo, di gran lunga peggiore della stessa ingratitudine, perché è anche la imposizione della menzogna, parente della calunnia). Questi vasi siamo noi- sembra dire Rivelli.  Questi vasi siamo noi, che conserviamo nel nostro dna le tracce di questo vivere antico, di una civiltà preziosa, dorata ma deturpata, colpita da proiettili malvagi. Questi vasi siamo noi, che soffriamo delle ferite che noi stessi ci infliggiamo, o forse siamo noi che agli altrui colpi resistiamo.
Il catalogo della mostra, in una elegante edizione, riporta le belle fotografie dei vasi, scattate da Lorenzo Cabib. E contiene una “Prefazione”, scritta dal direttore Paolo Giulierini, che ricorda, del MANN, uno dei più bei musei d’arte antica del mondo, la tradizionale accoglienza all’arte contemporanea.
E a me piace menzionare, in proposito, l’ottimo Marco de Gemmis, che, da direttore del servizio educativo dell’Archeologico, tante volte vi ha accolto le opere d’arte contemporanea, dedicando loro ogni cura. E mi piace anche riferire le parole del direttore Giulierini riportate nel catalogo: «L’aspetto materico delle opere dell’artista rimandano alle tante opere in ceramica e bronzo delle civiltà passate e rimandano a un Cosmos, un ordine universale, che plasma la materia informe del Caos primigenio e introduce il genio e la creatività dell’uomo, vittorioso sugli elementi ».

 

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