Tanti tanti anni fa, quando appena cominciavano a circolare le prime automobili e ancora si andava in giro con il calesse o con il biroccino, a tarda sera zio Giggino se ne stava tornando a casa dal lavoro. Era il più grande di cinque figli, non si era sposato, n sapeva che non lo avrebbe mai fatto, cos come non sapeva che sarebbe diventato zio di l a una ventina d’anni. Suo padre era morto a 52 anni di polmonite il 15 agosto, cos come a suo tempo aveva fatto la di lui madre. E lui si era ritrovato capofamiglia a 25 anni con madre, due sorelle più o meno sue coetanee, un fratello di 17 e la più piccola di solo 10 anni. Aveva preso le redini dell’attivit  del padre commerciante e quella sera appunto tornava dalla grande citt  dove era andato per cercare di espandersi. Le due sorelle più grandi non avevano studiato, il padre non aveva voluto, diceva che non era roba per signorine. Il fratello non ne aveva granch voglia, ma quella piccolina bionda cos vispa e curiosa meritava qualcosa in più che stare a casa ad aspettare qualcuno che la sposasse o lui che tornava. Quante cose gli chiedeva al suo rientro, che cosa avesse visto, se il mondo fuori dal paesino era bello e che scarpe portavano le signorine di citt . Lui le scarpe delle signorine non le guardava proprio, cos preso da suoi affari, però magari le portava un cartoccetto di caramelle, una volta le aveva portato una bambola grande con le ciglia finte e gli occhi che si chiudevano quando veniva coricata. Era stata seduta sul pianoforte e veniva adorata dal seggiolino, n la piccola permetteva che qualcuno la toccasse. Meritava di avere una vita meno faticosa quella piccolina bionda che lo avrebbe poi fatto diventare zio, zio Giggino con due g.

Era preso da tutti questi pensieri mentre se ne tornava a casa quella sera. Faceva la strada di sempre, passava davanti al cimitero, con un misto di tristezza e felicit , che l era sepolto suo padre, ma era anche vicino a casa, quando proprio l accanto vide un vecchierello e si fermò.

“O zi’, vi sentite male, volete che vi accompagni a casa ?” Il vecchierello era seduto a terra con le spalle appoggiate a un muretto confinante con le mura del cimitero, e, come tutti i cimiteri di paese, questo era lontano dalle case, ci passava la strada nuova, ma intorno non c’era più niente. Dunque, non poteva lasciarlo l da solo, la strada era buia e poco frequentata ed era una fortuna che lui fosse passato di l a quell’ora. “O zi’, che vi è successo? Cosa fate qui a quest’ora?”

Il vecchierello qualcosa diceva, ma cosa diceva? Non si capiva proprio. Giggino scese dalla macchina e cap dall’odore che ‘o zi’ era ubriaco fradicio. E parlava. Trascinava le parole, e qualcosa diceva. Ma cosa? Armato di santa pazienza Giggino si sedette accanto a lui, ormai più curioso che preoccupato. ‘O zi’ lo guardava, e parlava e rideva con gli occhi. Aveva in mano un grosso fiasco di vino rosso quasi vuoto e a terra affianco a lui ce nera un altro che sembrava avere contenuto del vino bianco. Alzò la testa ‘o zi’, e mentre lo guardava gli spiegò : “Aiere era ‘a nascita mia e m’hanno regalato chisti ddui buttigliun, un ‘e vino bianco e n’ato ‘e vino russ’. Stammatina io me ne vulev bever ‘nu poco, ma ‘e vin’ bianco o ‘e vin’ russ’? Aggia accuminciato co’ bianco, ma po’ vulev’ pure assaggia’ o’ russ’. E ‘nu poco ‘e bianco, ‘nu poco ‘e russ’, me so’ bevute tutte e dduie ‘e fiasch’! Mo’ me sente ‘nu poco strano e penso che si nun se metten’ d’accordo tutte e dduie, ca’ stamm’ buono tutte e tre !!!”.

*Carla Isernia (napoletana) è professoressa di Chimica generale e inorganica alla Seconda Universit  di Napoli.

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