Fino al 2 ottobre 2022 una grande esposizione. “Il patriarca bronzeo dei caravaggeschi Battistello Caracciolo 1578–1635” in tre luoghi significativi della città: Capodimonte, Palazzo Reale e San Martino. Carmine Negro ne racconta il percorso in una cronaca d’arte in due parti. Ecco la prima.

L’intervento di Bellenger alla conferenza stampa




PRIMA PARTE

La Napoli del Seicento, grande centro urbano, europeo e mediterraneo, è la dimora di profondi e drammatici contrasti sociali per la presenza di miserie inammissibili e soprusi intollerabili. La città, che è pure luogo di calamità naturali e teatro di eventi miracolistici e sovrannaturali, conosce, tuttavia, nella produzione artistica una stagione straordinaria.
Le condizioni di arretratezza e povertà, frutto dei ritardi e delle manchevolezze del versante politico ed economico, con il fasto e la nobiltà delle classi dominanti a prevaricare sui drammi e i dolori che la maggior parte della popolazione vive quotidianamente, non impediscono di avere manufatti di una qualità sorprendente.
In queste condizioni, complesse ed articolate, nasce, una delle stagioni più straordinarie e felici di rinnovamento internazionale e cosmopolita della civiltà napoletana che Nicola Spinosa definisce “secolo d’oro” della cultura figurativa a Napoli[1].
È il mitico Seicento che ha visto nel 1984, in una grande mostra a Capodimonte, sorprendere per una sontuosa esposizione di mobili e ricami, maioliche e bronzi, argenti e disegni, marmi e soprattutto tele che meravigliano ed emozionano. Ed è proprio quella pittura di matrice naturalistica a far emergere quel pezzo di umanità povera, umile e indifesa che la società dominante dell’epoca cerca di mettere in ombra ma che si ritrova invece nelle proprie case o nelle Chiese o nei luoghi di pubblica rappresentanza attraverso le opere più quotate e desiderate dell’epoca.
In questo contesto si inserisce l’attività artistica di Battistello Caracciolo che ha rappresentato un elemento  determinante per lo sviluppo della pittura napoletana del Seicento: per molti aspetti è stato il più attento seguace del Caravaggio, e ramificazioni del suo stile si trovano in tutta la pittura napoletana durante la prima metà del secolo.
Per apprendere la chiave di lettura dell’opera di Giovan Battista Caracciolo[2], nato a Napoli nel 1578, bisogna partire dalla sua attività precedente all’arrivo del Caravaggio a Napoli, coincidente con l’operosità dell’artista nella bottega di Belisario Corenzio nei primissimi anni del Seicento. Belisario Corenzio, greco di nascita (Acaia, 1558 – Napoli, 1646), nel 1570 giunge a Napoli, allora centro artistico di primaria grandezza, e velocemente si impone come pittore tra i più attivi della sua epoca. Manca sul Corenzio uno studio sistematico e approfondito ed è difficile affrontare il problema della sua formazione artistica e delle sue successive esperienze culturali. Il De Dominici, che pure è stato molto critico nei suoi confronti, delinea un’’affinità tra il maestro veneziano Tintoretto[3] e il suo discepolo greco, “anch’egli pratico e risoluto nell’inventare; se bene non avesse quella parte erudita e nobile, che si vede nel Tintoretto, e massimamente nell’aria delle teste“. 
È stato Roberto Longhi nel 1957 a individuare, accanto alle tracce dell’esperienza di Tintoretto, una forte componente toscana e la tendenza al minuto raccontare, in chiave ormai “controriformata”. Nel 1600, comunque, Battistello è a Roma con il suo primo maestro Belisario in occasione dell’anno giubilare. I sei puttini ad affresco sulla facciata esterna del Monte di Pietà, documentati nel 1601 e dei quali resta solo una traccia molto labile, sono la prima opera che ci sia pervenuta dell’artista.

Sala con la statua di Fabrizio Pignatelli, scultura per il suo monumento funebre, di Michelangelo Naccherino proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Mater Domini di Napoli




Per Ferdinando Bologna, già negli Angeli del Monte di Pietà pur muovendosi nel giro di Corenzio,  Battistello era sotto l’ascendente del Caravaggio. Un coinvolgimento al nuovo che, senza rinnegare il ruolo della pittura tradizionale, è ancora più forte nel bellissimo Angelo con la scritta Si bene quid facias facies cito che si trova nella volta della Sala della Congregazione della stessa struttura. Eseguito qualche mese dopo gli Angeli è il solo che merita di essere attribuito per intero alla mano di Caracciolo. Anche se l’impianto è corenziano “appare innegabile una nuova forza di forme e di ombre, congiunta a un’intelligenza ugualmente nuova della verità fisica e a una fosca pateticità, che sono al medesimo tempo, per un verso già peculiari di Battistello, per l’altro addentratamene caravaggesche[4]
Nel settembre del 1606 Caravaggio giunge a Napoli dove inizia subito la sua intensa attività. Il 6 ottobre  stipula il contratto per una pala da consegnare entro dicembre al mercante della terra di Bari Niccolò Radulovic. Il 9 gennaio dell’anno seguente aveva finito e consegnato anche le Opere di Misericordia per il Pio Monte e nel maggio e nel giugno del 1607 riceveva acconti per la Flagellazione per la Chiesa di San Domenico Maggiore.
Longhi, in un saggio battistelliano del 1915, afferma che L’attività  di G.B. Caracciolo s’inizia in sostanza con la venuta di Caravaggio a Napoli, cioè nel 1607: e di un suo precedente tirocinio sotto l’Imparato ci si può coscienziosamente passare, poiché esso non lascia alcun residuo visibile dal momento stesso che Battistello esce di minorità pittorica.[5] E scrive ancora: Per occuparci fugacemente del seguito di Caracciolo, diremo subito che questo grave patriarca bronzeo del ‘600 Napoletano – forse l’unico secentesco che,  oltre il maestro (cioè Caravaggio) ci colpisca con la folgorazione di una personalità arcaica .. non ebbe seguito, o almeno seguito grande ed organico.[6].
Giovedì 9 giugno, nel Cortile di ingresso del Museo e Real Bosco di Capodimonte, la conferenza stampa di presentazione della mostra che prende in prestito proprio la definizione data da Longhi nel 1915 di “… patriarca bronzeo dei caravaggeschi …”.
Inauguriamo una mostra estremamente raffinata, elegante e creativa da un punto di vista sensibile e intellettuale. Un colpo d’occhio straordinario è dato dagli accostamenti delle opere pittoriche con le sculture. Questa mostra che ci ha permesso di comprendere meglio la peculiarità di questo pittore, ma anche di cambiare prospettive, dare nuove letture al dialogo artistico di quegli anni.
A dirlo è Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte che porta avanti un programma di esposizioni su artisti napoletani e non napoletani che hanno avuto una stretta relazione con Napoli. Accanto a lui i due curatori dell’esposizione Patrizia Piscitello e Stefano Causa.

Sala con sculture dell’epoca in dialogo con i dipinti


Ed  è quest’ultimo ad esporre l’idea di base di questo allestimento volevamo fare una mostra che fosse un racconto … e questa mostra è un racconto una postilla ad un’altra che si è aperta qualche mese fa. Le mostre Oltre Caravaggio e Battistello Caracciolo sono due tempi di uno stesso film che è cominciato ed è cominciato solo ed esclusivamente perché il vero visionario è Sylvain Bellenger;  se noi siamo qui il merito è suo.
La mostra, infatti, nasce da una idea del direttore di Capodimonte e si  arricchisce della collaborazione istituzionale di Mario Epifani, direttore del Palazzo Reale di Napoli e di Marta Ragozzino, direttrice regionale dei Musei della Campania, due sedi in cui sono presenti opere di Battistello in un percorso espositivo legato a Capodimonte, anche attraverso una bigliettazione congiunta per tutta la durata della mostra fino al 2 ottobre 2022. 
Nella sala Causa, quasi 80 opere per comprendere come e quanto Battistello Caracciolo sia stato influenzato da Caravaggio, come si intuisce nelle parole del De Dominici (1742-1745): “Ora fra coloro che allettati rimasero da sì nuova maniera [di Caravaggio], uno fu il nostro Caracciolo, ed a tal segno se ne compiacque che, lasciate in abbandono tutte quelle da lui per l’innanzi seguitate maniere, a questa tutto si volse ed assolutamente si propose di seguitare Insomma Gio. Battista profondò talmente nell’immaginativa di Caravaggio che molte opere dipinse su quello stile, lasciando in abbandono tutti quei bei colori ai quali con tanto studio e forse con miglior consiglio prima si era applicato[7]. La mostra intende anche studiare in cosa se ne discostò. Ed è sempre Stefano Causa a parlarne durante la conferenza stampa: Di mostre sul Caravaggio ne sono state fatte tante: un splendida si apri nel 2019 sempre in sala Causa.  Questa è la prima dove c’è un accoppiamento un po’ eterodosso che agli studiosi e agli specialisti del Caravaggio non so quanto possa far piacere: avvicinare un pittore che è quanto di più simile ad un ad un allievo che il Caravaggio abbia mai avuto, e il Battistello lo era, ma anche il più infedele dei Caravaggeschi perché Battistello diversamente da Caravaggio disegnava, affrescava, incideva … quindi un caravaggesco infedele, un caravaggesco bastardo … . Ad un certo punto il caravaggismo di Battistello diventa così plastico, disegnato, che c’è venuto in mente che si potesse avvicinare al mondo della scultura … un’idea che avevo avuto già quando mi sono laureato … e che oggi per la prima volta riusciamo a mettere in pratica.
La mostra si apre correlandosi alla sensibilità contemporanea grazie al racconto musicale e virtuale di Stefano Gargiulo che, con i suoni e le immagini, accompagna il visitatore nei mondi di luce e ombre di Battistello.
In Caravaggio il buio fa risaltare la luce e sembra squarciare il quadro: è una teatralità pura per mettere in scena la vita e per dare volume e consistenza ai corpi. Ma  se  facciamo  un’analisi  più  approfondita  dell’artista,  il  buio  per Caravaggio  non  è  solo  uno  strumento  per  dare  volume  e  plasticità alla figura ma rappresenta il vissuto tormentato dell’artista: le miserie, le paure e le manchevolezze  dell’uomo.  Un  buio  che  rende  la  sofferenza dell’esistenza terrena uguale per tutti.
Questa pittura, che nasce dalla lotta fra luce e ombra, affascina Battistello. Nel suo Naturalismo, l’esigenza della rappresentazione della realtà, più dogmatica e minuziosa, sembra rispondere all’esigenza della sua visione: da “patriarca” utilizza il disegno preparatorio per poter riflettere e definire soluzioni … tinge i suoi lavori di un colore “bronzeo” perché così appaiono le asperità della vita quando sono osservate con controllo e saggezza.
A questa riflessione sembra far riferimento l’allestimento di Roberto Cremascoli e Flavia Chiavaroli: rivestono le pareti espositive della stessa tonalità bronzea, dei suoi Cristi e delle sue Madonne e realizzano una sequenza di spazi che permette giochi di sguardi, confronti tra movimenti e contro-movimenti, presenze forti come le sculture marmoree che accompagnano i dipinti.
All’ingresso, dove è posta l’installazione multimediale, un’austera finestra, che rimanda alla facciata della Cappella del Monte di Pietà a Napoli, lascia intravedere, dietro la sua cornice lapidea e la sua severa inferriata, presenze importanti come quella di Fabrizio Pignatelli, scultura per il suo monumento funebre, proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Mater Domini di Napoli, commissionato nel 1590 a Michelangelo Naccherino e completata nel 1609. Si tratta di uno spaccato della società rappresentato da una famiglia nobile dell’epoca e dell’espressione artistica di periodo È il giusto inizio per introdurre il percorso delle opere in esposizione.
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(1.continua)

Il Corridoio dei Disegni. I disegni di Battistello nitidi e veloci sono strettamente correlati all’esecuzione di un dipinto


NOTE
[1] Nicola Spinosa Battistello Caracciolo e il primo Naturalismo a Napoli Electa Napoli 1991 pag. 11

[2] G.B. Caracciolo  fu battezzato il 7 dicembre 1578 dello stesso anno, a vent’anni prese in moglie Beatrice di Mario, originaria di Gaeta, dalla quale avrà dieci figli

[3] L’arrivo a Napoli a circa 12 anni fa cadere la notizia del De Dominici (p. 70) di un quinquennale apprendistato del Corenzio presso il Tintoretto a Venezia.

[4] Ferdinando Bologna Il primo tempo della pittura caravaggesca a  Napoli Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli  Electa Napoli pag. 16

[5] R. Longhi Battistello in l’Arte  Rivista diretta da Adolfo Venturi Casa Editrice de L’Arte 1915 pag. 60 disponibile in rete in forma digitale a cura della biblioteca universitaria di Heidelberg all’indirizzo https://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/arte1915/0092/image,info

[6]R. Longhi Battistello in l’Arte  Rivista diretta da Adolfo Venturi Opera citata pag. 100

[7] Bernardo De Dominici Vite de’ pittori, scultori e architetti napoletani. Pagine scelte ed annotate da Felice De Filippis a cura di Raffaele Schettini SO.GRA.ME 1980 pag.61
Alcune foto in pagina fanno parte della cartella stampa e altre sono state scattate da Carmine Negro nel corso della visita a Capodimonte

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