La drammatica emergenza umanitaria di questi giorni a seguito dall’inarrestabile flusso di rifugiati provenienti dalla Libia, agonizzante in una vera e propria escalation di violenza militare a danno della popolazione civile, pone più di un interrogativo sul problema dell’accoglienza di chi non conosci e per questo non vuoi. Vorrei però provare a uscire fuori da questioni politiche o strettamente legate a quanto sta accadendo in Italia e calarmi invece in una introspezione allargata di quel mondo fatto da altri e di altri che non ti appartiene, che ti è estraneo e che improvvisamente ti arriva addosso come un vero e proprio attacco alla tua normalit  di vita.
I motivi che spingono tante anime a lasciare le proprie terre sono tanti e complessi, l’estrema povert , atrocit  di guerre, il non avere più niente e nessuno, realizzare un sogno o semplicemente inseguire venti di libert . E tante volte con la quasi certezza di non potere più fare ritorno al proprio paese. Una condizione umana straziante. Resa ancor più lacerante quando tutto questo va a scontrarsi con una realt  accogliente completamente diversa da quella che si è sognato. Quando oltre a una nuova povert  si va a misurarsi con la condizione umana più miserevole il rifiuto degli altri di tutto quello che sei e che rappresenti.
E allora aprire un varco nel silenzio affinch la voce del “diverso” venga ascoltata, accolta, diventa quasi una sfida. Mi piace partire da questo. Ovvero dalla scure dell’indifferenza come coltre colpevole della cecit  e dell’abbandono di chi ha bisogno. Sono considerazioni che rischiano il peso di essere viste come sentimentali, fuori dal tempo o vestite di troppa retorica, in realt  sono piuttosto un impeto di passione che vogliono raccontare la scoperta di una storia lontana, il colore di un’anima, la libert  di un cuore. A me è successo.
Per motivi assolutamente imprevisti nel cadenzare della mia vita ho avuto l’arricchente possibilit  di incontrare e conoscere una giovane donna dello Sri Lanka. Un’anima bella che mi ha insegnato la dignit  del dolore e la forza di riprendersi la vita. Il sole che dalle tenebre risale a nuova luce riscaldando chiunque ne chieda il calore. Una grande testimonianza di integrazione vissuta in una citt  come Napoli dove la fatica del vivere insieme è particolarmente forte. Ma dove è possibile far sentire un qualunque straniero che la scelga vicino al nostro mare, alla nostra musica, alla nostra arte. Mi piace pensare che la storia di questa mia giovane amica singalese possa rappresentare il connubio tra tutto questo e soprattutto che Napoli sappia divenire l’abbraccio corale di tante altre storie di solitudine.
Una Napoli che sappia finalmente far diventare chi la sceglie cittadino del mondo, figlio di un Dio maggiore, che sappia ridare fiducia e dignit  a chi nel frattempo, per scelta o per forza, le ha perse. Una citt  accogliente, inclusiva, che da calore e sa prenderne, che sa valutare e scegliere tutti i colori della vita di ognuno.

In foto, un gruppo di profughi

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