Ecco un nuovo racconto di Francesco Divenuto, “Amaro commiato”.

1- Che hai, a che cosa stai pensando?
2– Niente, perché? è la seconda volta che me lo chiedi.
1- Scusa, ti vedo assorto, non dici una parola; capisco la tristezza ma dovevamo aspettarcelo.
2- Sì hai ragione, la tristezza…
1- Certo; gli anni erano ormai tanti e poi stava male; è legge di natura; ha finito di soffrire.
2- No, vedi, pensavo ad altro, cioè, sì era anziano ma io facevo altre considerazioni.
1- Che cosa vuoi dire? spiegati meglio.
2- Pensavo al tempo trascorso, a tutti questi anni. Alla sua vita, alla nostra infanzia.
1- Alla nostra età è tempo di bilancio e questa, certo, può essere una occasione.
2- Ma non so se sia una buona idea; temo che non possa, sì, dico, il bilancio, essere eguale per tutti.
1- In che senso? L’infanzia vissuta insieme dovrebbe aver lasciato gli stessi segni, io credo.
2- No io penso che ognuno abbia una sua memoria e anche il ricordo di avvenimenti vissuti insieme, possa essere differente; lo stesso episodio potrà aver avuto un significato ed una conseguenza diversi.
Anche la nostra infanzia, ricordo, certo ci volevamo e ci vogliamo ancora bene, anche se non sempre eravamo d’accordo.
1- Ti ricordi quante lotte, ci fu un periodo in cui litigavamo su tutto: la squadra di calcio, le prime ragazze, mamma mia se ci penso, sento ancora i tuoi pugni. Tu picchiavi forte, eri più grosso.
2- Poi però i nostri genitori intervenivano e, puntualmente, davano torto a me.
1- Certo. Ma scusa tu eri più grande.
2- Ma tu mi provocavi.
1- Questo è vero. Ti ripetevo quello che sentivo dire dai ragazzi a scuola; quelli ti chiamavano, aspetta, come dicevano ah! sì dicevano che eri un secchione.
2- Ma non ti ricordi che tu, non sapendo il significato della parola, lo storpiavi, e mi chiamavi…
1- Ah! ah! hai ragione; che scemi eravamo.
2- Ma in fondo queste erano sciocchezze, cose che succedono in tutte le famiglie; solo dopo vennero le storie vere, le incomprensioni, i litigi senza fine.
1- Sì mi ricordo le litigate feroci fra te e papà; povera mamma, quanto si disperava.
2- Già; la scenata quando scoprì a quale facoltà mi ero iscritto. A lui non interessava niente dei miei studi, di che cosa desiderassi veramente. Lui era furioso perché non lo avevo ascoltato, o meglio ubbidito.
1- In fondo credeva di averti suggerito quello che pensava fosse meglio per te.
2- Già; seguire le sue scelte, continuare lo studio di famiglia che era stato anche del nonno. Non concepiva che una persona potesse avere una sua
1- Non voleva che prendessimo strade sbagliate.
2- Sbagliate per chi? Ricordarti che cosa successe quando mamma, ormai noi eravamo cresciuti, espresse il desiderio di riprendere i suoi studi. In casa non c’era bisogno di soldi, le disse. Che cosa pensava di saper fare. Povera mamma. La distrusse psicologicamente. Lo ammetto, c’è stato un periodo in cui non sopportavo nemmeno lei; non potevo accettare che non trovasse la forza di ribellarsi. Poi ho capito. Temeva di farci subire le conseguenze di una sua violenza. Ci ha regalato la sua libertà. Ed anche per questo l’ho odiato. Non ti nascondo che sono andato via perché avevo paura di una mia reazione e non volevo perdermi per colpa sua.
1- Sei sempre stato troppo duro con lui.
2- Perché tu niente, tu navigavi sott’acqua. Non mi ricordo mai che avessi affrontato una discussione seria, non dico una contestazione. Dovevo essere sempre io a subire le sfuriate di nostro padre, le sue violenze; sì, perché lui era violento. Lo era con noi e lo è stato pure con nostra madre che ha dovuto tacere senza una possibilità non dico di far valere ma di esprimere, le sue idee. Non ti ricordi? Già, tu sempre zitto, mai una volta che ti avessi sentito contraddirlo.
1- Ma sì, che vuoi; in fondo lui con noi ripeteva lo stesso modello di educazione che aveva avuto lui dal nonno. Che cosa avrebbe dovuto fare?
2- Poteva, doveva, innanzitutto, dubitare.
1- Scusa, non capisco. Che vuol dire dubitare? Spiegati.
2- Certo. Dubitare della validità dell’educazione che aveva ricevuto, dubitare del suo concetto di famiglia, dubitare del suo modo di intendere l’amore; sì, perché io sono convinto che, sia pure a modo suo, lui ci voleva bene così come ha amato nostra madre. L’amava come si ama una cosa propria, mi verrebbe da dire un oggetto prezioso di cui si è gelosi ma del quale non se ne comprende l’effettivo valore.
1- Sei troppo severo; io non credo che lui si ponesse tutti questi problemi. Per la lui la realtà era una sola e basta. Non esisteva altro. E del resto tutti quelli della sua generazione, i suoi amici, i colleghi, tutti la pensavano come lui.
2- Certo. Avevano sposato anche le stesse idee politiche in maniera fanatica. Quando parlavano, ti ricordi? la domenica pomeriggio, i bambini e le donne venivano allontanati. Poi, dopo, hanno rinnegato tutto.
1- No ma giocavano a fare i congiurati; papà fingeva; lui non aveva nessuna idea politica seguiva le idee della maggioranza.
2- Il che è anche peggio. Ancora una volta non un proprio pensiero. La maggioranza, tu dici.
1- Sì ma dai erano quattro amici al bar. Fingevano; ostentavano amicizie, conoscenze. Ti ricordi? Quando doveva andare alle riunioni del partito si vestiva come se dovesse andare all’appuntamento con la ragazza. Diciamo la verità, erano patetici ma in fondo non avrebbero fatto male ad una mosca.
2- Tu credi?
1- Perché non è così? Quando hanno dovuto scegliere da che parte stare sono tutti rientrati nelle famiglie e nella loro vita quotidiana. Hanno buttato la camicia nera, il distintivo, hanno stracciato la tessera ed hanno ricominciato a vivere. Del resto lo ha fatto la maggioranza degli italiani.
2- Non è tutto come credi. Gli stupidi sono i più pericolosi. Qualcuno ha continuato a tramare.
1- Ma va bene. Scusa però noi stavamo parlando di papà e lui…
2- Lui non era diverso; e proprio per il suo fanatismo, non era meno
pericoloso degli altri.
1- Ora non ti seguo; è una tua idea, forse un antico rancore che ti fa parlare così.
2- Già, sarà come tu dici.
1- No, ho l’impressione che mi nascondi qualcosa; a cosa ti riferisci.
2- Adesso non ha senso parlarne.
1- Non siamo più dei ragazzini; che cosa sai che non puoi dirmi.
2- Ti ricordi Ernesto, il barbiere dove andavamo anche noi?
1- Sì, quello poi si trasferì al nord.
2- Tu credi?
1- Perché non è così?
2- Un giorno gli incendiarono la bottega ma di lui non si seppe più nulla. Nel quartiere si diceva che fosse andato da una sorella in provincia di Torino. Già. E dopo un poco nessuno più si chiese dove fosse finito. 
1- Era un uomo simpatico; era stato, se non ricordo male, anche un simpatizzante del fascismo. Ma tu che cosa sai di preciso?
2- Altro che simpatizzante! Un fanatico direi. Aveva anche preso parte a spedizioni punitive contro quelli che nel quartiere erano conosciuti come antifascisti. Ti ricordi il nostro professore di filosofia del Liceo? Un giorno fu trovato a terra ferito. Si riprese ma non volle più tornare a scuola. Del resto non avrebbe nemmeno potuto; per la nuova legge non poteva più insegnare perché era ebreo.
1- Sì ma questo cosa c’entra, scusa, con Ernesto e con papà.
2- Dopo la guerra si seppe che il barbiere, nel retrobottega, aveva tenuto riunioni clandestine. Non si è mai saputo se era stato un infiltrato nel partito fascista o se, piuttosto, non avesse cercato di crearsi una sponda sicura avendo capito come stavano realmente le cose. Del resto, in quegli anni, molti si affrettarono a cambiare casacca.
1- E allora?
1- Sì ma mi sembra che tu stia girando intorno alla questione.
2- Ho la certezza che a denunziarlo ai partigiani sia stato proprio papà. Era stato il prezzo per ritrovare una possibile sua nuova identità.
1- Ma è un’accusa grave; ti rendi conto di quello che dici? Come puoi essere certo.
2- Un giorno scoppiò una tremenda lite fra mamma e papà. Non era, come ti ricordi, una cosa insolita; quel giorno, non so perché, mi ero svegliato più presto del solito. Sentii mamma che piangeva e diceva “Povero Ernesto, perché? perché? che necessità c’era; ormai è tutto finito”. Papà rispose “abbassa la voce, svegli i ragazzi. Che cosa ne sai tu; ho dovuto farlo: o io o lui; ragiona, che potevo fare”. Quando andai per salutarla, come facevamo ogni mattina prima di andare a scuola, la trovai di nuovo a letto. Aveva gli occhi gonfi; mi disse che non aveva dormito bene.
1- Mio Dio! mio Dio! 
2- Uno dei miei ultimi litigi con papà, ricordo era passato qualche anno, fu quando gli chiesi il perché di certe sue scelte politiche che, spesso, ancora manifestava. Volevo capire perché non aveva mai voluto fare i conti con la sua storia personale. Quel giorno, ricordo, gli chiesi anche se sapesse che fine avesse fatto Ernesto.
Spiavo le reazioni del suo viso. Lo vidi sbiancare; pensai che mi avrebbe risposto in maniera evasiva o con un ragionamento accettabile almeno sul piano teorico. E invece, anche quella volta mi sbagliai. Non aveva più la forza di arrabbiarsi; almeno la violenza, quella, era finita. Con una voce sprezzante mi rispose che non poteva discutere con me che non capivo niente di politica. Ma la verità è che, quella volta, si vide scoperto; capì che io sapevo la verità. Tutto quello che, negli anni, si era costruito per continuare a recitare un copione nel quale aveva creduto, era crollato e lui non voleva ammettere di aver sbagliato. Ancora una volta non voleva lasciare spazio al dubbio.
1- Continui a usare questa espressione. Dubitare è un verbo pericoloso, comporta scelte.
2- Hai ragione; ma senza scelte non si cresce.
1- Scegliere a volte può essere doloroso.
2- Ma non scegliere può essere anche peggio. Tu, per esempio, hai preferito seguire i suoi consigli ed hai continuato il suo lavoro.
1- Sì, non posso lamentarmi; ho rilevato il suo studio ed ho preso tutti i suoi clienti.
2- Ma sei felice?
1- Domanda canaglia. Che cosa vuol dire essere felice? In realtà non lo so. Ti confesso: è una domanda che non mi sono mai posto.
2- Perché, hai paura?
1- Tu hai la capacità di mettere a disagio chiunque. Sì, forse hai ragione, ho paura.
2- No scusa, hai ragione tu; ormai non ha senso porsi domande scomode.
1- Sei amaro; tu piuttosto, dimmi, sei felice?
2- Mi aspettavo questa domanda ed anche se mi costa risponderti è giusto che lo faccia. Al tempo dell’Università avevo pensato di trasferirmi. In fondo poter frequentare altri centri di studi mi sembrava una opportunità. Avevo pensato ad un Istituto di ricerca inglese. Perché non l’ho fatto? mi chiederai. Forse avevo pensato, andando via, di cambiare la mia visione delle cose, di cominciare tutto daccapo quasi una nuova nascita, capisci?
1- E allora?
2- Non so dirti quando ma, ad un certo momento ho capito che, in un certo senso, sarei dovuto uscire da me stesso, rinnegare tutta la mia storia; non potevo abbandonare solo una parte. Non so spiegarti ma è come se avessi dovuto cambiare pelle, cancellare la mia memoria; ed ho avuto paura. Un nuovo punto di partenza è sempre un’incognita e poi, io sono quello che sono anche per le vicende vissute. Questa era la mia realtà e non aveva senso rifiutarla. Ho accettato le mie fragilità, e ho imparato ad amarle; solo così è stato possibile, con il tempo, riappacificarmi con lui e con me stesso.  
– Scusate, siete i figli dell’avvocato. Sono il dottor Levi; volevo farvi le mie condoglianze; mi dispiace, abbiamo fatto di tutto ma ormai la situazione era compromessa. Non si poteva fare altro. Posso dirvi, se vi può essere di conforto, che non ha sofferto; in questi ultimi giorni lo avevamo sedato.
1-2- Sì certo, non si preoccupi, sapevamo le sue condizioni. Grazie comunque. Arrivederci.
2- Hai sentito?
1- Sì certo, è stato gentile, non trovi?
2- No, no  io mi riferivo al nome; hai sentito, ha detto Levi, certo sarà ebreo. Ironia della sorte. Salvato da un suo nemico.
1- Tu dici? Ma, a pensarci bene, in realtà non l’ha salvato.
L’animo umano ha risorse che spesso sfuggono alla nostra volontà; per cui ci risolvono situazioni che non sappiamo dominare. Solo così si comprende il perché della fragorosa risata che coinvolge i due fratelli i quali, abbracciati, si allontanano nel corridoio dell’ospedale.  
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L’AUTORE
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di  numerosi saggi su riviste specializzate e di  due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quelli a più voci dal titolo “Napoli: a bordo di una metro sulle tracce della città” coordinato con Guido D’Agostino e Antonio Piscitelli (edizioni scientifiche italiane 2019), La casa nel Parco. Un giorno tra il Museo e il Real Bosco di Capodimonte (AGE 2020) e Agorà, ombre e storia nelle piazze di Napoli (La Valle del Tempo, 2021) curati con Clorinda Irace e Mario Rovinello..
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, “Variazioni Goldberg”, “Il bar di zio Peppe”, “Carmen e il professore”, “Il flacone verde (o Pietà per George)”, “Lido d’Amore”, “Frinire”, “Primo novembre”, “Due di noi”, “Il trio”, “Quattro camere e servizi”, “Mai di domenica”, “Cirù e Ritù”, “Una notte in corsia”, “Gennaro cerca lavoro (il peccato originale)”, “L’odio”, “Il vaso cinese”, e “Il nuovo parroco”, “L’eredità”, “Una caduta rovinosa”, “Cronaca nera”, “La cartellina rossa”. “L’ultima scelta”, “Un disco rotto”, “Sogno di un giorno di mezzo agosto”, “Il mare verde”, “L’arrosto di Ariosto”, “Madre”. Questo racconto s’intitola “Una battuta di meno e una sposa di troppo”, “Agenda di famiglia”.

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