Uno straordinario avvenimento. E’ stato ritrovato un tesoro che si considerava ormai perduto. Valgono infatti 100 milioni i due quadri di Vincent Van Gogh trovati dalla Unità investigativa della Guardia di Finanza. Erano stati rubati nel dicembre del 2002 dal Museo Van Gogh di Amsterdam e sono stati scoperti nel settembre 2016. A Castellammare di Stabia, in una casa di un camorrista latitante.  Fino al 26 febbraio i due quadri saranno ospitati nella Reggia – Museo di Capodimonte.
Non a caso il direttore Sylvain Bellenger ha posto le opere di Van Gogh nella sala adiacente a quella in cui si conserva la Flagellazione di Caravaggio. Ha evidenziato, così, la vicinanza, le affinità,  tra i due grandi artisti. Entrambi ribelli, entrambi violenti e passionali, contestano la mentalità del proprio tempo.
Hanno diverse personalità, tuttavia. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, aggredisce il mondo, ne abbatte il conformismo. Annulla quello spazio inscatolato nella prospettiva pittorica toscana coprendolo di nero. E dipinge il buio.  Aggredisce anche gli uomini, quando lo contrastano, ne uccide uno in una rissa,  aggredisce pure un Cavaliere dell’Ordine di Malta, nientemeno.  E fa scandalo dipingendo  piedi sporchi. Ma la sua arte ha successo presso i committenti. I suoi personaggi spesso sono poveri ma belli. Per sé trova bellezza e felicità in un canestro di frutta e magari in quei ragazzini che rappresenta vivaci e ridenti.
Invece Vincent Van Gogh lo spazio lo rappresenta, ma cerca di scuoterlo e lo fa traballare. Cerca la verità e vorrebbe riprendere obiettivamente la realtà. Ma la sua pittura è sempre in bilico tra  questo suo desiderio e le deformazioni che le danno i travisamenti del suo stato d’animo. Indirizza la sua violenza più che verso gli altri contro se stesso. Come quando, respinto dalla cugina Kate, di cui si è innamorato, davanti a lei si fa bruciare una mano da una lampada. Quando, davanti a Gauguin, suo amico e convivente per un paio di mesi, si taglia un pezzo di orecchio. Quando fa diversi tentativi di suicidio. Fin quando si spara e muore.  Proprio quando ha avuto notizia, dopo tante delusioni, che le sue opere sono state apprezzate.
Durante tutta la sua vita, ha venduto solo uno dei suoi tanti dipinti. Muore nel 1890. Ha solo trentasette anni. Ha trovato la bellezza nella natura,  nel paesaggio ma i suoi poveri non sono belli. I suoi “Mangiatori di patate”sono una famiglia di gente semplice che sta a tavola mangiando  i prodotti della terra che ha coltivato. Sono mal dipinti, brutti “ma, con tutti i loro difetti, oso affermare che i mangiatori di patate, insieme alle tele che dipingerò in avvenire, resteranno” scrive Vincent in una delle tante lettere al fratello Theo (ce ne sono a centinaia). E avrà ragione.  I mangiatori di patate sono belli, hanno una bellezza diversa. La ha creata lui.
La chiesa come costruzione, che non compare affatto in Caravaggio, è dipinta spesso da Van Gogh, che è figlio  di un pastore evangelico. Le chiese fanno parte della sua infanzia. Ed eccone appunto una, quella dipinta in un quadro ora recuperato. E’ “La chiesa di Nuenen” (1884). Che ora è qui in mostra, in una sala del museo di Capodimonte. Gli è accanto “La spiaggia di Sheveningen ”(1882). I due quadri sono posti su un supporto leggermente inclinato, come un leggio, ovvero come un cavalletto. Così deve averli guardati Vincent mentre li dipingeva. La chiesa rappresentata non lo accoglie volgendo verso di lui la sua porta aperta, ma gli rivolge un suo spigolo, che sembra respingerlo. Così come lo allontana il vertice di quella sorta di triangolo che è abbozzato sul terreno. Il dipinto ha un colore piuttosto cupo e risente della realtà del paesaggio olandese e della sua tradizione pittorica seicentesca.
Vincent schiarirà più tardi la sua tavolozza. Quando conoscerà Parigi. E’ il 1886. La città allora sembra essere il cuore del mondo. Lì incontrerà  Monet, Sisley, Pissarro, Degas, Renoir, Seurat, Signac, Gauguin. E da quel momento dipingerà un mondo dai colori forti, colori che stridono tra loro ma che pure si accordano ed esprimono “calma e armonia”, come lui stesso ci dice. Ora, quando dipinge la chiesa di Neunen, ha già avuto, “una eclissi della fede”, ci confessa. Gli è venuta a mancare la fiducia nella religione paterna. Ma il passato  è ancora dentro di lui e tante chiese dipingerà ancora e cappelle cimiteriali. L’ultima sarà Notre Dame a Auvers (1890) e anch’essa non volgerà verso di lui la porta aperta. Sarà chiusa nei suoi muri,  mentre un triangolo abbozzato sul terreno ancora una volta volgerà verso di lui uno spigolo aguzzo e lo respingerà.
L’altro quadro recuperato, “La spiaggia di Scheveningen”,  rappresenta un paesaggio sul mare nell’attesa di una tempesta. C’è gente sulla spiaggia, che vive in quell’attesa. Qui la tradizione olandese del paesaggio è chiara: il cielo nuvoloso e i colori spenti. Ma in questo quadro esiste una particolare luce. Che affascina. Che si spande leggera, che brilla a tratti e si torce in un brivido. Se nel mare Vincent cerca la libertà dello spazio aperto e di un ampio cielo, non la trova. Perché le nuvole celesti che riflettono la luce pesano sul mare e chiudono, non ampliano, lo spazio. Per esprimere il suo desiderio di libertà, Van Gogh dipingerà cieli e  notti stellate.
Sembra che appunto la “Notte stellata” (1889) di Van Gogh stia per arrivare a Napoli,  dal MOMA di New York. Lo ha detto pubblicamente, durante la celebrazione della mattina, il governatore della Campania Vincenzo De Luca. Ha detto anche che destinerà i fondi strutturali occorrenti per il più bel museo del mondo. Chissà. Ma arriverà a Capodimonte, ad aprile, una grande scenografia di Pablo Picasso.  E’ sicuro. Lo ha garantito il direttore della Regia-Museo di Capodimonte Sylvain Bellenger.
In foto, “La spiaggia di Scheveningen”,
Per saperne di più
http://www.museocapodimonte.beniculturali.it/

 

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