L’odore di Napoli è forte, si sente fino a Parigi, nella citt  che è ormai da tempo la culla dell’arte e della cultura, ed è straordinario che Rossana Rummo, la direttrice dell’Istituto italiano di cultura di Parigi, sia riuscita a dedicare l’anno 2009 proprio alla nostra citt , collaborando con la Regione Campania e con l’Ice.

“L’Oro di Napoli: barocco underground” è, infatti, un ciclo di esposizioni culturali che, nel corso di quest’anno, ha visto delinearsi un ritratto a tutto tondo della cultura napoletana, di ieri e di oggi. Un ciclo dedicato tutto a Napoli, alla terra dei contrasti e dei chiaroscuri, a quell’immenso vivaio culturale che è in effetti la nostra citt , con scrittori, attori e registi di alto calibro.

E l’Istituto ospita anche la fotografia e la scultura, che da ieri dialogano e collaborano vicendevolmente, nella nuova mostra di Antonio Biasiucci e Oreste Zevola: “Figures Rituelles” (aperta fino al 23 ottobre 2009,Istituto italiano di cultura de Paris, 50 rue de Varenne / 73, rue de Grenelle 75007. Orari: dal luned al venerd, 10/13 e 15/18).

Il lavoro di Biasiucci fotografo e di Zevola scultore si incontrano mirabilmente, descrivendo con una profonda intensit  proprio il viso di Napoli, quell’immagine che si sdoppia tra il nero violento e suggestivo delle fotografie e la fluorescenza delle ceramiche bianche.

L’originalit , la teatralit , la dicotomia tra sacro e profano, dunque, la ritualit  di Napoli, si sentono forti sia nelle sculture di ceramica di Zevola, che nelle immagini di Biasiucci, scattate tutte nella Chiesa del Gesù a Napoli, nel corso degli ultimi anni. Il lavoro di Biasiucci si inserisce in un suo studio più ampio, è legato alla passione per l’origine e la catastrofe, all’interesse che è nato forte in lui, casertano di nascita, per la ritualit  “profana” di Napoli, sin dagli anni Ottanta, quando ha camminato per la prima volta sul suolo partenopeo.

E gli scatti di immagini sacre, confuse, suggestive, la visione di mani, viscere, visi, di un ventre materno, si inseriscono pienamente nel contesto primordiale in cui Zevola colloca le sue installazioni, le sue donne, i suoi uccelli, le sue figure rituali.

” stato un dialogo bizzarro tra noi due, tra i nostri lavori” spiega Oreste Zevola “un dialogo quasi extra terreste, un contatto misterioso tra immagini e oggetti”.

Ed è proprio in questo contatto suggestivo, in questo intricarsi di forme d’arte, che si vede l’impronta che Napoli, la “citt  – laboratorio” (come l’ha definita Biasiucci), lascia in ogni artista che la incontra e poi “non ne può più fare a meno”.

Nella foto, un’opera di Zevola

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